Esattamente undici anni fa Berlusconi premier proponeva, motivando con l’efficienza del lavoro parlamentare, che il voto in Aula fosse attribuito ai capigruppo per tutti i componenti di ciascun gruppo (Repubblica.it del 10 marzo 2009). La proposta fu subito cestinata da Gianfranco Fini, allora presidente della Camera, e attaccata come antiparlamentare e antidemocratica dal centrosinistra.
Il coronavirus 2020 batte il Berlusconi 2009.
Il presidente della Camera Fico ci informa che tutti i gruppi hanno consentito a «una riduzione concordata nel numero di deputati che affluiranno a Montecitorio che garantisca la proporzionalità fra i gruppi stessi e il plenum della maggioranza assoluta dei componenti». È un contingentamento da virus: non a tutti i deputati sarà consentito votare.
Ci si riferisce al voto sullo scostamento di bilancio, ma la porta non si chiude: «È una modalità straordinaria dovuta all’emergenza attuale e che speriamo di dover adottare per il minore tempo possibile».
È una decisione incostituzionale, e un pericoloso precedente. Incide sul voto, diritto inalienabile essenziale nella funzione di ciascun parlamentare. Grava, come corollario, sulla funzione di rappresentanza propria dell’ assemblea. Al parlamentare può essere preclusa la partecipazione ai lavori e al voto solo in alcuni limitatissimi casi, previsti dai regolamenti a fini essenzialmente sanzionatori (Camera, articolo 58 e seguenti; Senato, articolo 66 e seguenti).
Chi, come e dove sceglierà ora i fortunati ammessi a votare? Forse meno censurabile appare in astratto la decisione del Senato, che richiama un «voto per scaglioni e attraverso appello nominale». In principio, consentirebbe il voto a tutti i senatori. Ma anche per il Senato sarebbe stata concordata una presenza limitata al numero legale.
Sia per la Camera che per il Senato, sono decisioni che non potrebbero lecitamente impedire ad alcuno di entrare in Aula per esercitare il proprio diritto di voto.
Il 6 marzo Luigi Zanda, senatore Pd, dichiarava bellicosamente a La Repubblica: «Nessuno pensi di chiudere il Parlamento… un Parlamento può rallentare i propri lavori oppure sospenderli brevemente per disinfestare le aule e gli uffici, ma deve restare sempre aperto, in grado di riunirsi in ogni momento. Non facciamo scherzi … Non possono esserci eventi straordinari che ne interrompano l’ attività: anzi, quanto più il Paese è a rischio, tanto più deve funzionare».
Zanda ci aveva rassicurato.
Ma un’assemblea che lascia fuori la metà dei componenti viene meno alla sua funzione non meno che se chiudesse del tutto i battenti. È impietoso il paragone tra gli operai che a Genova hanno sollevato e messo in opera nella notte una enorme campata del nuovo ponte, tenendo il cantiere aperto e non interrompendo mai i lavori, mentre deputati e senatori pensavano ad auto -proteggersi. Da un lato un paese che resiste con coraggio, dall’altro una istituzione che invece di dare l’esempio scappa per codardia. Né si può mantenere aperto un supermercato o un negozio di alimentari, e giungere vicini alla chiusura delle assemblee elettive. Forse che Camera e Senato valgono per gli italiani meno di salami e mozzarelle?
Quel che accade è uno spot per chi vuole rottamare la democrazia rappresentativa.
Noi vogliamo il contrario, e perciò ci opponiamo al taglio dei parlamentari che andrà prima o poi al voto referendario. Il problema non è la quantità, ma la qualità, determinata dalle regole elettorali e dai soggetti politici. I romani dicevano: senatores boni viri, senatus mala bestia. Qui i parlamentari non sono affatto boni viri, ed è a causa loro che il parlamento è una mala bestia.
il manifesto, 11 marzo 2020