Strana saldatura, quella che avviene domani sera a Milano, alla convention del teatro Smeraldo. Il mondo di Libertà e Giustizia, Carlo De Benedetti, Umberto Eco, Roberto Saviano (Milano, ma anche la Torino incarnata da Gustavo Zagrebelsky) si somma infine a quella vasta mobilitazione dal basso contro gli zombie dei partiti morti, la mobilitazione che scacciò Berlusconi e la Moratti nelle elezioni del 2011: un mondo incarnato dal nuovo sindaco, il radical-borghese Giuliano Pisapia. I novelli sposi provano oggi a riproporre – ma su scala nazionale – quella piccola rivoluzione che aveva ridato Milano alla sinistra.
Quello che accomuna i due universi solo all’apparenza variegati è spiegato nel loro manifesto, che viene presentato in una serata-show che ha già sottoscrittori illustri ma non per forza omogenei (per dire, l’hanno firmato Gad Lerner, ma anche un liberale puro come il filosofo Gennaro Sasso, mai stato tecnicamente intruppato a sinistra): sono entrambi in certo senso mondi “di sinistra”, ma una sinistra che non impazzisce esattamente, oggi, per il governo Monti. «Lo dobbiamo accettare come pharmakon», scrivono. «Ma la medicina che guarisce può diventare il veleno che uccide». A differenza dell’appoggio quasi obtorto collo che il Pd dà l’impressione di dover ostentare; o del consenso quasi forzoso che riceve il Professore nella politica e nell’editoria moderata di centrosinistra.
Vale allora la pena di raccontare cosa dice questo manifesto. Non si trincera dietro giri di parole, «dobbiamo sapere che un governo può essere tecnico nelle premesse, ma non nelle conseguenze delle sue azioni». Spiega che «dire “tecnico” significa privare la politica della libertà». Argomenta, con parallelismo solo apparentemente sorprendente, che il populismo e l’antipolitica non stanno dalla parte di chi si mobilita dal basso, ma anzi, forse proprio dalla parte dei tecnici: «La tecnica esercita anch’essa una forza ideologica che può diventare anti-politica. Allora, quello che inizialmente è farmaco diventa veleno: senza politica, non ci può essere libertà e democrazia».
Non stupisce che proprio in questi giorni l’ingegnere De Benedetti abbia spiegato – in un’intervista a “Servizio Pubblico” circolata e retweetata assai anche fuori d’Italia tra gli indignati di Occupy Wall Street – che «la gente vuole archiviare questo periodo», e soprattutto che «gli indignati hanno ragione: sono l’indizio di un malessere che è molto più diffuso nel paese». La quadratura tra le antiche battaglie di Libertà e Giustizia e la mobilitazione stile-Pisapia è apparsa a quel punto naturale.
Certo occorre poi tener presenti i rischi di questi incroci, specie quando si dispone di una sinistra politica mai così senza bussola come oggi. E qui conviene ricordare un non piccolo precedente. Nel febbraio dell’anno scorso, al Palasharp di Milano, l’intervento più rumoroso fu quello di Saviano, che gridò dal palco alla sinistra: «Troppe volte parliamo di ciò che non siamo e che non vogliamo, è arrivato il tempo di parlare di ciò che siamo e che vogliamo». Allora, però, tutto era tenuto insieme se non altro dall’ostilità per Berlusconi. Oggi è più dura. Qualcosa nel frattempo la sinistra – ma forse è ormai persino improprio chiamarla così – l’ha detto, soprattutto a Milano. Trasformare questo sentimento in politica, è la sfida dell’operazione che si lancia domani.