«Questa è la nostra Firenze, ricordiamolo a Renzi. Non è la sua Firenze. E se ne accorgerà il 4 dicembre quando perderà il referendum anche qui». Sandra Bonsanti lancia una sfida diretta al premier dal palco di piazza Ognissanti dove ieri Sinistra Italiana ha aperto la campagna nazionale per il No. La manifestazione, organizzata da Daniela Lastri che ha parlato per prima dicendo «non abbiamo soldi né mezzi ma solo la forza delle nostre idee», ha schierato in un colpo solo tutti i nomi più in vista dello schieramento che da sinistra si oppone alla riforma costituzionale firmata dalla ministra Boschi. Per oltre tre ore, annunciati di volta in volta dal presentatore Luca Telese, hanno esposto le loro ragioni ai mille in ascolto (un po’ fiaccati nella seconda parte della maratona oratoria) Cofferati, Pippo Civati, Curzio Maltese, Vendola, Stefano Fassina, Grassi, Fattori, Ubaldo Nannicini, l’ avvocato Guido Calvi, il costituzionalista Paolo Caretti, lo storico dell’arte Tomaso Montanari, i parlamentari Fratoianni, Loredana de Petris, Renzo Ulivieri e il capogruppo alla Camera Scotto.
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«Voto per la prima volta nella mia vita e voto un bellissimo No con grande convinzione», racconta Anita, studentessa del liceo classico Galileo che invita tutti al corteo “Voci di una generazione precaria” in piazza San Marco la mattina del 7 ottobre.
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Sono molti i ragazzi che alzano i cartelli dei comitati del No, secondo Lastri i volontari reclutati on line sarebbero già oltre cinquemila, «i giovani stanno con noi, vogliono cambiare il paese ma in senso opposto a quello in cui va il governo». Insieme alla riforma costituzionale sono la Buona scuola e il Jobs Act i provvedimenti più attaccati dalla Sinistra.
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«La mistificazione inizia dal titolo delle leggi, dal linguaggio usato per illudere che tutto vada bene», sostiene Vendola, convinto che il Pd renziano incarni «un berlusconismo di sinistra». Carlo Freccero, presente non in corpo ma solo in spirito, manda un lungo messaggio in cui denuncia «l’ eutanasia dell’ opposizione» voluta dalla riforma e intravede la deriva autoritaria «di un paese in cui tutto diventa maggioritario ».
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Bonsanti è durissima: «L’ignoranza della storia è così profonda da parte di Renzi da fargli definire la strage di Marzabotto “una battaglia” e allora sarà bene rileggere i versi della poetessa partigiana Joyce Lussu per onorare il sacrificio dei bambini trucidati dai nazisti». Sia lei che il docente fiorentino Caretti, che ha firmato l’appello dei 56 costituzionalisti per il No, sono convinti che il cambio di quei 47 articoli «renderà serva la Camera e inutile il Senato» e complicherà il sistema anziché semplificarlo «moltiplicando i percorsi in cui un provvedimento legislativo potrà essere incanalato». Argomenti tecnici, a cui vengono accostati effetti dialettici speciali, più immediatamente afferrabili.
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«Se perdiamo questa partita dopo forse non avremo più neppure il campo in cui giocare», dice Tomaso Montanari. «Lo scopo di questa riforma, voluta dai mercati finanziari internazionali più che dall’esangue classe dirigente italiana, è di togliere sovranità ai popoli stravolgendo le costituzioni democratiche scritte nel dopoguerra. Lo Stato si prende la competenza esclusiva su porti, aeroporti ed energia, le grandi opere non saranno più discusse con nessuno, un altro referendum sulle trivelle sarà impossibile ».
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Qualcuno pensa alla pista di Peretola e all’inceneritore ed è a quel punto che sale sul palco il sindaco di Sesto Lorenzo Falchi, vincitore della battaglia antirenziana nella “piccola Stalingrado toscana” come simpaticamente la definisce Telese. La piazza fischia sonoramente il nome di Napolitano evocato da Scotto e poi di nuovo da Sergio Cofferati che di lui dice: «Lo rispetto ma non condivido le sue posizioni».
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Torna alle origini Pippo Civati, che affiancò Renzi nella prima Leopolda e adesso vorrebbe tornare «nella tana del lupo»: «Gli chiederò un confronto sulla riforma alla convention del novembre» ma tutti urlano “noooo, non ti fidare” prima ancora che finisca la frase. Tra gli ultimi compare Fassina: «Se Renzi perde e si dimette avremo un nuovo governo», dice. «La democrazia non dipende mica dalla sua presenza».
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La Repubblica ed. firenze, 2 Ottobre 2016