La governance economica dell’UE e il contratto di governo

06 Ott 2018

IL CONTRATTO DI GOVERNO  

Nei giorni concitati che hanno portato all’insediamento del Governo Lega   e Movimento Cinque Stelle, l’Europa e l’appartenenza dell’Italia all’Unione Economica e Monetaria Europea sono entrati prepotentemente al centro dell’attenzione dei media e dell’opinione pubblica. Durante la campagna elettorale,  il dibattito  tra le forze politiche su questi temi era stato piuttosto sfumato: in particolare, i punti maggiormente caratterizzanti il programma della  Lega erano stati la   flat tax e il contrasto  all’immigrazione secondo  una prospettiva securitaria e di rimpatrio  dei c.d.  clandestini/irregolari.  Elemento  qualificante del programma del  Movimento 5 Stelle è stato il reddito di cittadinanza. Luigi Di Maio dopo un atteggiamento ondivago,  nell’aprile  del 2018 aveva  dichiarato espressamente  che  il Movimento  si sarebbe collocato saldamente nel quadro dell’Unione Europea, dell’Eurozona oltre che della Nato.

Queste due forze politiche, benché molto diverse fra loro, hanno sottoscritto un “contratto di governo”  che,  per i profili attinenti alla spesa pubblica  e alla riduzione delle entrate (peraltro  in virtù di una tassazione  regressiva di assai dubbia costituzionalità) nonché per i riferimenti  alla necessità di  una rinegoziazione   dei Trattati Europei,   ha determinato  tensione e allarme in ambito politico e finanziario.

E’ stato posto l’accento, dinanzi al rischio di   disavanzi eccessivi  di bilancio  e di un aumento del debito pubblico del Paese,  già enorme,  sul probabile comportamento di sfiducia da parte dei mercati rispetto ai nostri titoli di Stato con inevitabile  innalzamento dello spread. Si  è assistito invero  ad un’impennata del differenziale tra gli interessi  pagati   dai nostri titoli di stato decennali  rispetto ai bund tedeschi, che ha raggiunto il  29 maggio 2018 la soglia di  320 punti base.

Ha preso spazio  nel dibattito pubblico la preoccupazione per la possibile presenza   nella compagine governativa,  in qualità di  Ministro del MEF,  dell’economista Paolo Savona,   personalità di  notevole  rilievo sia a livello   accademico che  per i ruoli ricoperti   in ambito politico  ed economico[1], che  non escludeva una fuoriuscita dell’Italia dall’Euro zona attraverso il c.d.  piano B [2] .

Durante le trattative per il nuovo governo,  Savona è intervenuto  con un comunicato,  pubblicato   sul sito euroscettico ”Scenari economici”[3], in cui riassumeva in pochi punti le sue “memorie consegnate all’Editore il 31 dicembre 2017”,  faceva un esplicito riferimento al contratto di governo tra Lega e M5S, concludeva con  “voglio un Europa diversa, più forte, ma più equa”. Queste dichiarazioni uetQ  non hanno tranquillizzato il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella,  che ha posto il veto sulla sua nomina a Ministro dell’Economia del Governo c.d.  gialloverde. Il Capo dello Stato ha motivato il rifiuto affermando che  la  nomina di Savona avrebbe potuto mettere in allarme gli operatori economici e finanziari (e i risparmiatori italiani e stranieri) in quanto “sostenitore  di una linea, più volte manifestata, che avrebbe  provocato, probabilmente o addirittura inevitabilmente, la fuoriuscita dell’Italia dall’euro”.  E ciò era stato reso evidente “dall’impennata dello spread e dalle perdite in Borsa  che stavano già bruciando risorse e risparmi delle aziende e di coloro che vi avevano investito.” [4]

Non si entrerà  qui  nel merito delle diverse posizioni, a favore o  contro, sull’operato del Capo dello Stato manifestate dal mondo politico  e dalla  dottrina costituzionalista. Certo è che autorevoli giuristi hanno escluso, con un richiamo  all’insegnamento di Costantino Mortati,  un potere di veto del Presidente della Repubblica rispetto ad un ministro proposto dal Presidente del Consiglio incaricato,  il prof. Giuseppe Conte, sulla base di motivazioni legate non ad una eventuale inidoneità giuridica a vario titolo ma connesse  all’indirizzo politico della maggioranza parlamentare uscita dalle urne il 4 marzo e di cui il Presidente incaricato era  espressione. La questione è ormai superata e potrà essere oggetto al più di dibattiti tra  costituzionalisti.

