Le Sardine e il nuovo linguaggio della politica. Intervista a Paul Ginsborg

10 Gen 2020

Lo storico dell’Italia contemporanea parla dei movimenti sociali dall’era Berlusconi a oggi, degli stalli a cui la Sinistra italiana si è abbandonata per numerosi anni e delle forze democratiche emerse in una strana e nuova forma durante le ultime settimane. Chi sono le sardine e quanto possono durare?

Lo scorso novembre, in Italia si è diffuso alquanto inaspettatamente un nuovo movimento di protesta. A una prima occhiata, i suoi partecipanti potevano persino sembrare  ridicoli. Le “sardine”, come hanno deciso di chiamarsi, hanno completamente occupato Piazza Grande a Bologna, mostrando immagini e cartelloni ritraenti l’omonimo pesce, un simbolo che a detta degli organizzatori doveva rappresentare l’unione, il rifiuto della violenza e la libertà su vasta scala. Nelle settimane successive i manifestanti – principalmente giovani  provenienti dal settore terziario e dai ceti medi, ricchi di titoli di studio ma carenti d’impieghi – hanno clamorosamente ripetuto l’impresa bolognese. Sono state occupate per brevi periodi ben 90 piazze e i numeri di questa protesta spontanea sono stati i più imponenti dalla Seconda Guerra Mondiale a oggi. L’obiettivo principale delle sardine era semplice – prevenire la presa dell’Emilia Romagna nelle imminenti elezioni regionali da parte della Lega di Matteo Salvini (data al 33% nei sondaggi nazionali). Il loro bersaglio non era però rappresentato soltanto dalla Lega, ma dalle più profonde corruzioni del discorso e dell’azione di natura politica, sia a Destra che a Sinistra.

Mentre i partecipanti si preparano a un nuovo anno di mobilitazioni, Jamie Mackay ha parlato con lo storico Paul Ginsborg riguardo alla storia dei movimenti della società civile in Italia e alle sfide che attendono le sardine in futuro. Ginsborg è Presidente di Libertà e Giustizial’associazione della società civile che ha organizzato nel corso degli ultimi vent’anni numerose iniziative a difesa della costituzione partorita nel dopoguerra e dell’indipendenza della magistratura italiana.

Le sardine sono comparse in gran numero, apparentemente dal nulla, alla fine dell’anno scorso. Come possiamo comprendere la loro improvvisa entrata in scena in relazione ad altri esempi storici recenti?

Questa è una domanda assai più complessa di quanto possa apparire inizialmente. Al momento della comparsa delle sardine, l’Italia viveva un periodo di essenziale assenza in termini di movimenti popolari. L’intera Europa pareva essere in subbuglio, ma dall’Italia e da Bologna la “Rossa”, come veniva chiamata negli anni ’60 e ’70 a causa della sua forte connotazione politica di sinistra… arrivava soltanto un lungo silenzio. Vi erano state importanti mobilitazioni dei ceti medi all’inizio degli anni ’90; i Girotondi hanno giocato un ruolo importante nella coalizione antiberlusconiana di quel momento. Ma si trattava principalmente di battaglie difensive di breve durata. Il Popolo Viola, per esempio, che poteva vantare settantamila giovani manifestanti alla prima comparsa, si è dissolto entro un mese. Eppure le sardine ci sono, e in un certo senso questa è di per sé una cosa straordinaria.

Ondate quali questa possono unire le persone – tutti noi – ma se non vi riescono bisognerà attendere altri dieci anni prima di riprovarci. Non sono in grado di dire perché questo particolare movimento abbia conquistato la gente. Sicuramente hanno usato al massimo i social media. Ma se da un lato possiamo avere incertezze riguardo alle cause, non possono esservi dubbi sugli effetti. Hanno interrotto il trend dei sondaggi e già fatto perdere ben un punto percentuale a Salvini, una cifra importante. Hanno chiaramente un proprio scopo.

Una critica comune che viene rivolta alle sardine è legata al fatto che siano essenzialmente apolitiche. Vi è stato un istante durante la manifestazione a Firenze in cui qualcuno ha sollevato una grande bandiera comunista e le persone circostanti hanno reagito gridando di abbassarla. Hanno anche rifiutato gli inviti ad allearsi con qualsiasi partito, e persino di fondarne uno proprio. Rispondono di essere lontane dall’essere apolitiche, che sono piuttosto apartitiche, ovvero fortemente contrarie alla decennale cattiva gestione dei partiti politici italiani…

Il movimento è agli esordi e si evolverà rapidamente. Al suo centro troviamo un rifiuto della violenza. È avvenuta una grande e taciuta transizione dalle posizioni politiche di gruppi militanti quali le Brigate Rosse degli anni ’70 sino al culto della non-violenza e all’adozione di massa del pacifismo. In senso strettamente politico, le sardine sono del tutto “innocenti” e per questo i loro critici non sanno come reagire. In tempi come questi, il pacifismo è già in sé un programma radicale.

Uno degli aspetti che trovo affascinante è il successo che hanno avuto nel mandare in corto circuito la retorica di Salvini. Com’era prevedibile, la sua prima reazione è stata di infuriarsi: “Scatenerò i gatti contro di loro!”, ha dichiarato. Ma di fronte a un movimento così inoffensivo, come lo hai definito tu, questi commenti sono caduti nel vuoto persino tra i suoi sostenitori. Sono d’accordo che gli organizzatori hanno svelato quanto possa essere utile il rifiuto della violenza nell’aggirare la logica del populismo di destra. Ma può essere sufficiente per inaugurare una nuova area d’affermazione democratica? 

