Congresso, il coraggio di non deludere

15 Lug 2009

Bisognerebbe fargli un monumento al cittadino elettore del Pd, individuo tragicamente sofferente, occupato a sfogliare statuti e regolamenti, ostinatamente in cerca di una sede di partito aperta, un circolo dove chiedere informazioni, con un caso di coscienza cui deve dare risposta nel giro di pochissimi giorni. Trentacinque gradi all’ombra e una domanda assillante: devo iscrivermi adesso per partecipare alla prima fase del congresso, oppure devo aspettare a vedere chi sarà il segretario e quale il programma di questo partito e solo allora decidere se prenderne la tessera?
La scelta è ancora più dura per chi abbia come la sottoscritta una visione “romantica” della tessera di un partito: non avendone mai avuta una per tutta la vita vorrebbe non sbagliare la mossa. Un tempo il concetto di partecipazione alla vita politica si esauriva nell’andare a votare. Oggi non è così, in nessuna parte del mondo. E se uno ha avuto la fortuna di partecipare, anche se per pochissimo, alla campagna per Obama, sa molto bene che a nessuno è stato chiesto tessera o adesione o sottoscrizione o altro: non c’era tempo da perdere e il lavoro da fare era tanto. E ti dicevano anche grazie.
Dunque: partecipare ora, correndo a iscriversi, oppure aspettare, continuare a incalzare e a fare domande. La principale, quella che tanti si fanno in Italia e all’estero è la seguente: come possono gli italiani, in un momento così critico della loro vita politica ed istituzionale, consentirsi il lusso di una opposizione silente, della assoluta mancanza di un progetto per fare uscire il Paese dal pantano berlusconiano?
Premesso che le responsabilità sono di molti e non solo della classe politica di centro sinistra (che ovviamente ha la maggior colpa), la questione del progetto è quella vera, assolutamente fondamentale.

Senza di esso, senza parole chiare e impegni precisi, non si va da nessuna parte. Ma serve anche la persona in grado di pronunciarle, quelle parole, di farsi ascoltare e di avere la credibilità necessaria a coinvolgere e mobilitare.
Molti si lamentano che per adesso e in attesa delle mozioni, stiamo assistendo soltanto a uno scontro di persone, non a un dibattito politico. Questa affermazione non mi convince perché nonostante tutto, le diversità sono già abbastanza segnate.
Sono già in campo ad esempio idee di partito diverse: Bersani e i suoi più legati a un modello “solido”, radicato in circoli abitati da iscritti, aperto soltanto in occasioni precise come forse quelle dell’individuazione dei candidati a poltrone pubbliche. Fortemente vassalliana (da Salvatore Vassallo) invece il modello di Franceschini, che insiste sul nuovo, e sull’apertura ma con vistosi passi indietro rispetto alle promesse veltroniane di una partito “nuovo”. Minori confini potrebbe avere un partito guidato da Marino, ma come sarebbe questo partito ancora davvero non lo sappiamo.
Forti differenze anche sul modello istituzionale dividono i due campi: Franceschini più aperto a soluzioni bipartitiche e semipresidenziali, Bersani (se segue il modello dalemiano) punterà di più sul parlamento rinnovato e su un bipolarismo che consenta alleanze. Dunque diverse anche le proposte di legge elettorale. Diverse le ipotesi di alleanze, diverso il concetto di “rinnovamento” e di “ringiovanimento”.
Insomma, per ora sono solo differenze intuibili, che le mozioni possono smentire o accentuare.

Quello che conta sarebbe però sapere come i candidati la pensano o cosa propongono concretamente su quei tre punti che David Ragazzoni, studente della Normale e nostro socio (oltre che segretario del circolo Giovane Europa del Pd di Pisa) ha riassunto nel suo intervento: mondo del lavoro, una buona immigrazione, il “merito” che parta dall’uguaglianza dei punti di partenza.
A questo punto della storia, la vera responsabilità dei candidati alla segreteria del Pd è nei confronti di tutti quei giovani (e sono tanti e molti vengono dalle scuole di formazione di LeG) che vogliono dare una mano a voltar pagina.
Sono loro che non bisogna deludere e perdere per strada.
A noi, che si viene da lontano, non importa molto, delusione più, delusione meno, tessera o non tessera. Noi, alla fine, ci saremo.

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