Ma che tipo di governo è quello di Monti? È forse un governo di destra? Ed è vero che comanda sempre lui? Né di destra né di sinistra, quello di Monti è piuttosto un governo di compromesso, a visibile prevalenza moderata, espresso in una fase di chiara emergenza, priva delle normali risorse della politica.
Il fisiologico sbocco di una emergenza esterna (catastrofe economica) ed interna (dissoluzione non solo della maggioranza ma degli equilibri sistemici) altrove è una grande coalizione. In Italia questa strada è preclusa per ragioni storico-politiche. Non si può infatti passare da un ventennio di bipolarismo oltranzista a una condivisione esplicita di una stagione di governo.
Questa impossibilità politica di stipulare un accordo temporaneo ha imposto un surplus di iniziativa del Colle. Lo stato di eccezione di Schmitt evocato dal Corriere della Sera non c’entra proprio nulla. Accadde così già con il governo Ciampi. Con una modica forzatura delle regole tradizionali, il capo dello Stato fu anche vent’anni fa il regista delle operazioni necessarie per attutire i contraccolpi di una caduta repentina del sistema politico.
La parentesi tecnica è più volte comparsa come l’equivalente funzionale dei governi di grossa coalizione. Si è verificata non solo in occasione della crisi di regime (governo Badoglio) ma anche nel corso della crisi di sistema politico (governo Ciampi). Il dicastero Monti è dentro questa tradizione storica che scavalca la polarità maggioranza-opposizione, silenziosa quando a naufragare non è una semplice formula di governo ma un sistema politico.
Per questo è del tutto inadeguata la definizione di Gustavo Zagrebelsky che, su Repubblica di lunedì, ha parlato di un mero allargamento della vecchia maggioranza.
Intanto, non può esserci stata una assimilazione dell’opposizione nell’alveo della destra giacché proprio quest’ultima si è dissolta. Un blocco politico che è evaporato non può inghiottire altre forze che ad esso si opponevano. La Lega ha persino rotto ogni collegamento con il Pdl. Quindi non può parlarsi di un governo di destra ampliato perché quella coalizione di destra, proprio essa, non esiste più e pertanto non può in alcun modo allargarsi oltre i suoi confini.
Dal punto di vista istituzionale, non c’è affatto la vecchia maggioranza che sopravvive con l’innesto di apporti nuovi ma si è presentata una diversa formula politica. Le forze che prima erano assenti dall’esecutivo (il Terzo Polo, l’Idv e il Pd) sono diventate la parte più cospicua della maggioranza che in aula ha votato per Monti. E il Pdl, pur essendo un partner rilevante la cui presenza scongiura un ribaltone che nessuno ha mai cercato, rimane pur sempre minoritario entro la convergenza parlamentare (non si tratta di una coalizione riproponibile) che ha accordato la fiducia al governo.
Quindi non è vero che comanda sempre lui. Magari anche nel “consiglio di facoltà” dovrebbero rammentarsene ogni tanto e mostrare più coraggio politico, senza spezzare la logorante logica della mediazione. Dove Zagrebelski vede solo la fine della politica per l’abdicazione del Pd in realtà si nasconde una scelta politica, difficile e costosa, certo, ma politica. Il Pd, che accetta l’imponderabile, non è affatto un esemplare malconcio di una politica malata. Solo un vero partito può sopravvivere a una sfida di questa asprezza, tipica della grande politica.
O Zagrebelsky pensa che per “non alzare bandiera bianca” il Pd avrebbe dovuto affrontare la prova del fuoco delle urne quando tutte le armate delle potenze mondiali erano già schierate? Non era a disposizione del Pd la strada del voto. Avrebbe dovuto scatenare le ire di sua maestà il mercato, entrare in frizione con il Quirinale, rompere con il Terzo polo e, facendosi scudo con una maggioranza negativa (con Idv e Lega), prepararsi al duello finale? L’irresponsabilità può apparire vigore ma si tratta di una illusione di potenza, alla lunga assai costosa.
Per non siglare una “autodichiarazione di bancarotta”, come scrive Zagrebelski, il Pd avrebbe dovuto imporre il voto e sbarrare la strada a un governo senza i partiti? Che la vitalità della politica sia legata all’eccezione che gode dell’emergenza sembra molto difficile da sostenere. Né un novello Celestino V che rinuncia ad una vittoria scontata per incassare una variante spuria della grossa coalizione, né un irresponsabile amante del pericolo ma un politico di grande scuola che non ha avuto esitazioni dinanzi a certi dilemmi e ha imboccato la strada giusta, questo è apparso Bersani.
