“Il vero oggetto del contendere è ormai l’abbandono del pluralismo costituzionale come elemento costitutivo della forma di Stato e di governo della Repubblica”, ha detto il costituzionalista nel corso della sua audizione in commissione Affari costituzionali del Senato, chiamato come esperto in merito al disegno di legge di Riforma del Senato e del Titolo V della Costituzione.
“Se una Camera fosse effettivamente rappresentativa e garantisse l’equilibrio, allora anche una riduzione del Senato a una funzione simbolica o addirittura una sua cancellazione potrebbero non avere effetti dirompenti sul sistema. Ma noi siamo di fronte all’opposto, abbiamo una Camera ipermaggioritaria; da una democrazia rappresentativa passiamo a una di investitura con logica ipermaggioritaria, seguita dal dominio del governo sul Parlamento”.
Per rafforzare la funzione di garanzie – ha proseguito il giurista – occorre “permettere al Senato di dare un parere vincolante sul bilancio, sui conflitti di interesse, sulla convalida delle elezioni, le commissioni d’inchiesta e le nomine. Tutte queste garanzie sarebbero vincolate perché fuori dalla logica maggioritaria”.
Non sono mancate le critiche all’Italicum, accusato di “produrre effetti distorsivi”. Secondo Rodotà, il patto Berlusconi-Renzi “è fondato su proposte che traducono accordi politici volti a garantire i contraenti del patto, con effetti di esclusione e di riduzione della rappresentanza, che vanno al di là dell”intento di evitare frammentazione e garantire la governabilità”. Una scelta – ha aggiunto il giurista – “conservatrice, in continuità con la precedente legge elettorale, con dubbi ancora di costituzionalità”.
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