Il governo Lega-M5S si è insediato, dopo la breve parentesi  della rinuncia all’incarico di Conte di fronte al veto presidenziale   e al successivo incarico a Carlo Cottarelli,  sfumato   in un batter di ciglia, con Savona  al Ministero degli affari comunitari e l’economista Giovanni Tria  al Ministero dell’Economia.


LE COPERTURE FINANZIARIE   

Tuttavia,  sul programma esposto dal Presidente del Consiglio   alle Camere per ottenerne la fiducia, diversi commentatori ed esponenti di forze politiche di opposizione  hanno espresso  aspre critiche per la sua  genericità  e forti dubbi sulla sua  concreta attuabilità[5], definendolo una sorta di libro dei  sogni  o dei desideri o peggio ancora  una mera propaganda, inevitabilmente destinato a scontrarsi con la realtà  data la mancanza di coperture finanziarie rispetto alle ipotesi di spesa.

L’Osservatorio sui conti pubblici  italiani, diretto da Carlo Cottarelli, ha effettuato una analisi quantitativa delle misure espansive  e delle coperture calcolando per le prime una forbice tra un  minimo di  108,7  ed un massimo di 125,7 miliardi  e per   le seconde in 0,5 miliardi.[6] In particolare, la stima, in miliardi di euro,  è stata la seguente per le misure espansive:

flat tax irpef 50,00; sterilizzazione delle clausole di salvaguardia 12,5; eliminazione delle accise sulla benzina 6,0; reddito e pensioni di cittadinanza 17,0; rafforzamento dei centri  per l’impiego 2,0; uscita dal mercato  del lavoro di categorie escluse 5,0; riforma delle pensioni 8,1; politiche per le famiglie  0-17;  investimenti 6,0; assunzioni  straordinaria  di polizia penitenziaria 0,2; assunzione di 10.000 unità nelle  Forze  dell’Ordine 0,2; innalzamento della indennità civile 1,8.

Per le coperture: riduzione dei parlamentari 0,1; riduzioni delle pensioni d’oro 0,1; eliminazione dei vitalizi 0,1; riduzione delle missioni internazionali 0.2.

Sì è  messa in  evidenza, da altri,[7]  l’incompatibilità tra   la riduzione delle imposte  da una parte e  l’aumento della spesa sanitaria, sociale, pensionistica e per la sicurezza dall’altra. Si è posto l’accento  sul fatto che  quand’anche  in una prima fase di attuazione del programma  si rinviasse  il reddito di cittadinanza e   si limitasse la  flat tax al 20% alle sole imprese, per disinnescare l’aumento dell’Iva e delle accise, per concretizzare la riforma dei Centri per l’impiego,  per introdurre la c.d.  quota 100 per andare in pensione  modificando la legge Fornero, per gli   investimenti indicati  ed altri interventi occorrerebbero risorse, non  individuatein modo realistico,  stimate in almeno 50 miliardi.

Si è sottolineato che qualora  si volesse procedere  comunque su questa strada   si andrebbe ad una notevole  lievitazione del deficit  e  tale   decisione politica   porrebbe  il Governo  in rotta di collisione con le istituzioni comunitarie rispetto ai vincoli di bilancio  europei,  oltre ad essere  in contrasto  con il vincolo  dell’equilibrio di bilancio introdotto in Costituzione con la revisione dell’art. 81 dalla legge costituzionale n. 1/2012. Si precisa anche che la disciplina di bilancio dell’Unione Europea è ritenuta dalla dottrina prevalente operativa nel diritto interno  oltre che indirettamente costituzionalizzata in virtù del primato del diritto dell’Unione ai sensi degli articoli 11 e 117 della Costituzione. Inoltre le previsioni del novellato articolo 81 in tema di equilibrio di bilancio con il rimando della legge attuativa  n. 243/2012  al diritto della UE   sono coincidenti  con le norme prescritte da quest’ultimo.[8]


