Chi ci governerà d’ora in poi?

25 Set 2012

E adesso vedremo se ci sarà il temuto, o sperato, effetto valanga. Perché le dimissioni di Renata Polverini rendono più precaria la testarda resistenza di Formigoni e indeboliscono le trincee dietro le quali si stavano arroccando altri governatori incalzati dalle inchieste

E adesso vedremo se ci sarà il temuto, o sperato, effetto valanga. Perché le dimissioni di Renata Polverini rendono più precaria la testarda resistenza di Formigoni e indeboliscono le trincee dietro le quali si stavano arroccando altri governatori incalzati dalle inchieste. Ma già le macerie del dopo Polverini bastano a rivelare il crollo di quel coacervo di ingordigia personale e disprezzo per le virtù civiche, di leaderismo imbroglione e noncuranza per il bene collettivo, che andava sotto il nome di seconda repubblica.
Per ora la frana travolge soprattutto la destra, ma la stagione delle indagini è appena cominciata e non si può prevedere quanto marciume sarà portato allo scoperto. In ogni caso, e sempre allo stato attuale delle conoscenze, se la destra è colpevole per aver commesso il fatto, la sinistra è comunque imputabile per favoreggiamento. Meno grave, ma è pur sempre un reato. Resta da capire come i dirigenti dei due schieramenti affronteranno la questione.
Berlusconi (si consiglia la lettura dell’intervista rilasciata al numero di esordio dell’Huffington Post Italia) non sembra rendersi conto dell’entità del disastro: difende la Polverini, ironizza sull’ipotesi del rinnovamento osservando che Fiorito ha appena 41 anni, e conferma la sua visione del mondo: “La concezione liberale vuole che le idee camminino sempre non attraverso i partiti, ma grazie a leader dotati di carisma e di credibilità”. Strana idea del liberalismo quella di confonderlo con il leaderismo, che è una delle cause del problema odierno. Sostituire l’amore per il capo al ragionamento sui suoi progetti, trasformare gli elettori in tifosi invece di costruire un’opinione pubblica consapevole: ecco le ragioni profonde dei nostri guai. Bisogna cambiare registro, e il Cavaliere non è evidentemente in grado di farlo.
Dall’altra parte, e cioè nel centro sinistra, la consapevolezza è certamente maggiore, ma non si vedono ancora indicazioni convincenti sulla strada da prendere e sul modo di percorrerla. Non è tanto una questione di programmi, perché quelli, più o meno condivisibili, ci sono. E’ una questione di rappresentanza: bisogna trasformare i partiti e bisogna individuare un metodo efficace di selezione della classe dirigente. La “rottamazione” dei vecchi è un’ipotesi suggestiva ma superficiale. Per esempio: D’Alema è antipatico a molti, ma non è che la possibilità di sostituirlo con un Fiorito di sinistra sia esaltante. E può accadere, come sa chi ha vissuto la caduta della prima repubblica sotto i colpi di Tangentopoli, e oggi rimpiange almeno alcuni dei leader di allora.
Come si fa, dunque, a evitare che la prossima classe dirigente sia peggiore dell’attuale? E’ questa la domanda cruciale. Le primarie, va detto subito, non sono una risposta adeguata. Vanno bene per scegliere il candidato premier di una coalizione (sempre che la legge elettorale sia coerente), ma presentano il rischio che a prevalere non sia il più adatto, ma solo quello che ha l’oratoria più efficace, che è più simpatico, o che le spara più grosse e quindi conquista maggiore visibilità. Nessuna di queste qualità garantisce che poi sappia governare. E invece questa è l’unica dote di cui c’è un disperato bisogno.
Chi arriva al vertice deve conoscere la materia politica: deve sapere che governare significa mediare tra interessi diversi, armonizzare esigenze, e scegliere la strada migliore per tutti. Deve saper ascoltare le opinioni diverse e scegliere con competenza. Ecco: come si fa a far crescere gente così? Si accettano suggerimenti. E si spera che i partiti del centro sinistra siano i primi a proporne di seri e credibili.

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