Autostrade, una piccola fiera delle vanità

Autostrade, una piccola fiera delle vanità

Il governo ha partorito la sua decisione (14-5 Luglio c.a.) sulla proposta revoca delle concessioni autostradali ad Aspi: niente revoca ma parziale nazionalizzazione di Aspi. C’è in giro, non solo sulla rete ma anche sui giornali, parecchia esultanza: le autostrade passano in mani pubbliche! Non crollerà più niente! Inoltre: finalmente gli odiati capitalisti di rapina, i Benetton, pagano il fio delle loro criminali malefatte!

Ma perché l’acquisto di Aspi dovrebbe comportare un miglioramento significativo nel benessere delle popolazioni interessate e degli automobilisti? Voglio considerare in breve le ragioni date dall’autore principale della risoluzione del governo, il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e da un noto dirigente del Pd, Goffredo Bettini. Le due citazioni sono tratte da Facebook.

Giuseppe Conte

E’ successo qualcosa di assolutamente inedito nella storia politica italiana. Il Governo ha affermato un principio, in passato calpestato: le infrastrutture pubbliche sono un bene pubblico prezioso, che deve essere gestito in modo responsabile, garantendo la piena sicurezza dei cittadini e un servizio efficiente.

Non spetta al Governo accertare le responsabilità penali per il crollo del Ponte Morandi. Questo è compito della magistratura e confidiamo che presto si completino questi accertamenti in modo da rendere giustizia a tutte le vittime di questa tragedia.

Il compito del Governo è contestare le gravi violazioni contrattuali e la cattiva gestione di cui si è resa responsabile Aspi e impedire che i privati possano continuare ad avvantaggiarsi di una concessione totalmente squilibrata a loro favore sia dal punto di vista giuridico sia dal punto di vista economico.

Il “principio affermato” è importante, ma non inedito: è quello che dovrebbe regolare la gestione delle autostrade come di altre infrastrutture e molti beni pubblici ambientali che sono invece quotidianamente soggetti al saccheggio o all’inquinamento sistematici o dati ai privati con concessioni fraudolente, con la piena complicità del legislatore. E non è del 5 Luglio 2020 un emendamento al Decreto Rilancio che prolunga al 2033 le concessioni balneari in essere?

L’accertamento delle responsabilità penali dovrebbe però almeno in parte guidare l’azione del governo Conte. Che senso ha prendersela con i Benetton se questo non è ancora avvenuto? Le gravi violazioni contrattuali e la cattiva gestione di cui si è resa responsabile Aspi, mai denunciate prima del crollo, potrebbero essere contestate civilmente o in un arbitrato. Occorreva davvero acquistare la società concessionaria per garantirsi dal ripetersi delle sue prevaricazioni? E come potrà Aspi pagare la ricostruzione del Ponte allo Stato, se lo Stato l’acquista?

Ma il cenno più interessante è quello al dovere del governo di “impedire che i privati possano continuare ad avvantaggiarsi di una concessione totalmente squilibrata a loro favore sia dal punto di vista giuridico sia dal punto di vista economico.” Questo è il clou politico-economico della faccenda. Bisogna forse distinguere due cose: le condizioni di favore davvero oltraggiose accordate dal concedente al concessionario; e il fatto che le enormi sistematiche violazioni contrattuali del concessionario non siano mai state rilevate dal concedente. Ciò che Conte non rileva è la benevola condiscendenza -altro che debolezza negoziale!- del concedente nei confronti del concessionario, su entrambi questi aspetti. Lo “squilibrio” in realtà non è mai esistito, data la connivenza tra i politici a capo dello Stato, cioè del governo, dei ministeri, del Parlamento, e il concessionario. Se fosse esistito, sarebbe bastato attivare la concorrenza al momento del rinnovo delle concessioni, secondo l’impostazione della Comunità Europea, sempre evitata o aggirata dai politici italiani. Se dunque la vera imputata è la classe politica che ha presieduto alla stipulazione e all’esecuzione del contratto, davvero la nazionalizzazione dell’ex controparte negoziale consentirà un “riequilibrio”? Non sarebbe allora necessario nazionalizzare…il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti?

Goffredo Bettini

Il risultato del governo nella trattativa su Autostrade è innanzitutto il risultato della tenacia e del rigore di Giuseppe Conte, che hanno tolto dal campo tante incertezze e tentennamenti.

Ho cercato di contribuire al perseguimento di questa linea perché essa realizzerà una gestione di Autostrade totalmente diversa dal passato e improntata alla sicurezza dei cittadini, all’efficienza del servizio e anche ad un abbassamento delle tariffe. Davvero complimenti a tutto il governo.

