Gliene stanno dicendo di tutte: che è ipocrita, che è un irresponsabile, che è “stizzito”, che è “incomprensibile”, che mette a rischio la vittoria del Pd in Liguria.
Lui risponde con l’espressione rattristata di chi ha compiuto una dolorosa scoperta. Dice: Renzi non ha avuto nemmeno “il garbo” di aspettare le conclusioni della commissione.
Eppure lo doveva sapere anche lui, Sergio Cofferati, che l’aver “garbo” non è proprio una delle caratteristiche della politica del Presidente del Consiglio. A farne le spese sono stati in tanti, dentro e fuori il Pd.
Purtroppo il problema è molto più grave di una pura e semplice questione di etichetta. Il problema è che il Partito democratico di Matteo Renzi sta costruendo ancora ed ancora il suo potere sulla base di elezioni aggiustate o non rappresentative, di primarie che, come è accaduto a Napoli e a Bologna, non rispondono ai requisiti di trasparenza e di rispetto della volontà degli elettori che i cittadini si sarebbero aspettati.
Un difetto che, se sommato a quelli numerosi e gravissimi della nuova legge elettorale, fa semplicemente strame di democrazia.
Renzi questo problema lo conosce benissimo. Direi che le primarie “aperte a tutti” sono state l’arma che gli ha consentito di scalare il Pd dall’interno, sono state lo sgabello che l’ha fatto arrivare là dove è oggi. Dunque, anche se ora si sente dire dalla parte del Nazareno che le primarie andranno cambiate, mi permetto di dubitare che saranno toccate.
E qui devo raccontare una breve storia che mi riguarda. Nel luglio del 2012 scrissi al sindaco di Firenze (la mia città) una lettera aperta che fu pubblicata nella pagina locale di Repubblica. Il titolo della redazione fu “Caro sindaco, ti scrivo per sapere con chi stai”. Oltre a una serie di questioni relative ai suoi rapporti con Berlusconi, gli scrivevo: “Mi dicono che tu sia fortemente contrario a primarie all’americana, cioè riservate a chi, in una precedente occasione, si sia iscritto in una lista di elettori. Una cautela che a mio avviso eviterebbe le scorribande di cittadini che non fossero affatto interessati a votare un candidato di una specifica coalizione o partito a cui sentono di appartenere, ma che volessero semplicemente orientare l’esito della competizione a favore di un candidato a loro più “simpatico” di altri. Non credo che chi è sicuramente interessato a partecipare alle primarie rinuncerebbe solo perché richiesto di compiere questo semplice atto di chiarezza”.
La risposta del sindaco arrivò dopo pochi giorni. Uscì su Repubblica col titolo:”Cara Bonsanti non parlo dei caimani ecco perché non sarò mai uno di voi”.
Due pagine per spiegare quello che dopo ha detto tante volte. “Cara Sandra, so che molti tuoi amici e colleghi profondamente antiberlusconiani faticano a considerarmi uno di sinistra…Vogliono sentirmi parlare di caimani e di pericoli per la democrazia. Non lo farò mai, non sarò anti qualcosa o qualcuno..”. Tra le righe rispose anche sulle primarie “In tutte le sedi, a partire dalla Leopolda, abbiamo spiegato come la richiesta di rinnovamento sia generale prima che generazionale e come le primarie libere e aperte siano oggi l’unico strumento per sottrarre scelta di leadership e parlamentari all’autoreferenzialità della classe dirigente”.
Sono grata all’ex sindaco di Firenze della risposta ampia e articolata che è servita in questi anni a spiegarmi molte delle sue azioni. E che mi è utile anche oggi a capire qualcosa della sua azione politica. Renzi e Berlusconi si erano incontrati nel 2005, quando Renzi era presidente della Provincia e si erano rivisti nel dicembre del 2010 ad Arcore, nell’incontro a pranzo che doveva restare segreto. Narrano i biografi del presidente del Consiglio che Berlusconi in quell’occasione disse sospirando: “Caro Matteo, tu mi somigli proprio”. Al resto ci hanno pensato, in questi anni, Verdini e Lotti, il Nazareno e quelle schiere di cinesi ed altre etnie che si misero in fila a Napoli per votare, tanto che le primarie furono annullate. O la campagna della destra ligure a favore della Paita.
Renzi ha sempre dichiarato di voler prendere voti anche a destra per vincere elezioni che la sinistra in genere perde. Ma una cosa è dire “anche”, un’altra fare della quota di destra la quota decisiva, quella senza la quale non si può vincere.
Un’ultima considerazione: questi metodi con i quali si eleggono i presidenti delle Regioni ci mostrano di che stoffa sarà composto quel Senato che sta per nascere dalle rovine della Costituzione. Non soltanto non eletto dai cittadini, ma direttamente agli ordini di un capo, uno solo e senza garbo.