La sfiducia? Già votata dai mercati

07 Nov 2011

Massimo Giannini

In attesa che la formalizzi il Parlamento, la mozione di sfiducia al governo Berlusconi la stanno votando i mercati. Com’era largamente prevedibile, la settimana finanziaria comincia nel peggiore dei modi per l’Italia, colpita al cuore dalla crisi di credibilità che affonda i Btp e la Borsa.

In attesa che la formalizzi il Parlamento, la mozione di sfiducia al governo Berlusconi la stanno votando i mercati. Com’era largamente prevedibile, la settimana finanziaria comincia nel peggiore dei modi per l’Italia, colpita al cuore dalla crisi di credibilità che affonda i Btp e la Borsa. Lo tra i nostri titoli di Stato e quelli tedeschi misura la drammaticità del momento. Sfondata la soglia aritmetica e psicologica dei 400 punti, il differenziale viaggia senza freni verso quota 500 e oltre. Livelli impensabili, almeno dai tempi del passaggio dalla lira all’euro. Siamo su un crinale che ci riporta al 1992, alla bancarotta del Paese, all’iper-svalutazione della liretta, poi alla cacciata dallo Sme e alla maxi-manovra di Giuliano Amato, con tanto di scippo notturno sui depositi bancari. I numeri lo confermano, oltre che le valutazioni degli analisti finanziari (uno per tutti, Jim Reid, “strategist” della Deutsche Bank): sul mercato secondario è rimasta praticamente la sola Bce a comprare i Btp italiani. Se non ci fosse il “cordone sanitario” di Francoforte, intorno alla povera Italia, il default del nostro debito sovrano sarebbe forse inevitabile.

Tutti sanno la ragione di questa Caporetto. Silvio Berlusconi, pessima versione di un generale Cadorna senza truppe e senza armi, resiste nel bunker di palazzo Grazioli, e trascina nel baratro non solo il suo governo, ma la sua nazione. Cos’altro deve succedere, perché il presidente del Consiglio prenda atto che la sua battaglia è perduta, e che la resistenza non distrugge solo lui e il suo partito, ma l’intero Paese? Quanti altri Maroni dovranno dire pubblicamente in televisione che “è finita ed inutile accanirsi”? Quante altre Carlucci dovranno fare le valigie, e lasciare l’armata disperata del Popolo delle Libertà? Quello che colpisce, e indigna, è che mentre il “lunedì nero” si consuma sulle piazze finanziarie e nei Palazzi romani, il Cavaliere si ritira ad Arcore. Come il generale nel suo labirinto di Marquez. Come il re in ascolto di Calvino. Si allontana dall’epicentro del sisma. Fugge da se stesso, dai suoi fantasmo, dalle sue responsabilità definitive. È una “fuga per la sconfitta”, che purtroppo, nostro malgrado, ci travolge tutti.
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