Sì, siamo alle porte co’ sassi, per usare un gergo familiare al nostro frenetico e fatuo presidente del Consiglio. Siamo coinvolti in un mutamento geopolitico globale ed epocale che sta sconvolgendo ogni punto di riferimento, almeno per i più anziani, come me. Come scrisse Zweig alla fine della Prima guerra mondiale “Noi tutti, da un giorno all’altro, saremo obbligati a cambiar modo di pensare per colpa di questo sterminato oggi, di cui percepiamo solo adesso la forza e solo nella paura, saremo obbligati ad approdare a una nuova forma di vita (…)”. In pochi anni il panorama politico, sociale, economico, culturale si è sconvolto: 85 miliardari detengono da soli la ricchezza di tre miliardi e mezzo di persone, nuove egemonie si stanno delineando, in una spartizione feudale del mondo, son tornati i servi della gleba, i mari son pieni dei corpi di chi cerca scampo dagli orrori del sangue e della fame (prodotti quasi sempre da noi) e le oligarchie economiche annullano le forme democratiche nate dai disastri del Novecento.
Renzi, da bravo politico, è furbo e cattivo e, più o meno consapevolmente, con l’appoggio dell’ineffabile Capo dello Stato, sta facendo quanto gli chiede la grande finanza globale, soprattutto americana: il traghettamento da una democrazia parlamentare a una presidenziale, con forte connotazione autoritaria: l’unica forma di governo ritenuta adatta a gestire la situazione attuale e i prossimi prevedibili sconvolgimenti. Un governo pronto a obbedir tacendo ai diktat delle grandi agenzie internazionali e in grado di gestire senza remore la piazza e il dissenso. Tutto il resto son chiacchiere: il mantra delle riforme, il mito della crescita, lo sviluppo, i giovani… Nulla di quanto si è letto in questi mesi riguarda la vera soluzione dei problemi urgenti, ma tutto è fumo negli occhi per far passare l’unica cosa che interessa: il cambiamento del nostro assetto costituzionale e democratico in vista del nuovo Medioevo.
Ben venga l’allarme del Fatto. Come reagire? Non c’è più un partito che possa arginare l’esondazione antidemocratica: il Pd è complice, i 5Stelle sono sostanzialmente inaffidabili, il polo di destra è allo sbando (unica nota confortante), la lista Tsipras, per cui ho votato, è agli inizi e sembra soffrire i postumi di un parto prematuro e delle “malattie infantili ” della sinistra. La velocità degli eventi non rende nemmeno più praticabile la strategia della gloriosa vecchia talpa.
Perché scrivo, allora? Un po’ per dare conforto a me stesso trovandomi in una compagnia che nutre le mie medesime angosce. Un po’ per esortare tutti a mantener alta la guardia, a dismettere, una volta tanto, le rivalità interne, le gelosie ideologiche, le ambizioni personali; a sentirsi partecipi di uno spirito nuovamente resistenziale, perché di questo si tratta. Non sto dicendo che Renzi e le sue girls siano una sorta di nuovo fascismo contro il quale si debba andarsene armati in montagna, per carità. Ma che si debbano usare tutti i mezzi democratici a disposizione, da quel che resta dell’informazione ai referendum abrogativi, dalla denuncia continua alla proposta documentata di soluzioni alternative. Ma soprattutto alla creazione di reti con Libertà e Giustizia, Lista Tsipras, il mondo cattolico democratico (che si sta risvegliando dopo il lungo inverno postconciliare), le schegge meno parrocchiali della sinistra radicale, il mondo della scuola non ancora completamente spianato, quel che resta del sindacato non asservito. Occorre che l’area della consapevolezza e del dissenso si estenda il più possibile per mettere sabbia negli ingranaggi, rallentare la deriva, avere la possibilità di organizzare un’alternativa democratica.
Il Fatto, pur giovane, ha ormai una tradizione nella capacità di controinformare e mobilitare. Il Manifesto, che nella nuova gestione si è buttato alle spalle i velleitarismi del passato, è un quotidiano di grande caratura intellettuale e offre ogni giorno analisi e inchieste che andrebbero divulgate. Sono giornali diversissimi per storia, stile e visione, ma in tempi come questi sarebbe anche auspicabile non dico una collaborazione ma almeno la consapevolezza che si condividono le stesse preoccupazioni. Non è più tempo (se mai lo è stato) per i distinguo. Occorre ripensare la Resistenza storica, non solo italiana ma europea, per quello che è stata: modo d’essere e categoria interpretativa, esigenza morale e stile di vita. Ne saremo capaci?
* Ex redattore e dirigente di Garzanti, Sansoni e Rizzoli