Ardita: “Vogliono dei pm governativi che non disturbino la Casta”

27 Febbraio 2019

Marco Travaglio

Dottor Sebastiano Ardita, ha notato? Bastano un paio di iniziative giudiziarie “eccellenti” in pochi giorni (dalla condanna di Formigoni all’arresto dei genitori di Renzi), e subito i partiti tornano a parlare di separazione della carriere. Dal suo osservatorio del Csm, che idea s’è fatto?
Quello di separare le carriere di pm e giudici è diventato uno slogan per reagire alle iniziative giudiziarie. Ma, secondo me, non ci crede più nemmeno chi se ne fa portatore. Oppure non ne capisce nemmeno il significato. Il giudice fonda tutto sui dati processuali e sulla sua coscienza: che il pm abbia una carriera formalmente analoga alla sua è del tutto irrilevante.

Che conseguenze avrebbe separare le carriere?
La separazione delle carriere di fatto l’ ha già prevista la legge di ordinamento giudiziario del 2007, firmata dall’ allora ministro del centrosinistra Mastella con qualche modifica alla precedente legge delega del suo collega di centrodestra Castelli: se vuoi passare da pm a giudice devi cambiare regione e, se vuoi tornare pm, puoi dimenticarti di fare carriera, perché perdi anni di specificità e dunque titoli. Ormai, togliendo quelli di prima nomina o inviati nelle sedi disagiate, cambia funzioni meno di un magistrato su dieci.

E dunque perché la vogliono quasi tutti?
La separazione giuridica ha un senso solo se si vuol mettere le mani sulla indipendenza del pm, assoggettandolo al potere esecutivo, cioè al governo. Altrimenti l’ unico effetto sarebbe quello di accentuare la vocazione poliziesca del pm, sganciandolo dalla cultura della giurisdizione, fondata sulla ricerca della verità. Insomma se il timore, come si sente dire, sarebbero le iniziative giudiziarie “avventate” – e francamente ne vedo sempre meno – con un pm ancora più indipendente e autoreferenziale l’unico effetto sarebbe quello di moltiplicarle. A meno che il pm non sia controllato dalla politica.
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La separazione della carriere è il minimo comun denominatore che unisce tutto il peggio della storia repubblicana: da Gelli a Craxi, da Berlusconi alla Bicamerale di D’ Alema. Perché?
Il fine ultimo è quello di far cadere un limite costituzionale all’esercizio del potere pubblico, ponendo forme di controllo sul pm. Se è per questo, tempo fa è stato anche proposto di togliere al pm ogni iniziativa investigativa (affidata alle forze dell’ ordine, dipendenti dal governo), e pure l’ esercizio della azione penale, relegando la sua funzione a quella di semplice rappresentate dell’ accusa in udienza. Un metodo più sbrigativo, per cui non è necessario neppure separare le carriere. In passato il controllo politico del pm fu un caposaldo del “Piano di rinascita” della P2: già sotto il fascismo i pm erano funzionari sottoposti al Guardasigilli. È una riforma che piace a tutti coloro che non gradiscono che qualcuno disturbi il manovratore. 
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Non c’è il rischio che, in una magistratura sempre più “genuflessa” – come dice il suo amico e collega Davigo – questa controriforma possa raccogliere consensi? 
Consenso culturale non ce ne può essere. Ma è pur vero che chi vuole una magistratura meno libera potrebbe far leva sugli effetti distorti del nuovo ordinamento giudiziario del 2007 che – moltiplicando gli obblighi formali e disciplinari – ha reso ingestibile la vita di chi ha migliaia di procedimenti sul “ruolo”. Dunque anche noi dobbiamo fare la nostra parte. Spetta al Csm non opprimere i magistrati valorosi e anzi garantire loro serenità e indipendenza. Invece va mantenuta la massima severità verso chi offende il decoro della funzione. Insomma occorre impedire che i magistrati siano posti dinanzi all’alternativa tra il rigore cieco del loro autogoverno e la dipendenza da un potere esterno, magari accondiscendente e generoso con una categoria che si “comporta bene” e non disturba il manovratore. 
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Diversamente dai tempi di Gelli, Craxi e B., la separazione delle carriere raccoglie consensi politici trasversali: dalle Camere penali a Forza Italia, da Salvini alla mozione Martina del Pd. Cos’è cambiato? 
Molte cose. Un tempo, col sistema proporzionale, l’ indipendenza della magistratura era difesa dalle opposizioni politiche, ma è anche vero che la maggioranza fu per oltre 40 anni quasi sempre dello stesso colore. Evidentemente, con il maggioritario e l’alternanza, le cose sono cambiate e pressoché tutti avvertono la stessa esigenza di porre un freno alla attività dei magistrati. Eppure nei miei nove anni di direzione dell’Ufficio detenuti del ministero della Giustizia, ho visto ben pochi colletti bianchi e “vip” che varcassero le soglie del carcere: si possono contare sulle dita di una mano.

 

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