Il ballo in maschera

07 Mag 2012

Michele Ainis

Chi vincerà queste Amministrative? Ulisse, l’uomo che scampò all’ira dei Ciclopi dichiarando di chiamarsi «Nessuno». La stessa astuzia replicata dai partiti per sottrarsi ai furori antipartitici, aspettando che passi la nottata

Chi vincerà queste Amministrative? Ulisse, l’uomo che scampò all’ira dei Ciclopi dichiarando di chiamarsi «Nessuno». La stessa astuzia replicata dai partiti per sottrarsi ai furori antipartitici, aspettando che passi la nottata. Anche se è una notte polare, durerà fino all’anno prossimo. Quando le Politiche mostreranno infine la vera faccia di Nessuno. Sta di fatto che gli elettori trovano il simbolo del Pd in 138 liste, mentre il Pdl ne ha firmate 137, l’Udc 130, Idv 126, Sel 102, la Lega 153. Ma sono ben di più le liste civiche: 2742, con un aumento del 61% rispetto alle elezioni precedenti, solo a considerare i comuni capoluogo. E queste liste corrono talvolta in proprio, più spesso collegate a un candidato di partito, destra o sinistra fa poca differenza. Oppure sono i partiti che indossano l’abito della lista civica, presentandosi sotto falso nome. Più che un’elezione, un ballo in maschera. Da qui il primo paradosso: se il voto serve a misurare il peso delle forze in campo, ci restituirà l’immagine d’un campo vuoto, disertato dagli eserciti maggiori. Anche perché — secondo paradosso — mai come stavolta l’esito del voto dipende dal non voto. Alle Comunali del 2007 l’astensionismo era cresciuto del 2,4% rispetto alla precedente tornata elettorale; alle Regionali del 2010 l’affluenza precipitò al 63,6%, subendo un ulteriore calo di 8 punti; con l’aria che tira, adesso stapperemo una bottiglia di spumante se l’emorragia verrà in qualche modo tamponata, se gli italiani decideranno di recarsi in visita pastorale ai seggi, come parrebbe dalle prime proiezioni. Altrimenti come faranno mai gli eletti a cantar vittoria, come potranno compiacersene i partiti, quando la messa viene celebrata in una chiesa abbandonata dai fedeli? È il punto di rottura della nostra democrazia: i partiti non ci mettono la faccia, gli elettori in croce non mettono la croce sulla scheda. C’è in circolo un sentimento di disaffezione, se non d’estraniazione, verso le istituzioni democratiche. E nell’occasione le regole del gioco contribuiscono a disorientare il popolo votante, perché sono regole cangianti, ballerine: maggioritario a turno unico nei comuni con meno di 15 mila abitanti, doppio turno e ballottaggi in tutti gli altri. Dove peraltro le possibilità di voto sono cinque, in base all’uso della preferenza; e dove il premio di maggioranza scatta dal 40% ovvero dal 50% dei voti, secondo un’algebra non meno complicata della vita politica italiana. Quanto poi alle preferenze, ci costringono a tirare i dadi: zero informazioni sui curricula dei candidati nei siti web dei partiti, come ha documentato l’Associazione pubblici cittadini. La stessa trasparenza dei fantasmi. Eppure queste elezioni non sono affatto un test lillipuziano. Coinvolgono oltre 9 milioni d’elettori, un quinto del totale. Decidono il futuro di 942 municipi su e giù lungo la penisola, da Genova a Palermo. Consumano una sfida tra 2810 aspiranti alla carica di sindaco (il più giovane è un diciottenne, il più anziano ha 94 primavere sul groppone). In termini costituzionali, ci racconteranno quanto resta del «dovere civico» del voto (art. 48), dove si riflette tuttavia il simmetrico dovere degli eletti di comportarsi «con disciplina e onore» (art. 54): se cade il secondo, cade pure il primo. In termini politici, interrogano la questione settentrionale, quale rappresentanza sceglierà di darsi il Nord, improvvisamente orfano dell’alleanza fra Pdl e Lega. Ma le forze politiche maggiori le hanno usate piuttosto come un alibi per rinviare le riforme. Dal nuovo assetto della Rai al ridisegno del bicameralismo, dalla legge elettorale a quella sul finanziamento pubblico ai partiti, tutto tace aspettando questo voto. Bene, vuol dire che da domani non avranno più altre scuse. Le prossime elezioni sono quelle generali, e lì dovranno andarci dopo aver studiato. Altrimenti non rischiano soltanto una bocciatura. Rischiano l’espulsione da tutte le scuole del Regno.

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