Pd, subito un pool di esperti contro la crisi economica

20 Marzo 2008

Berlusconi l’ha già detto: se vincerà le elezioni il suo ministro dell’Economia sarà Giulio Tremonti. Veltroni, invece, finora non si è sbilanciato e non è detto che lo faccia prima del voto. Resta da capire se sia un bene o un male indicare agli elettori la squadra di governo o almeno i suoi pilastri principali.Il linea di principio non c’è dubbio che sia un bene. Con una legge elettorale che non permette ai cittadini nemmeno di scegliere gli eletti, fornire loro elementi di giudizio essenziali, come la fisionomia del governo che verrà, appare quantomeno doveroso. Ma non è detto che le esigenze della campagna elettorale coincidano con le ragioni del governare. Vale a dire che si può essere tentati di proporre nomi dotati di appeal acchiappavoti piuttosto che di solide competenze. Anche se, chiuse le urne, la telegenia non serve più mentre la competenza è essenziale. Inoltre si rischia di bruciare personalità preziose. I futuri ministri, infatti, serviranno da bersagli per gli avversari, ed è facile prevedere la gragnuola di colpi bassi che si abbatterebbe su di loro. Colpendoli si colpirebbe anche il leader, in un gioco al massacro elevato all’ennesima potenza.Ci sono, insomma, molte buone ragioni per tenere coperto questo mazzo di carte. Eppure la tempesta economica planetaria che stiamo vivendo crea condizioni eccezionali. Lo spettro di un crac mondiale alimenta comprensibili paure, e sarebbe quanto meno rassicurante sapere che il timone economico della navicella Italia sarebbe retto da una mano ferma e autorevole.A dir la verità, è difficile che Berlusconi avesse in mente questo quando ha lanciato in pista Tremonti, visto che lo ha fatto prima dell’esplosione della crisi.

Più probabilmente aveva pensato di utilizzarne la fama per far balenare davanti ai contribuenti l’immagine di un fisco bonario e comprensivo, contrapposto a quello occhiuto e vampiresco rappresentato, agli occhi degli elettori di centro destra, da Vincenzo Visco. Tuttavia l’effetto è stato positivo per il Cavaliere: è sembrato che l’uragano economico non l’abbia colto di sorpresa. Tanto più che Tremonti ha le sue ricette in materia. Discutibili, e infatti gli economisti le discutono e per lo più le bocciano, ma ce l’ha. E perciò può ispirare fiducia a cittadini sull’orlo di una crisi di nervi.In realtà tutto questo è un’illusione. La crisi coinvolge il mondo intero e nessun paese può governarla da solo. Lo stesso ombrello dell’euro richiede, perché possa davvero ripararci, una gestione attenta e coordinata da parte di tutti i partner europei. Servono le doti di un economista, ma anche quelle di un diplomatico. Servono personalità che sappiano guardare al di là dei confini nazionali e riescano a valutare tutte le innumerevoli varianti in campo. Serve una mentalità globale e un’idea di mondo nella quale inserire armonicamente il pezzetto che ci riguarda.E dunque non serve indicare chi siederà al ministero dell’Economia. O, almeno, non basta. Quella che ci vorrebbe è la creazione di un gabinetto di crisi, composto da personalità capaci di monitorare gli avvenimenti e di produrre proposte di soluzione. Niente di pletorico o di solenne: non sarebbe di nessuna utilità un organismo che richieda tempi biblici solo per mettersi d’accordo sull’ora di una riunione.

Ci vuole un team snello di consiglieri che siano gli occhi e le orecchie del leader, che lo aggiornino in tempo reale e lo rendano capace di parlare con cognizione di causa e di affrontare gli avvenimenti con una visione complessiva.Questo, come direbbe Veltroni, si può fare. Da subito. E magari servirebbe al Partito Democratico, se vincesse le elezioni, ad affrontare la prova del governo con un bagaglio di conoscenze prezioso. Perché chi governerà l’economia in questo frangente dovrà avere nervi saldi e riflessi pronti. Tutte cose per cui il know-how è indispensabile.

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