Anche questa dichiarazione colpisce per l’ottimismo palingenetico totalmente immotivato. La semi-nazionalizzazione attraverso la Cassa Depositi e Prestiti sarebbe risolutiva in sé ai fini di conseguire sicurezza degli utenti, efficienza, e riduzione delle tariffe. Per Bettini, come per tutti gli entusiasti, deve essere di evidenza lampante che il passaggio da un rapporto (1) da concedente a concessionario a uno (2) attraverso il controllo di una società pubblica, renda conseguibili questi obiettivi, prima impossibili. Un’analisi comparativa dei due schemi (1) e (2) non darebbe una risposta netta in un senso o nell’altro. In termini generali la dicotomia è tra mercato e gerarchia. La seconda prevede la proprietà o il possesso dei mezzi di produzione ma è definita dall’organizzazione interna dei comandi. Questa ha il suo specifico sistema d’incentivi che può funzionare più o meno bene di quello del rapporto contrattuale. E l’amara esperienza degli ultimi due crolli di ponti, quello sul Polcevera (14 agosto 2018) e quello sul Magra (8 Aprile 2020), il primo gestito secondo lo schema (1), l’altro secondo lo schema (2) in quanto affidato all’ANAS, nemmeno permette una conclusione netta. Nel caso del Ponte Morandi, il concessionario violò brutalmente e persistentemente il contratto, già largamente e dolosamente squilibrato a suo favore: e il concessore, cui spettavano doveri di controlli e ispezioni, non li esercitò o se li esercitò non se ne accorse o finse di non accorgersene. Nel caso del Ponte sul Magra i dirigenti locali dell’ANAS ricevettero numerose segnalazioni, da cittadini utenti e ripetutamene dal Sindaco della vicina Aulla, che in un primo tempo le ignorarono. Successivamente ne proclamarono l’infondatezza. Subito dopo il ponte crollò.

L’implicito pensiero organizzativo di Bettini (e di Conte) appartiene alla fase pre-smithiana del pensiero economico: il governo di un paese risulta dagli imperativi atti di volontà del sovrano. E come non rilevare la continuità di questa (mancanza di) logica con la prassi di nominare commissari straordinari ovunque? “Nel giorno stesso del crollo del ponte di Albiano Magra abbiamo individuato il nome di un commissario da sottoporre alla presidenza del Consiglio”, ha dichiarato orgogliosamente il Sottosegretario alle Infrastrutture Roberto Traversi. Quello al Ponte ex-Morandi non ha impedito la commissione di un macroscopico errore di progettazione, che renderà il nuovo ponte pericolosissimo oltre che coprirlo di ridicolo.

In conclusione, il complesso di provvedimenti adottati dl governo Conte sembra immotivato e inoltre rovinoso: perché assorbire in un’inutile nazionalizzazione i fondi della Cassa Depositi e Prestiti, con destinazioni ben più socialmente utili? Forse si sarebbe potuto proseguire lungo la linea di Toninelli, che riuscì a escludere Aspi dalla ricostruzione del Ponte con un provvedimento che è stato ritenuto legittimo dalla Corte Costituzionale. Da una recente audizione parlamentare del prof. Francesco Merloni, nuovo Presidente dell’ANAC, traggo il seguente significativo passo

Dalle informazioni acquisite sono… emersi scarsi livelli di adempimento agli obblighi concessori, quantomeno sotto il profilo degli oneri manutentivi sulla tratta individuata. Tutto quanto sopra deve essere letto insieme ad un altro dato, ovvero che gli investimenti realizzati da Autostrade per l’Italia S.p.A. nella tratta autostradale nella quale ricadeva il ponte ammontavano ad appena il 27,11% di quelli programmati.

Da notare l’identificazione della tratta autostradale dove gli abusi sono stati accertati e il Ponte è crollato: Arquata Scrivia-Genova Ovest. Mentre estromettere Aspi dall’attività produttiva in tutta Italia sembra una reazione immotivata, che non reggerebbe a un TAR o alla Corte Costituzionale, ben si potrebbe revocare la concessione all’Aspi sulla tratta della vergogna. E lasciar cadere la stolta nazionalizzazione. La tratta andrebbe temporaneamente data in gestione all’ANAS (faute de mieux) e assegnata al più presto alla società che vincesse una regolare gara, secondo i criteri della Comunità Europea di cui dopotutto facciamo parte.

