Ambasciatori dello Stato o del premier?

12 Ott 2009

Ma insomma, gli ambasciatori italiani all’estero rappresentano lo Stato o gli interessi e la figura del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, quello che, per sua ammissione, viene sputtanato in tutto il mondo? Intendiamoci, non ce l’abbiamo soltanto con le feluche ma soprattutto con chi – dallo stesso Cavaliere al ministro degli Esteri Franco Frattini – dà loro direttive assolutamente improprie, anzi assolutamente inammissibili. Allora, intanto, riepiloghiamo. Nel marzo scorso, in seguito ad una serie di articoli di “El Pais”, il nostro ambasciatore a Madrid, Pasquale Terracciano, scrive una lettera al più autorevole quotidiano spagnolo. Lettera? Piuttosto una furibonda sfuriata: lui, Terracciano, è stufo e “offeso” per gli articoli sull’Italia che “hanno il sapore dell’insulto”. Insulto a chi? Passa appena qualche giorno, e siccome anche i più importanti giornali degli Stati Uniti riferiscono e commentano le gesta del Cavaliere ironizzandoci sopra, ecco l’ambasciatore d’Italia a Washington, Gianni Castellaneta (promosso sul campo da Berlusconi: era il suo consigliere diplomatico), fare la voce grossa, protestare pubblicamente perché si è osato parlar male non di Garibaldi ma di un presidente del Consiglio coinvolto nelle vicende delle escort che frequentavano il letto di Putin. (A proposito di Castellaneta: strepitoso il suo vedere una stretta somiglianza politica tra Berlusconi e l’ “abbronzato” Obama).Non c’è due senza tre: si muove anche l’ambasciatore italiano nel Regno Unito, Giancarlo Aragona, che scrive nientemeno che al “Times”.

Bontà sua gli riconosce un “legittimo interesse verso le vicende italiane” ma protesta anche lui, e con veemenza, per l’impudenza del più autorevole giornale inglese che osa porre il problema se non sia il caso che Berlusconi si dimetta. Eh no, “spetta ancora ai cittadini di ogni paese scegliere chi deve guidarli!” (come dire: fatevi un po’ gli affari vostri – testuale commento del “Corriere della Sera” ormai anch’esso annoverato dal Cavaliere tra i giornali comunisti). A difesa (cauta, prudentissima) di questo terzetto di servitori non dello Stato ma degli interessi del Cavaliere, va detto però che non si tratta di iniziative personali ma di gesti pilotati dall’alto, e con sfacciata improntitudine. Nel luglio dell’anno scorso il ministro degli Esteri, Frattini, spedì a tutte le sedi diplomatiche italiane una vera e propria direttiva con un duplice messaggio: gli ambasciatori si diano da fare per promuovere sui giornali dei paesi in cui “operano” l’immagine dell’Italia (dell’Italia, non di Berlusconi: inammissibile e grottesca una sorta di proprietà transitiva), e controllino attentamente che cosa scrivono i giornali stranieri sull’Italia (idem come sopra) ed eventualmente intervenire per ribattere. E quelli – Terracciano, Castellaneta e Aragona – hanno preso alla lettera il ministro, quasi che non tutelassero gli interessi dell’Italia ma, appunto, solo quelli del Cavaliere.A proposito di interessi. In realtà la matrice della Berlusconi-dipendenza di certe feluche non è neppure Frattini ma lo stesso presidente del Consiglio.

Temiamo che purtroppo siano in pochi a ricordare una sconcertante sortita del Cavaliere quando, il 24 luglio 2002, essendo lo stesso Berlusconi ministro degli Esteri ad interim (in seguito alle polemiche dimissioni del diplomatico di professione Renato Ruggiero, ex direttore generale del WTO), convocò ambasciatori e consoli di tutto il mondo alla Farnesina per impartir loro una lezione di buoncomportamento. “Mi sono accorto – disse – che ci sono tante lacune e manchevolezze che rendono difficile il lavoro di chi è in trincea (….) Anche per la Farnesina ho notato che occorre metter mano ad un riorientamento della diplomazia (…) Nelle ambasciate ci vuole un manager per promuovere l’Italia nel mondo, diciamo un Team Italia.” Non bastasse, annunciò che “è pronta la riforma della Farnesina”. La riforma è questa che vediamo nell’atteggiamento dei tre ambasciatori? Certo è che Silvio Berlusconi, per dimostrare che già sentiva la prossima mancanza dell’interim, chiosò il predicozzo con una battuta delle sue: “Mi sono dotato di una seria di gilet che mi ricorderanno, guardandomi nello specchio, questo mio passaggio alla Farnesina”. Lo indossa ancora, uno di quei gilet. Ma inutilmente: “Non è utilizzando gli ambasciatori e la Farnesina per protestare che si metterà fine a questa campagna”, scriveva ieri il direttore de “La Stampa”, Mario Calabresi, dando questo titolo al suo fondo: “Non serve attaccare gli stranieri”…

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