Serietà e Fragilità

17 Nov 2011

Se ci si dovesse limitare alle reazioni ufficiali, il destino di Mario Monti sembrerebbe segnato: in positivo, naturalmente. Il placet corale che gli è arrivato dall’Italia e dall’Europa conferma il prestigio di cui gode il nuovo presidente del Consiglio italiano.

Se ci si dovesse limitare alle reazioni ufficiali, il destino di Mario Monti sembrerebbe segnato: in positivo, naturalmente. Il placet corale che gli è arrivato dall’Italia e dall’Europa conferma il prestigio di cui gode il nuovo presidente del Consiglio italiano. I capi di Stato e di governo dei Paesi alleati tradiscono una grande ansia di coinvolgerlo. Ai loro occhi, Monti ha il merito di reinserire a pieno titolo nell’Unione Europea un interlocutore prezioso, per ridurre il rischio che l’Ue sia schiacciata e sfigurata dal tandem franco-tedesco. Ma l’impasto di serietà, competenza e affidabilità che caratterizza il suo profilo, impone di chiedersi se non permanga anche una fragilità politica.

Si tratta di un aspetto da non tacere, nel momento in cui le aspettative nei confronti del premier e del suo esecutivo tecnico appaiono enormi. Probabilmente, fra oggi e domani Monti riceverà una larga fiducia dal Parlamento. E ha già detto di sentire il dovere e di coltivare l’ambizione di proiettarsi fino al termine della legislatura: l’unico modo per sperare che le misure economiche in incubazione riequilibrino un’Italia sbilanciata pericolosamente dal suo debito e dall’assenza di crescita. Ma proprio per questo non si possono ignorare le incognite con le quali dovrà fare i conti. Per neutralizzarle, Monti ha ripetuto il verbo «rasserenare». Si rivolgeva alla politica e ai mercati.

Non a caso. Il capo del governo sa che l’atteggiamento dei partiti è dettato da una miscela di convinzione e di costrizione; e che un anno e poco più li separa comunque dalle elezioni. Sa anche che la strada della coalizione incrocerà l’ultimo anno di mandato del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, vero artefice dell’operazione Monti; e che quando si intravedono scadenze così strategiche, lo sfondo può intorbidirsi e incresparsi rapidamente. La terza incognita sono i referendum elettorali di primavera, se saranno ammessi dalla Corte costituzionale. E in questo caso il rischio che le tensioni tra e dentro i partiti si scarichino su Palazzo Chigi sarebbe inevitabile.

Sullo sfondo rimane una situazione finanziaria in bilico. L’Europa sembra puntare molto sul «ritorno» dell’Italia, se di ritorno si tratta, per tentare una controffensiva contro la speculazione meno frustrante di quanto sia stata finora. Ma Monti è consapevole del tempo che si è perso, e di quanto l’Italia sia percepita tuttora come un Paese sotto osservazione. Dovrà convincere l’opinione pubblica interna che è il momento di farsi «formiche» serie e operose, dopo una stagione di diritti non compensati da un diffuso senso del dovere; e che la coesione sociale è davvero un fattore di sviluppo: almeno quanto la litigiosità lo è di regressione, facendo perdere energie, tempo e soldi. Forse, l’incognita più grande è proprio questa: spingere l’Italia a ripensarsi. Ma se non ci si riesce, sarà difficile pretendere che gli altri cambino idea su di noi.

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