Tina Anselmi: una donna contro il ricatto della P2

23 Mar 2012

Tina Anselmi il 25 marzo compie 85 anni. Ti volevamo primo presidente donna al Quirinale: non ci siamo riuscite. Ma ora non è tardi per ringraziarti di averci insegnato ad amare la democrazia come la ami tu

Quando sorride torna quella di allora: un po’ ironica verso le cose della vita, della politica, della storia. Comprensiva: la sua umanità ti entrava nel cuore. Intransigente: non c’era sotterfugio o inganno della politica che l’avesse complice. Allegra e semplice.

Il sorriso non arriva subito. Il 25 marzo compie 85 anni. Sul davanzale della finestra del suo studio due vasi di primule bianche e gialle attirano la sua attenzione. E la magnolia…”la magnolia” ripete con fierezza.

Il mondo di Tina oggi è fatto di una serenità protetta dall’amore delle sorelle e di una grande famiglia. La famiglia che negli anni terribili la difendeva dal tritolo e dagli agguati. Oggi quel passato è passato e questa grande donna che l’Italia dovrebbe onorare per l’impegno preveggente che ha profuso sia all’interno della Democrazia cristiana  sia al servizio del Paese, sin da ragazza nella Resistenza, vive circondata dalle fotografie e dai libri più cari. Le fanno compagnia, con la loro presenza fedele e discreta. Le ricordano i giorni della politica, la sua storia, il suo mondo.

Arrivai per la prima volta in questa casa di Castelfranco a intervistarla dopo poco che era stata nominata presidente della Commissione P2 grazie alla scelta determinante di Nilde Iotti. Negli anni ottanta tornai spesso a casa sua: potevamo ragionare con calma sulle persone e le vicende che a Roma, nel grande palazzo San Macuto, giorno dopo giorno, completavano il mosaico della Loggia di Licio Gelli.

Continuava a meravigliarsi, tanto era inconcepibile per la sua formazione di cattolica legata al cardinale Martini, di democristiana morotea, amica di Zaccagnini e di Sergio Mattarella, di Leopoldo Elia, di Franca Falcucci tanto era stato difficile per lei convincersi che davvero in Italia moltissimi avevano tradito il giuramento alla Repubblica, molti avevano agito nell’ombra per ferire a morte la democrazia. Se ne convinse e fu un dolore del quale non parlava volentieri. Lo affrontò e lo risolse con l’aiuto dei suoi più fedeli collaboratori ( a cominciare da Giovanni Di Ciommo) nella stesura della relazione finale. Non era riuscita a interrogare Licio Gelli, che tornò libero a Castiglion Fibocchi soltanto nell’88. Ma forse fu un bene: il Venerabile avrebbe soltanto cercato di portare la commissione là dove interessava a lui. Depistare era sempre stato il suo forte.

Tina era meravigliosa nell’amicizia e nella fiducia che concedeva. Ma di tutti quegli incontri a Castelfranco e delle serate a Roma, una volta finito il lavoro della commissione, ciò che oggi ancora mi colpisce di più è la profondità delle intuizioni, la rapidità con cui riusciva a decifrare situazioni e personaggi, a collegarli l’uno all’altro, la lucidità politica sugli avvenimenti e sul futuro della sua lotta alla P2. Non si era mai fatta illusioni di aver vinto la battaglia. Sapeva che l’Italia era tremendamente malata e invasa dai poteri occulti. Una debolezza però l’aveva: era quella di credere che il suo partito, la Dc, nella quale aveva pochi veri amici e tanti nemici, non l’avrebbe mai abbandonata. Invece non fu così.

Le cose più importanti me le ha dette però anni dopo. Non le aveva scritte né raccontate con tanta chiarezza. Era il 1996 e mi era stato chiesto di intervistarla per un libretto del “gruppo Abele” di don Ciotti intitolato “Nonostante donna”. “La partita fu chiusa nel 1985: fu chiaro in quell’anno che battersi contro la P2 non avrebbe portato a niente… le complicità erano tali da rendere impossibile andare oltre, completare il lavoro di chiarezza che avevamo fatto. E c’era inoltre la certezza che ormai stavo restando sola, sola con pochi a denunciare ogni volta che emergevano segnali di una riorganizzazione della loggia segreta, di attività di Gelli, di iniziative che sembravano ricalcare i programmi del progetto politico della P2”.

In realtà era già qualche tempo che gli intralci alla commissione si erano fatti pesanti. Sin dal giorno in cui Bettino Craxi aveva presentato alla Camera il suo governo e poi uscendo da Montecitorio aveva dichiarato ai giornalisti: “Adesso questa storia della P2 è chiusa e sepolta”. Poco dopo Craxi chiese “formalmente lo scioglimento della commissione accusata di diffondere cortine fumogene. Ma “ ricorda Tina “intervenne Pertini col suo sostegno promesso, chiese ai presidenti della Camere un intervento e essi emisero un comunicato che ribadiva: la commissione risponde al Parlamento e non al governo”.

Craxi la convocò almeno un’altra volta a palazzo Chigi. “Mi lesse un documento che però non mi dette nemmeno in mano: Lo lesse e mi disse che c’era il segreto di Stato. Ricordo vagamente che riguardava l’archivio uruguayano di Gelli, fascicoli che si disse dovevano essere ancora quelli del Sifar e che erano arrivati in parte tempo prima” . Nei suoi appunti, alla data del 17 maggio del 1984, la Anselmi aveva annotato di una convocazione da parte di Craxi durante la quale era stata informata della volontà di Gelli di essere interrogato dalla commissione. E’ probabile che sia i foglietti del Sifar che la disponibilità di Gelli siano stati comunicati in quell’unico incontro. Fatto sta che la Anselmi si è sempre chiesta dove sia finito quel materiale definito “segreto”. E se ancora oggi sulla politica italiana pesi una sorta di ricatto perpetuo, un’area di reciproco ricatto “nella quale i piduisti scoperti ricattano quelli coperti. Oppure si alleano fra di loro . E pochissimi sono in grado di capire il perché di certe alleanze, i motivi veri di certi patti”.

Una sorta di armadio della vergogna, custodito ancora a Palazzo Chigi.

Ma in questo giorno di sole in cui ho ripreso il Padova-Castelfranco di allora e sul taccuino posso solo annotare l’intensità di quel sorriso, il suo chiamarmi per nome come un tempo, vorrei che Tina sentisse l’abbraccio e gli auguri degli italiani e delle italiane. Ti volevamo primo presidente donna al Quirinale: non ci siamo riuscite. Ma ora non è tardi per ringraziarti di averci insegnato ad amare la democrazia come la ami tu.

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