Intese, si riparte dai Valdesi

06 Aprile 2009

Proprio mentre qui si raccoglieva, poche settimane addietro, la denuncia del Pd circa i biblici ritardi nel tradurre in misure legislative numerose Intese (e integrazioni di Intese pregresse) tra Stato e religioni diverse dalla cattolica, la commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama ha dato un primo segnale di sblocco di una paralisi che si protraeva dal 1995. Questa commissione ha infatti approvato – in sede legislativa, “saltando” quindi il momento del dibattito e del voto in assemblea, e trasmettendo subito alla Camera –, un disegno di legge che sancisce il valore cogente di una seconda Intesa con la Tavola Valdese. Questa nuova Intesa integra il già vigente accordo per la partecipazione al riparto dell’8 per mille, consentendo ai Valdesi di partecipare anche all’ulteriore riparto delle somme risultanti delle scelte inespresse (il 60%) assegnate in proporzione a quelle effettuate dai contribuenti Irpef.Il voto del Senato è importante sotto diversi profili, segnala il sen. Stefano Ceccanti che non solo era tra i firmatari della denuncia dei ritardi legislativi in questa delicatissima materia ma che è stato ora il relatore del provvedimento varato dal Senato. Il primo e più evidente segnale sta – appunto – nella riapertura della stagione delle Intese nel segno di una maggiore uguaglianza di trattamento: sia per gli aggiornamenti degli accordi precedenti e sia per l’ampliamento del numero delle confessioni con Intesa e non solo per quelle con cui c’è già stata una trattativa.

Non solo, s’è detto: “Il problema di un’Intesa con l’Islam – nota infatti Ceccanti – diventa sempre più ineludibile: non c’è alcuna difficoltà pratica, anche tra quelle più serie, che non possa trovare opportune soluzioni. Penso che occorra preparare sul piano culturale questo passaggio, ben sapendo che non poche saranno le resistenze e le prevenzioni”.Un’altra ragione dell’importanza di questa decisione sta nell’individuazione di una seria difficoltà, almeno per ora superata. Da tempo si era creata una grave anomalìa: le somme che si prevede siano annualmente destinate allo Stato dai cittadini-contribuenti per propria libera scelta (somme che costituiscono di per sé una variabile dipendente e aleatoria) sono state sistematicamente, e surrettiziamente, impegnate per lo stabile finanziamento di leggi di spesa pluriennale, trascurando così l’eventualità che nel tempo i cittadini possano mutare il loro orientamento, per cui allo Stato non sarebbe assegnata la consueta quota parte dell’8 per mille.Questo – ed è l’aspetto più grave perché si intaccano le garanzie fissate dall’art. 8 della Costituzione – scoraggia il negoziato e la conclusione di ulteriori Intese con altre confessioni o anche solo estensioni (come quella voluta dai Valdesi e sancita dalla decisione del Senato) alla quota delle opzioni non espresse che dovrebbe essere la regola uniforme. Ora, proprio ai sensi della legge sull’8 per mille, lo Stato dovrebbe destinare queste ingenti risorse “a scopi di interesse sociale o di carattere umanitario a diretta gestione statale”.

Negli ultimi anni, invece, la quota di spettanza dello Stato è stata utilizzata anche per finanziare leggi di spesa a medio e lungo termine riducendo moltissimo (sino agli 80 milioni di euro di quest’anno!) la somma destinata agli interventi sociali e umanitari, trasformando quindi una somma comunque aleatoria in una copertura di spese a carattere pluriennale. “Questa anomalia va rimossa ed il fatto che sia chiaramente emersa consente ora di invertire la rotta costringendo il governo a rispettare la lettera della legge”.Terza indicazione, di carattere più generale ma anche di natura più complessa: dopo il completamento delle Intese potrà ben essere ripreso il cammino – ormai bloccato da tempo per le resistenze della destra ed in particolare della Lega – per la legge generale sulla libertà religiosa, superando la legge fascista del 1929 sui cosiddetti “culti ammessi” che, per fortuna, è stata dagli Anni Settanta “amputata” in più parti da alcune salutari sentenze della Corte costituzionale.

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