Congresso Pdl: tutto qui?

30 Mar 2009

Ma insomma: tutto qui? Diciamocelo francamente, ci aspettavamo di più dalla nascita del Partito Più Grande d’Italia e d’Europa. Ci aspettavamo l’indicazione del prossimo terreno di battaglia, ci preparavamo a tremare di fronte a una prospettiva di fronte alla quale ci saremmo sentiti impotenti e disarmati. Per esempio il presidenzialismo o qualche altro proditorio attacco alla democrazia. E invece niente, oltre alla consueta scenografia imperiale completa di jingle e platea adorante.Intendiamoci, questo non significa minimizzare l’accaduto. Il nuovo Pdl è una cosa serissima. Soprattutto perché riesce, e su questo non ci sono dubbi, ad essere allo stesso tempo smisuratamente grande nelle percentuali elettorali e paurosamente vuoto nei contenuti programmatici. Come i tifosi amano la squadra del cuore anche quando perde, così il popolo berlusconiano ama il suo leader anche quando non gli addita orizzonti gloriosi. E così l’opposizione si trova a dover fare i conti con i cuori più che con le teste dei suoi avversari. Compito improbo, perché vanifica gli argomenti ed esalta le suggestioni, portando lo scontro su un terreno incongruo per il centro sinistra.Ed è inutile contare su Gianfranco Fini. Berlusconi l’ha ignorato perché può permetterselo. Perché sa che la “sua” gente non vuole sentire fastidiose distinzioni e perché è convinto, a ragione, che il presidente della Camera sia ormai un condottiero senza esercito. Pierluigi Bersani ha previsto che An verrà biodegradata in breve tempo, e probabilmente sarà proprio così.Eppure se il congresso fondativo del Pdl si è risolto nella sola incoronazione del Capo vuol dire che qualche debolezza c’è.

Ed è nelle cose. Usciremo dalla crisi economica, ha promesso il Cavaliere, ma sul quando e il come non ha detto una parola. Perché? Probabilmente perché non lo sa, perché lo scontro tra Tremonti e il resto dei ministri è tutt’altro che superato, perché il dualismo tra lui e il ministro dell’Economia è una partita in pieno svolgimento. Finora la sostanza del problema è stata nascosta dietro una cortina di parole, ma non si potrà andare avanti così all’infinito.Oppure pensiamo alla questione del testamento biologico. Berlusconi può passare sotto silenzio il richiamo di Fini, ma ciò non toglie che si trovi in una scomoda posizione: il sostegno del Vaticano gli serve, ma sicuramente non ignora che la maggior parte dei cittadini, compresi i suoi elettori, è più vicina alle posizioni del presidente della Camera che a quelle del papa. Per lui è un bel problema.E poi c’è Bossi. Alla Lega l’obiettivo dichiarato dal Pdl di voler raggiungere la maggioranza assoluta dei consensi deve suonare come una campana a morto. Se Berlusconi ce la facesse, Bossi sarebbe condannato all’irrilevanza e quindi all’estinzione. Nel breve termine questo può produrre un profluvio di pegni pagati all’intransigenza padana, a partire dal federalismo per arrivare chissà dove. Ma questo potrebbe rianimare la componente aennina e ridare spazio a Fini. E se anche ciò non accadesse è tutto da dimostrare che, incassati i risultati, il Carroccio accetterebbe supinamente di dichiarare conclusa la sua battaglia e di rinunciare alla sua stessa esistenza.Sono linee di frattura che percorrono il corpaccione del nuovo partito berlusconiano.

Non sono in grado per ora di indebolirlo, ma ne denunciano la tara congenita. E spiegano perché il Capo non sia stato in grado, nella solenne occasione del congresso fondativo, di indicare un cammino preciso ed entusiasmante alla sua creatura. Se avesse parlato di presidenzialismo, è facile immaginare che Bossi avrebbe potuto mettersi di traverso proprio per evitare di consegnarsi mani a piedi al Cavaliere. E lo stesso discorso vale per altri argomenti, non ultimo il prossimo referendum elettorale. Il risultato è che lo spazio per l’opposizione esiste. Sempre che voglia, e sappia, avvalersene.

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