Non ce l’ho fatta, chiedo scusa

18 Feb 2009

Redazione

“Non ce l’ho fatta e chiedo scusa”. Così Walter Veltroni nella conferenza stampa convocata per spiegare le ragioni delle sue dimissioni. Ora che nel suo futuro c’è il lavoro “di semplice deputato”, affronta a piazza di Pietra i sedici mesi che lo hanno visto leader del centrosinistra: le difficoltà di tenere insieme anime e sensibilità politiche diverse che ancora forse non hanno abbandonato la logica della coalizione, tutti insieme ma ognuno per sè, per entrare nell’ottica del partito unitario. E le divisioni interne, soprattutto quelle alimentate dal fronte diessino. L’opposizione “poco gridata”, l’avversario Berlusconi e il futuro del Pd.
Sogno e rimpianto Veltroni ha un grande rimpianto: “il Pd doveva nascere già nel 1996», dopo la vittoria elettorale di Prodi. “L’idea dell’Ulivo – dice – era la possibilità di cambiare il Paese, cosa che il governo Prodi, che al suo interno aveva due ministri che sarebbero poi diventati presidenti della Repubblica, aveva iniziato a fare. E se l’esperienza di quel governo fosse andato avanti tutto il corso della storia italiana sarebbe stato diverso”. Oggi che il Partito democratico è nato, è la “realizzazione di un sogno” perché dal dopoguerra “non c’è mai stato un ciclo veramente riformista”. L’Italia, secondo Veltroni, è un po’ quella da Gattopardo, una nazione che non riesce a cambiare mai nel suo assecondare vocazioni e privilegi. “E qui sta, secondo me, la sfida principale del Partito democratico, la sua vocazione maggioritaria: conquistare il consenso con una maggioranza, perché dal 1994 noi non abbiamo mai avuto la maggioranza degli italiani ma è a quella che dobbiamo puntare perché se non abbiamo una grande forza riformista, questo Paese non cambierà mai”.

Veltroni parla per poco più di 40 minuti. Cita Romano Prodi e l’Ulivo, la vittoria del ’96 e quel sogno interrotto. Parla del “sogno”, il suo sogno, di cambiare l’Italia. “Per questo è nato il Pd, per diventare il partito del destino del nostro Paese”. Cambiamento, certo. In questo sta “la vocazione maggioritaria” del Pd e non nell’essere un semplice vinavil, un mero collante. Riformismo, ci mancherebbe. Quello che serve per cambiare un sistema di valori che Berlusconi “ha sostituiti con i disvalori”. Lavorare a testa bassa, conquistando casamatta dopo casamatta, dice Veltroni, citando Gramsci. Ma per farlo serve “pazienza e fiducia”. Serve, continua Veltroni, un partito che non trituri il leader dopo ogni sconfitta: “Non accade da nessuna parte una cosa del genere, da noi è la regola” scandisce. E si capisce che parla di lui. Della sua solitudine. Di un gruppo dirigente da cui, in larga parte, non si è sentito appoggiato. Il suo Pd, invece, l’ex segretario l’ha visto più volte: al Lingotto, a Spello, in campagna elettorale, alla scuola di Cortona e al Circo Massimo. E durante le primarie. E anche nelle divisioni interne. Quelle chiare, però. “Abituiamoci al fatto che un grande partito non può essere una caserma – dice tra gli applausi – I partiti moderni sono così, ma alcuni di noi hanno l’imprinting dei partiti degli anni ’70. Sogno un partito che si chieda non da dove si viene ma dove si va. Un partito che abbandoni una certa sinistra giustizialista, salottiera e conservatrice.

Un partito che abbia dirigenti che facciano propria un’identità che gli elettori già hanno”. Un partito democratico, insomma. Come quello che si era materializzato tra le bandiere del Circo Massimo. Un obiettivo da raggiungere “ovviamente non solo con il Pd, ma certamente con una maggioranza riformista. Il Pd non deve essere la colla che tiene insieme cose diverse. Dobbiamo – continuato l’ex Segretario del partito – superare personalismi e divisioni e passare da una sinistra salottiera, giustizialista, pessimista e sostanzialmente conservatrice ad un centrosinistra non conservatore ma innovatore, non salottiero ma capace di recuperare il giusto rapporto con la vita reale dei cittadini”.
Non ce l’ho fatta“Volevo creare un partito diverso ma non ce l’ho fatta e chiedo scusa per questo”. Scoppia l’applauso. “Sento di non aver corrisposto alla spinta di innovazione”.
Berlusconi“Berlusconi ha vinto una battaglia di egemonia nella società perchè con i suoi mezzi ha stravolto il sistema dei valori ed ha costruito un sistema di disvalori contro i quali bisogna combattere con coraggio. Bisogna avere il coraggio di mettere la vela al vento – auspica ancora Veltroni – anche quando il vento è basso, andando casa matta per casa matta. Questo non è antiberlusconismo ma è critica che è un valore della democrazia”.
Il futuro“Penso – indica ancora Veltroni – che il passaggio dei prossimi giorni si dovrà accompagnare all’avanzare di forze e energie nuove, ad esperienze legate ai territori e ai nostri amministratori”.

Quanto al prossimo leader, Veltroni ammonisce: “Non chiedetegli risultati, orologio alla mano”. Veltroni esce di scena, ringraziando tutti i più stretti collaboratori, e l’amico Franceschini in particolare, ma se ne va “senza sbattere la porta”.
L’assemblea costituenteSabato, sarà covocata l’assemblea costituente, che o eleggerà un nuovo segretario, oppure aprirà il percorso congressuale, come previsto dallo statuto. Per ora, dunque, nessuna proposta ufficiale da parte del vertice del partito, c’è sempre sia l’ipotesi di eleggere un segretario pro tempore fino alle europee e quindi al congresso di ottobre, sia di aprire la fase congressuale e, nel frattempo, lasciare il partito alla reggenza di un direttorio collegiale.

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