Un governo di emergenza non è una scelta, è una condizione che capita e il leader del Pd non poteva scartarla senza assumere rischi incalcolabili. Imporre grandi temi di sinistra anche a un esecutivo di compromesso, questo è ora il compito. Il resto è chiacchiera.
Manifesto nazionale ANPI

Se non è vero che “comanda sempre lui” allora è anche peggio: perché, vista la manovra in discussione (senza gara per l’assegnazione delle frequenze tv, con “liberalizzazioni” risibili, con un carico da 90 su pensionati e pensionandi e nessuna patrimoniale) è la prova provata che fra la ex opposizione e la ex maggioranza non c’è alcuna differenza. Offensiva per la nostra intelligenza poi la tesi secondo cui non ci poteva essere una “grande coalizione” per ragioni “storiche” dal momento che la “grande coalizione” è nei fatti e gli incontri in stile carbonaro fra i rappresentanti dei partiti e il governo aggiungono solo l’onta dell’ipocrisia ad una soluzione “tecnica” che è il de profundis non solo per il Pd ma per tutta questa inutile quanto spocchiosa classe politica. Pensa davvero il prof. Prospero che quello che è successo sia “l’imponderabile” e non la conseguenza assolutamente prevista e prevedibile di vent’anni di “politica malata” di cui il Pd non è solo un “esemplare malconcio” ma un degno e legittimo figlio? L’emergenza in questo paese non arriva improvvisa: ce la siamo costruita con scientifica imbecillità.
Sono completamente d’accordo con Michele Prospero e mi fa piacere che sia l’Unità a pubblicare l’articolo ( a differenza del Fatto).
La responsabilità verso il paese, e non solo a chiacchiere, è anche un valore morale di cui va dato atto a Bersani. Anche a tutto il Pd che si è ricompattato e dai primi sondaggi mi sembra che la scelta sia pagante. Certamente questo Pd ha tutto il mio appoggio.
Quanto allo stile carbonaro può essere più semplicemente la conseguenza diretta di anni (20!) di guerra senza quartiere. Anche un Pdl con Alfano più misurato nei toni (lo stile è anche sostanza) non mi dispiace. Domani potrebbe nascere uno scontro fra avversari corretti di cui l’Italia ha un grande bisogno.
E’ vero: comanda, anche se “dietro le quinte”, sempre lui!
Perché non sono state fatte le liberalizzazioni vere?
Perché non è stata fatta la gara per l’assegnazione delle frequenze televisive?
Perché anche la tassa sul “lusso” è stata modificata?
Perché non sono state tassate i grandi patrimoni?
Perché gli evasori fiscali continuano a farla franca?
La domanda, poi, che non può non essere rivolta al PD, il cui elettorato appartiene alla classe dei lavoratori che hanno pagato alla fonte tutte le tasse, è perché abbia permesso al governo Monti di porre il peso di questa manovra sulle spalle dei pensionati e dei lavoratori veri.
Condivido in pieno l’analisi del Prof. Zagrebelski.
Come può essere considerato “a visibile prevalenza moderata” un governo che fa ricadere sui più deboli il peso della crisi? Si confonde il tono pacato e lo stile educato, indubbiamente apprezzabili, con una politica moderata. Questo è un governo di destra, rigorosamente neoliberista, piuttosto radicale (estremista?) in alcune scelte. Se gli onesti hanno paura del futuro, se i cittadini più poveri non trovano protezione nello Stato, significa che è la forza a governare. E la parola legalità, che sarebbe così importante per il nostro Paese, rischia di diventare tristemente insignificante.
E QUANDO TUTTO QUESTO SARÀ FINITO? (Se finirà ….)
Allora avremo bisogno di registi grandi come Vittorio De Sica per raccontare i drammi vissuti nel silenzio dai nostri “Umberto D.”, perché senza umana pietà le Costituzioni sono lettera morta che non parla alle coscienze; avremo bisogno di bravi maestri per liberare le menti dei nostri ragazzi dai fantasmi dell’odio e del risentimento che intanto saranno pericolosamente cresciuti … Di molte cose avremo bisogno, ma certo non di questi politici, incapaci persino di fare la cosa più semplice, più ovvia, più razionale in questo momento: rinunciare a tutti, proprio a tutti, i loro privilegi.
molto d’accordo con l’analisi del prof. prospero. e poi basta fare sempre le pulci a bersani e al pd, che secondo i critici non sono mai all’altezza e fare previsioni che si autoavverano. vorrei vederli loro ad agire con perizia in una situazione come quella italiana. intanto grazie al prof. monti per averci liberati dagli impresentabili. via i ciucci e avanti i bravi a scuola, che hanno stile, competenza, conoscono le lingue e gli ambienti internazionali.