La giustizia offesa in trent’anni di inchieste. Bilancio-campionario di Armando Spataro

14 Lug 2010

La giustizia offesa, ovvero il passato e il presente della magistratura in Italia vissuti nella consapevolezza che «nessun governo sarà mai disposto ad accettare fino in fondo il ruolo che la Costituzione le affida». Sono le testimonianze della professionalità intensamente vissuta dal giudice Armando Spataro, procuratore aggiunto al tribunale di Milano e protagonista di oltre trent’anni di inchieste che hanno segnato la vita del Paese, evidenziandone a volte le contraddizioni a livello istituzionale e politico.
È stata essenzialmente un’occasione di dibattito e confronto con l’uomo di legge da sempre in prima linea, la presentazione del suo diario esistenziale edito da Laterza “Ne valeva la pena”, organizzata al Circolo Pickwick di Messina dal circolo Libertà e giustizia rappresentato dalla coordinatrice provinciale Giusi Furnari e dalla componente della direzione nazionale Simona Peverelli. A parlare del libro, e della sua imprescindibile funzione di bilancio-campionario su quasi mezzo secolo di casi giudiziari a dir poco eclatanti, il prof. Santi Di Bella, che nei termini specifici della sua relazione ha introdotto anche il successivo dibattito sui limiti alle intercettazioni e sul diritto alla privacy, coordinato da Gabriele Siracusano e guidato dal giornalista Nino Rizzo Nervo, consigliere di amministrazione della Rai e critico convinto del decreto governativo, su cui di recente ha assunto una netta posizione di rifiuto la più importante stampa estera.

Dunque, un excursus tra le aule dei grandi tribunali nei decenni ultimi del secolo breve e nel primo, lungo decennio del nuovo millennio. A unirli idealmente, in base alla dettagliata trattazione di Spataro, l’atteggiamento invasivo della politica, intesa come sinonimo di potere, e quindi privata di una qualsiasi connotazione di colore o schieramento. Una posizione ribadita dal giudice pure nel corso del dibattito, in risposta alle provocazioni di Siracusano, e con il conforto del procuratore di Messina Guido Lo Forte. E per dimostrare l’atteggiamento operativo della politica – assai penalizzante e limitativo della stessa esplicita volontà dei padri costituenti – nulla di meglio dell’evento-simbolo del caso Abu Omar, che l’autore conosce a perfezione per essere stato titolare delle indagini assieme al suo immancabile alter ego Ferdinando Enrico Pomarici. «Com’è potuto accadere che due governi di diverso orientamento politico abbiano uno dopo l’altro apposto il segreto di Stato su notizie già universalmente note perché da tempo circolanti sul web?» si è chiesto Spataro. Rispondendo a se stesso, ma soprattutto alla collettività che invoca da sempre una giustizia rapida ed efficiente, attraverso l’esaltazione della principale e fondamentale risorsa della democrazia, identificata appunto in quella paradigmatica indipendenza della magistratura, che infine è riuscita a portare sul banco degli imputati (caso unico al mondo) non pochi componenti dei servizi segreti americani e italiani.

Un principio imprescindibile, che dovrebbe valere oggi come premessa essenziale nell’acceso confronto sul tema delle intercettazioni e del diritto di cronaca, e nella rivisitazione stessa delle infinite «storie di terrorismi e mafie», raccolte con scrupolo addirittura filologico nelle oltre seicento pagine del testo. Un’autentica storia da pubblico ministero, a partire dal processo alle Br che ha ispirato il titolo del volume come risposta a un sms ricevuto dal “collega-fratello” («proprio sicuri di aver fatto bene a rischiare la pelle?»).

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