Borghesucci

09 Dicembre 2018

Nel 1978, per affrontare la nuova fase in cui era entrata la società italiana, Enrico Berlinguer propose un’alleanza tra i ceti medi produttivi e la classe operaia, di cui si cominciava a vedere la trasformazione e il declino. Avrebbe dovuto essere questa la base economico-sociale della strategia che includeva anche la questione morale e quella ambientale. Con Moro, che la pensava in modo simile, fu fatto il tentativo di evitare al Paese di finire sul binario che ci ha condotto dove siamo adesso.

La saggia e profonda visione di Berlinguer e Moro, e per me soprattutto la figura di Moro, mi ha reso intollerabile chi valuta con stereotipi letterari le dinamiche tra classi sociali. Un linguaggio di questo genere, brutale e un po’ sciocco, è riemerso nel modo in cui tra i 5S ma anche a sinistra molti hanno descritto la manifestazione di Torino pro (il, mi raccomando, il) TAV: le “madamine”, il “sistema Torino”, gli interessi bassi dei professionisti con i loro studi di progettazione, ecc…

Ma in questo caso non si tratta solo di stile. Specialmente nella sinistra radicale prevale ormai un’ossessione anti-borghese di cui una prova brillante si ebbe quando un partito che non è il mio ma che aveva milioni di voti, il PD, venne etichettato come “partito della Ztl”, con involontaria torsione freudiana perché in zona centro storico vivono almeno simbolicamente se non di fatto anche gli intellettuali e i professori che coniarono e diffusero quell’espressione.

D’altronde, il radicalismo italiano non deve fare poi tanta paura, perché abbonda stranamente di intellettuali rivoluzionari che lavorano nelle università, fanno parte di gruppi editoriali e appaiono ogni due giorni in televisione. Ci deve quindi essere, come nella Luna, un lato oscuro e uno luminoso del sistema del potere in Italia, in rapido moto attorno al proprio asse.

Ma se a sinistra volessimo impegnarci per un’idea costruttiva della società italiana, e iniziare a tirarci fuori dal pozzo in cui siamo caduti, dovremmo cercare di favorire un’alleanza tra i ceti più poveri e quel che rimane della borghesia media e piccola, in un’ottica sociale come quella di Berlinguer e popolare come quella di Moro, un’ottica che per le cose cambiate da allora si presenterebbe forse oggi come un programma liberal-socialista, che sarebbe fatto di dialogo/scambio/permeabilità/innovazione.

Ma il compiacimento per le proprie barricate di carta, per la propria coerenza astratta, oltre ad avere alzato un muro tra la sinistra e il “popolo” ampio quanto quello costruito da Renzi, rende sempre più difficile una riflessione innovativa, favorendo invece la logica del conflitto e di fatto l’autoritarismo (vedi su questo sito il mio Il primo giorno della rivoluzione).

Ma essere anti-borghese per la sinistra significa, marxianamente, accettare la propria sconfitta storica, e ridursi a semplice testimonianza di valori, che è un lusso, e quindi la conferma di una posizione elitaria. La testimonianza è il contrario dei pani e dei pesci del Vangelo, perché con essa i poveri e gli ultimi non riusciranno mai a sfamarsi.

(*) L’autore è socio del Circolo LeG di Messina.

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