Con Obama ha vinto la politica che ascolta anche gli altri. E non potrebbe essere altrimenti. L’America, oramai da tempo, non può più fare da sola, come si pensava – e in molti ci avevano creduto – qualche decennio fa. Certo l’Europa, per molti versi malconcia e azzoppata, non è, ad oggi, un punto di riferimento: diversi sono gli scenari che attirano le attenzioni d’oltreoceano. Molto probabilmente, infatti, negli anni a venire gli americani guarderanno più al Pacifico che all’Atlantico, più all’Asia che all’Europa. Dopo settanta anni di diplomazia americana basata sull’alleanza con gli europei, oggi l’America è concentrata sull’Asia emergente, dove ha posizioni economico-industriali da difendere e una potenza concorrente da contrastare, la Cina. Ma, nonostante tutto ciò, Barack Obama considera il Vecchio continente un partner imprescindibile. «L’Europa è una sfida importante – ha dichiarato, poche settimane fa, di fronte ad una platea di investitori – non penso che gli europei vogliano davvero la fine dell’Euro. Ma è urgente che facciano i passi decisivi per il suo salvataggio». Non usa mezzi termini nemmeno Politico.com – Bibbia della politica interna americana – quando scrive: «Obama parla di Europa. Molto. Interroga regolarmente il Segretario del Tesoro Timothy Geithner sull’andamento della crisi e telefona spesso ai leader europei». Ma forti, anzi, fortissime, restano le divergenze di impostazione e proprio sull’economia esistono le divisioni più profonde. Se sviluppo e lavoro restano le priorità comuni, come hanno ricordato oggi Barroso e Van Rompuy, l’Ue rimprovera ad Obama di non aver fatto abbastanza per riformare una finanza fatta di speculazione, mentre dagli Usa è stata più e più volte criticata la ricetta europea, targata Gemania, del rigore. Ma non c’è solo l’economia e la finanza. Anche in politica internazionale diversi sono gli scacchieri nei quali Unione Europea e Stati Uniti possono collaborare (e hanno già iniziato a farlo). Nei mesi scorsi, ad esempio, il Dipartimento di Stato americano ha inviato a Catherine Ashton – Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza – una nota confidenziale che delinea una stretta cooperazione in Asia, con specifico riferimento ai temi dei diritti umani, della governance e degli aiuti allo sviluppo. Ma anche in Africa, dove Usa e Ue lavorano gomito a gomito alla stabilizzazione del Mali, caduto in parte sotto il controllo di una ramificazione di Al Qaeda. Se l’America e l’Europa continueranno su questa strada – dicono gli analisti – ne deriveranno vantaggi per entrambe. Di certo, l’ingresso alla Casa Bianca del repubblicano Mitt Romney sarebbe stata una pessima notizia per gli europei. Durante tutta la campagna elettorale, infatti, il candidato mormone non si è risparmiato dal bacchettare duramente l’Europa, biasimandola e stigmatizzandone natura, caratteristiche e comportamenti. E questo non solo in merito alla fallimentare gestione della crisi dell’Euro – cosa, in fondo, comprensibile – ma anche e soprattutto con riferimento al ruolo dello Stato. Perché proprio lo Stato “interventista” ha sempre rappresentato lo spauracchio numero uno dei conservatori a stelle e strisce e, con esso, la sanità pubblica e il welfare che, in tutte le sue varianti, protegge (quale misfatto!) le fasce più deboli della popolazione. Per questo e altro ancora, (ri)avere un democratico alla Casa Bianca è una buona notizia. L’America di Barack Obama ha sempre sostenuto gli sforzi europei per uscire dalla crisi puntando sulla crescita. Già, la crescita, ad oggi affossata dai diktat imposti dal rigore teutonico. Ecco perché, molti – a partire dal Presidente francese François Hollande – sperano che la rielezione di Obama incoraggi ad un cambiamento di rotta anche l’Europa. Allora non rimane che ripetere il mantra di questa campagna obamiana, con la speranza che valga anche per questa parte dell’oceano: forward!