Sostiene Luciano Canfora: “Il Pd è da tempo un partito di centro e il centro da sempre ha una vocazione trasformista, quello che sta accadendo non mi stupisce”. Filologo classico, storico, saggista nonché marxista, Canfora ha un disincanto lucidissimo, se non crudele, rispetto alla cosiddetta mutazione genetica del Pd renziano.
Professore, però lo sdoganamento di Verdini è troppo anche per chi è cinicamente realista.
Verdini è una persona che dà fastidio anche avere accanto, detto questo, prenda Hollande e Valls in Francia che fanno le stesse cose della Le Pen o di Salvini contro i migranti, fenomeno epocale.
Che c’entra questo?
La crisi del socialismo reale nel 1989-1991 fa entrare in crisi anche le socialdemocrazie europee. È un paradosso ma è così. Da quel momento lo Stato sociale, che è stato lo strumento fondamentale dei socialdemocratici per contrastare l’alternativa bolscevica, è stato difeso sempre meno efficacemente dall’attacco delle destre. Allo stesso tempo è arrivata la crisi economica, che durerà ancora.
Risultato?
Negli Stati cosiddetti ricchi, le socialdemocrazie si sono snaturate tutte e Renzi fa le stesse cose degli altri, magari con maggior disinvoltura gattopardesca e trasformistica.
Se il Pd è di centro, allora non è di sinistra.
A dir il vero, la esse di sinistra, il Pd l’ha persa già quando è nato con Veltroni. Prima era Pds e poi Ds. Il Pd è una formazione centrista per la gestione dell’esistente.
Quindi ben vengano Verdini e anche Alfano.
Quello che conta è far vincere i ricatti di Confindustria e non intaccare il profitto. Per quanto riguarda Verdini, ricordo che fu Vespasiano a dire che il denaro non puzza, non olet, quando mise la tassa sui gabinetti pubblici. Lo so, è una risposta cinica ma è così.
Ma non tutto si può risolvere con il realismo. Ci sarà un’alternativa.
Lo spero ma non è facile. Ci vorrebbe una grande campagna culturale profonda. La critica ci può salvare ma ci sono le nebbie del sistema informativo.
C’è una disinformazione di massa.
C’è una schiavitù spontanea del sistema informativo. Un autoasservimento nei confronti di un gruppo dirigente che si ritiene vincitore. Tutti si sono gettati ai piedi di Renzi. Non era riuscito, ripeto, nemmeno a Berlusconi.
C’è poi la deriva della riforma costituzionale.
La riforma è un aborto, sia chiaro ma già ai tempi della Costituente, Togliatti riteneva il Senato un ingombro. La tradizione giacobina è basata su una sola Camera a suffragio universale e con il sistema proporzionale. Il problema è che questo è un compromesso al ribasso in cui cento notabili di paese andranno lì, al Senato, a spese dei contribuenti.
La minoranza del Pd si è consegnata mani e piedi a Renzi, dopo aver minacciato per mesi battaglia.
Ma quale battaglia, c’è stata solo una contrattazione all ’interno del partito per contare di più.
Convenienze e tatticismi.
La vera questione però è un’altra. Tutto questo nasce dalla bubbola della governabilità attorno al principio maggioritario, introdotto dal referendum Segni. Vi è piaciuto il giocattolo? E adesso tenetevelo. Ecco se voi del Fatto volete fare una battaglia fondamentale dovete fare questa.
Il ritorno al proporzionale?
Sì, perché con questo astensionismo avremo solo governi della minoranza votante. Il già citato Verdini se lo augura, ha detto in tv che non c’è nulla di male nell’astensionismo. Lui non fa che ripetere con tracotanza ciò che i politologi sostengono. La sostanza è la stessa. Il Pd diventerà la nuova Dc sotto forma di Partito della Nazione. Quando Alcide De Gasperi fece il partito democratico cristiano poteva contare almeno su un elemento eversivo in più.
Cioè?
Il pensiero sociale della Chiesa che criticava i presupposti del capitalismo. Per Renzi invece c’è solo la gestione dell’esistente, anche grazie al trasformismo. Renzi ha già lo schema con cui tentare di vincere le prossime elezioni politiche. Tagli alle tasse e un po’ di salari sociali.
Il Fatto Quotidiano, 8 Ottobre 2015