Qui ci troviamo a confronto con le possibilità di un nuovo linguaggio della politica. Il primo elemento di una risposta alla tua domanda dipenderà in gran parte dalla capacità collettiva di ascoltare. In Italia nessuno ascolta gli altri durante gli incontri politici. Al contrario, si tende ad appartarsi in fondo alla sala per cospirare. Abbiamo bisogno di una politica che riguardi l’allargamento della democrazia e la difesa dei suoi meccanismi interni. Sin troppo spesso gli incontri finiscono ben al di là degli orari stabiliti e col predominio in tarda nottata degli attivisti di sesso maschile. È un modus operandi tanto sciocco quanto intramontabile. Se un movimento vuole avere una qualsiasi rilevanza, ciò che hai appena sottolineato riguardo al linguaggio dev’essere applicato anche ad altre aree. Il ricambio è notevole. Uno degli aspetti più sconcertanti della politica dei movimenti sociali è come le persone vi aderiscano per poi sparire. Spariscono nella notte e non si fanno più vedere.

Un’eccezione significativa a questa dinamica è sicuramente il Movimento Cinque Stelle (M5S), che nell’arco di appena 10 anni è passato dall’essere un movimento sociale a diventare il principale partito politico in un governo. In superficie anche questa forza si fondava su un principio di democrazia diretta. Qual è il rapporto tra il loro esperimento e quello delle sardine?

Il M5S ha fallito, o quantomeno è sulla strada di fallire. Difatti, è proprio questo a concedere lo spazio vitale alle sardine. È estremamente interessante notare come l’Italia sia passata dal governo rappresentativo parlamentare tradizionale alla fissazione del M5S per le forme di democrazia partecipativa. Ma hanno fallito alla grande. L’impressione generale che hanno suscitato non è quella di un modello partecipativo genuino ma di una versione fasulla, condita di atteggiamenti reverenziali verso il proprio leader Beppe Grillo. Poi c’è la piattaforma Rousseau, la loro piattaforma organizzativa, i cui meccanismi interni rimangono a tutt’oggi un mistero di natura gerarchica. È qui che incontriamo la democrazia trompe-l’œil. Essenzialmente, all’incirca trentamila membri del movimento – che è in verità assai più vasto – fanno uso di sondaggi e questionari per decidere la linea che il partito deve seguire. Nel frattempo, la linea politica è palesemente dettata dai leader, che sono in realtà non più di cinque o sei persone. È ironico e triste da constatare, eppure il criticatissimo sistema delle primarie del Partito Democratico (PD) – che coinvolge il voto di due o tre milioni di persone – è assai più democratico.

Il M5S e il PD sono adesso al governo assieme e rischiano un imminente annientamento elettorale per mano dell’estrema destra. Al momento stanno cercando disperatamente di sfruttare a proprio vantaggio l’impatto delle sardine sul discorso pubblico per poterlo assorbire, manipolare e in ultima istanza neutralizzare. Questi loro sforzi condanneranno il movimento a una fine prematura?

Credo sia facile stilare una lista dei motivi per cui le sardine sono estremamente vulnerabili. Questi possono essere essenzialmente raggruppati in due aree principali: i motivi interni e quelli esterni. La prima categoria include tutte le passioni negative – la gelosia, il narcisismo, la brama di controllo, i personalismi d’ogni sorta, inclusa la supremazia degli interessi familiari. Nella seconda potremmo invece annoverare gli effetti prodotti, di rabbia e di disperazione, dal non-funzionamento dello stato. E’ così. quando si arriverà alla fine, sarà facilissimo per le persone dire che loro l’avevano previsto.

Mi domando però come le persone si definiranno dopo la fine di questo movimento. Il livello e la natura del fallimento rifletteranno la duplice natura delle persone. In una parte del proprio cuore o della propria anima, le persone possono credere che un’Italia diversa sia possibile. Allo stesso tempo, un’altra parte di esse ha un approccio estremamente cinico alla questione. Queste due realtà possono convivere all’interno dello stesso individuo, con l’uno o l’altro aspetto in posizione predominante durante la vita di un movimento. Il fallimento potrebbe aumentare il cinismo e la rassegnazione, ma non prima di aver generato momenti indimenticabili e nuove energie. Infine, rimane il quesito: quali sono i meccanismi e le proposte che possono unire le persone?

Uno degli aspetti positivi della distanza presa dalle sardine rispetto alle divisioni politiche convenzionali è la loro capacità di attrarre un gruppo di partecipanti al contempo vasto e variegato. Come si può sostenere questo tipo di pluralismo? Quale tipo di politica servirebbe?

Un futuro richiederebbe un approccio radicale al riformismo. A mio avviso, questa è oggi una delle principali questioni d’interesse: cosa potrebbe significare un riformismo che non si limiti a concedere benefici dall’alto verso il basso, e per di più sempre in minor quantità giacché l’austerità diventa un aspetto permanente della situazione? Le famiglie hanno disperatamente bisogno di questi servizi, eppure viene da domandarsi se non sarebbe possibile inventare un’altra sorta di riformismo, che sia più politico e partecipativo, in cui ogni riforma faccia da rampa di lancio per la prossima? Persone di ogni tipologia potrebbero forse arrivare a comprendere che la sfera politica non è separata ma intimamente connessa alla vita quotidiana.

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