INDEBITAMENTO E DEBITO PUBBLICO –  I DATI  DEL MEF

Poiché il tema dell’indebitamento e del debito pubblico riveste  un ruolo centrale in questo scritto, si ritiene opportuno riportare alcuni dati ufficiali  del MEF  per fornire  un quadro dei maggiori aggregati di finanza pubblica,  in particolare   dell’indebitamento sia netto che strutturale e del debito. L’indebitamento netto  misura la differenza tra le entrate e le uscite complessive del conto consolidato delle amministrazioni pubbliche ed è un parametro  che rileva ai fini della “procedura europea per deficit eccessivo”  nel caso di  superamento della soglia del 3% in rapporto al PIL. L’indebitamento netto strutturale è quello   corretto per gli effetti del ciclo economico sulle componenti di bilancio e per gli effetti delle misure una tantum, che influiscono solo temporaneamente sull’andamento del disavanzo.

In base alla tavola I.2 [9] del Documento di Economia  e Finanza 2018, Sezione 1 – Programma di Stabilità, deliberato dal Governo Gentiloni  il 26 aprile 2018,  si evidenziano  i seguenti indicatori del quadro tendenziale di finanza pubblica in percentuale del PIL:

Indebitamento netto:  -2,5 ( 2016); -2,3 (2017); -1,6 (2018); -0,8 (2019); 0,0 (2020); 0,2 (2021)

Indebitamento netto strutturale: -0,9 ( 2016); -1,1 (2017); -1,0 (2018); -0,4 (2019); 0,1 (2020); 0,1(2021)

Variazione saldo strutturale:  -0,8 ( 2016); -0,2 (2017); 0,1 (2018); 0,6 (2019); 0,5 (2020); 0,0 (2021)

Debito pubblico: 132,0( 2016); 131,8 (2017); 130,8 (2018); 128,0 (2019); 124,7 (2020); 122,0 (2021)

Si precisa che nella  tavola  mancano i dati  relativi al quadro programmatico relativo agli    obiettivi di politica economica di competenza del nuovo governo.

In base alla Tavola R.1[10]  di pag. 50 del DEF  2018 relativa alla flessibilità accordata dall’UE del Patto di Stabilità risultano i seguenti dati:

output gap[11] DEF 2018 (% del PIL potenziale): -4,3 (2015); -3,3 ( 2016); -2,2 (2017);

 -1,3 (2018);

condizioni cicliche: eccezionalmente negative( 2015); molto negative ( 2016);  negative ( 2017); normali ( 2018);

aggiustamento richiesto sulle base delle condizioni cicliche e del livello del debito (p.p.di PIL): 0,25 (2015); 0,25 ( 2016); 0,50 (2017); 0,60 (2018);

flessibilità accordata (p.p.di PIL): 0,03 ( per rifugiati, anno 2015); 0,83 ( anno 2016, per riforme, investimenti, rifugiati, sicurezza); 0,35 (anno 2017, per  rifugiati e terremoto).

Si è già riferito in merito allo scetticismo circa la possibilità dell’attuale Governo gialloverde di trovare le adeguate coperture per far fronte alle numerose promesse effettuate in campagna elettorale, alcune, come la flat tax e il reddito di cittadinanza,  molto impegnative dal punto di vista finanziario. A tale proposito si evidenzia che  in previsione della Nota di aggiornamento  del  DEF  2018 di fine settembre  diversi esponenti della maggioranza di governo hanno  avanzato seri dubbi, seppure a fasi alterne, sulla possibilità di rispettare le regole europee di bilancio chiedendo alla UE non solo una significativa flessibilità ma  arrivando anche a prospettare uno sforamento del deficit  del 3%.