1 commento

  • Ho letto la sequenza di articoli e commenti degli esimi interlocutori Nadia Urbinati e Giacomo Costa e ne ho ricavato l’impressione di assistere ad una competizione giudiziaria. Infatti, i loro interventi assomigliano moltissimo agli scontri fra gli avvocati di due parti contrapposte in una diatriba processuale. Come nei processi gli interessi delle parti e spesso ancora di più degli avvocati riguardano la vittoria processuale e non il perseguimento di un accordo che miri alla buona convivenza delle parti che potrebbe far vivere tutti molto meglio in futuro. Nel caso in questione si contrappongono due ipotesi economiche completamente asservite all’accumulo della moneta. Questa modalità di visione compromette in partenza quella che dovrebbe essere la funzione dell’attività, nel caso: la gestione dei trasferimenti a mezzo automezzi, di uomini e prodotti su tutto il territorio nazionale. La discussione verte più che altro sulla scelta di definire un ente economico costituito da società specializzate in espletamento di affari al quale assegnare il diritto di vendere il servizio della mobilità sul territorio di cittadini e merci espletato su una infrastruttura le strade, rendendo possibile l’utilizzo di veicoli su gomma ai facenti parte della società italiana. Lo strumento che si adatta a prestare il servizio si sviluppa per rispondere a necessità estese sul territorio che possono riguardare sullo stesso, tragitti i più variabili (anche riguardo al periodo, arco del tempo) in cui devono avvenire. Lo strumento offre ora prestazioni insufficienti per anni di cattiva manutenzione e perciò sarà necessario il lavoro straordinario che lo porti a raggiungere una capacità di prestazioni soddisfacenti. Ammesso che i tecnici, impegnandosi con tutte le proprie capacità siano in grado di raggiungere l’obiettivo; diventa essenziale che chi presiederà alla vendita del servizio sia organizzato per provvedere all’altro obiettivo di assolvere nel miglior modo possibile a rendere il bene strumento durevole e magari migliorabile nel tempo e cioè creare uno strumento strutturato con modalità tali, riferendosi sia alle implicazioni che investono i momenti temporali che la distribuzione sul territorio, che permetta di fare la migliore manutenzione possibile. Non proporsi questo come obbiettivo significa indirizzare le abitudini e i comportamenti a trarre i maggiori benefici monetari e non l’espletamento del compito per il quale il meccanismo ha ragione di esistere. Perché questo non avvenga, del cui danno siamo oramai tutti consapevoli, bisogna innanzitutto esprimere tutte le implicazioni tecniche che si ipotizza possano insorgere dall’utilizzo del meccanismo dovunque e in qualsiasi momento possano avvenire e poi chiedersi quale possa essere una organizzazione che sia capace di prevenire il danno e il disagio conseguente. Non esiste chiaramente, ma dobbiamo almeno proporcela come obiettivo. Le caratteristiche peculiari del meccanismo lasciano intendere che lo stesso deve essere strutturato a somiglianza di un organismo vivente che rileva percezioni momento per momento da tutte le sue parti e le trasmette all’organo centrale. Si tratta perciò di progettare una rete diffusa che aspiri alla conoscenza dei carichi di usura momento per momento. Si potrebbe pensare ad un meccanismo completamente automatizzato (come d’altra parte hanno immaginato di fare per il nuovo ponte di Genova) ma questa modalità non la ritengo costruttiva di socialità. Chi avrebbe la responsabilità del cattivo funzionamento? Forse il computer? E dopo cosa facciamo? Lo sostituiamo? A me sembra necessaria una soluzione il più possibile socializzante, accomunante di socialità. Approfittare delle strutture territoriali per renderle responsabili della gestione. Definite le responsabilità territoriali bisogna rendere le circoscrizioni territoriali il più possibile capaci della gestione. Si tratta di farle diventare capaci di calcolare magari preventivamente anche con gli strumenti tecnologici attuali, le probabilità di usura e avere le potenzialità per gli interventi. I fattori di usura, stabilita la conoscenza di qualità dei materiali che corrisponde alle resilienze specifiche, li possiamo dividere fra quelli antropologici, dovuti ai transiti degli automezzi nei territori e naturali di qualsiasi altra tipologia. Le tecnologie disponibili permetterebbero criteri di distribuzione dei proventi dei pedaggi ai territori attraversati. Il cumolo complessivo dei pedaggi deve prevedere la tenuta separata di un capitale di sicurezza al quale ricorrere per gli eventi straordinari. Tanto per pensare!

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