Il ruolo dell’intellettuale

10 Mag 2011

Nel corso della puntata de L’infedele, Gustavo Zagrebelsky, presidente onorario di LeG, fa il punto sul compito di chi svolge un’attività intellettuale: dire sempre quello che pensa, perché cercare il consenso sarebbe tradire il suo ruolo.

Nella puntata de L’Infedele andata in onda su La7, lunedì 9 maggio, Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della Corte costituzionale e presidente onorario di LeG è ospite della puntata dal titolo Democrazia, distruzione per l’uso.

È l’occasione per fare il punto sul ruolo dell’intellettuale. Ecco alcuni passi ritrascritti.

“Senza fare nomi, siamo di fronte a capi di governo che frequentano fanciulle disponibili, usano risorse smisurate per acquistare tutto l’acquistabile. Ci piace essere governati così? La domanda non è ci piace quello che fa, perché quello che fa è affar suo, la domanda è altra. Ci piace essere governati così? O ci piacerebbe essere governati da altro ceto politico o da altri uomini di governo? Immagino la risposta: piace a molti italiani, ha vinto le elezioni.

La domanda si pone nelle urne quando si va a votare, ma quando si svolge un’attività intellettuale, si fosse anche uno contro 80 milioni di italiani, chi esercita una funzione intellettuale deve dire quello che pensa. E io dico: a me non piace. Perché un esercente un’attività intellettuale non cerca affatto il consenso. Il consenso si cerca con le vie politiche, nel voto. Sarebbe un tradimento della funzione intellettuale se io scrivessi o dicessi cose pensando di ottenere il consenso. Io dico e scrivo quello che penso, perché così penso. E credo che questo sia nell’etica della professione che sto svolgendo. Poi, naturalmente, i cittadini faranno le loro scelte. E se gli piace essere governati così, va benissimo. Ma questo non impedisce a me e a tanti altri di dire che non ci piace”.

Vogliamo citare Dostoevskij e Kant? Dobbiamo farlo bene. Partiamo da Kant, citato per il passo del legno storto. E chi di noi non riconosce nella pasta umana le storture? Ma Kant è anche quello della legge morale: il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me. Indicava una ricerca del raddrizzamento del legno. Guardate che nessuno di noi vuole raddrizzare nessuno, perché ciascuno si raddrizza da sè.

La regola aurea della morale kantiana è questa: tratta i tuoi simili sempre come fine e mai come mezzo. Vogliamo applicare questa motto alla politica che abbiamo davanti agli occhi? Trattare ogni essere umano come fine e mai come mezzo”.

“In Italia è sparita la politica. L’aspetto seduttivo, carismatico, l’insistenza perfino sugli aspetti fisici dei candidati, non è la causa, ma la conseguenza del fatto che siamo in carenza di politica. Non discutiamo più dei fini, ma di amministrazione dell’esistente. Oggi siamo di fronte non più al leader carismatico alla Weber, ma di attori di terz’ordine.

Dobbiamo mettere in discussione come vogliamo vivere. Abbiamo buttato via le ideologie e al tempo stesso la politica. Dovremmo riuscire a inserirci lì, sennò diamo il potere ai tecnici o ai ballerini della politica.

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