Al riguardo Moscovici, Commissario europeo per gli affari economici e monetari, in occasione  di un’intervista rilasciata a fine agosto[12], pur con toni  garbati e concilianti, ha dichiarato   ingiustificate le critiche  alla Commissione poiché l’Italia era  il paese “che più aveva beneficiato di flessibilità di bilancio” (30 miliardi di euro dal 2015 al 2018) in quanto si era  per anni “tenuto conto di circostanze eccezionali: la sicurezza, i terribili terremoti, l’emergenza migratoria.”

Ha poi  aggiunto che all’Italia nel  2018  era  stata richiesta,  a causa della fragilità della ripresa,  una riduzione dell’indebitamento netto strutturale  dello 0,3% rispetto allo 0,6% previsto dalle regole (come  evidenziato dai dati riportati sopra sulla flessibilità accordata dall’UE e dall’aggiustamento del disavanzo richiesto sulla base del ciclo e del livello del debito per il 2018). Inoltre, essendo interesse del Paese controllare il debito pubblico,  al 132% del PIL, “lo sforzo richiesto per il 2019 sarebbe stato  dello 0,6% del PIL”, di fatto un ritorno alla  normalità dopo la riduzione accordata per il 2018.

Circa le esternazioni su un’ipotesi di bilancio che portasse  il deficit (indebitamento netto nominale)  oltre il 3% del PIL, Moscovici ha ribadito che “il  3%  non era  un target, ma un tetto”. Ha concluso l’intervista dichiarando che non avrebbe risparmiato “sforzi per definire un percorso di bilancio che fosse europeo e di beneficio all’Italia”. Dopo aver espresso parole di apprezzamento per il  Ministro Tria, definito  un “interlocutore  serio e ragionevole”, Moscovici ha  tuttavia aggiunto che “l’euro prevedeva  il rispetto di regole. Non rispettarle  significava  voler uscire dall’Unione monetaria”.

Invero, il Ministro Tria più volte è intervenuto con dichiarazioni pacate e misurate finalizzate a rassicurare le istituzioni europee e i mercati. In una intervista rilasciata ad un quotidiano all’inizio di settembre,[13] rispetto alla domanda concernente l’effettiva volontà del M5S o della Lega  di portare il deficit  al 2,9% del PIL o di arrivare a “sfondare” persino il tetto del 3%,  il  Ministro ha  chiarito che  vi era  stata una riunione con il premier Conte e i vice premier  Salvini e Di Maio in cui era  stata trovata un’intesa sui confini di bilancio, intesa che sarebbe diventata un concreto impegno entro la fine di settembre. Ha  concluso affermando che “il nostro non era  per nulla il Paese  della finanza allegra,  aveva  contribuito ai programmi di sostegno  a Grecia,  Spagna, Irlanda, senza mai aver richiesto a sua volta alcun tipo di sostegno”.

LA PREOCCUPAZIONE  PER L’ITALEXIT

Va  segnalato che se da un lato, rispetto ad un’eventuale Italexit, vi è chi ha delineato  scenari  drammatici sotto il profili del tessuto sociale e   della tenuta democratica  del paese, come  conseguenza    dell’inevitabile default, della fuga di capitali, dell’isolamento dell’Italia dai mercati finanziari internazionali, della drastica  riduzione del sistema del welfare, della probabile svalutazione della nuova   lira  rispetto all’euro di almeno il 40%,  con grave impoverimento di lavoratori dipendenti e pensionati[14],  dall’altro vi è stato chi, in nome del rispetto della volontà popolare,  ha invitato  a non demonizzare  le posizioni del governo di  critica ai  vincoli europei e la  conseguente volontà di una rinegoziazione dei Trattati comunitari. Vi sono infatti intellettuali  che hanno stigmatizzato il coro mediatico ed informativo che, sulla base di una presupposta neutralità,  in relazione ad un possibile   governo gialloverde, ha parlato dell’arrivo di “nuovi barbari”, e dell’euro, della finanza, dei mercati, come se fossero mostri sacri intoccabili,  innominabili, pena lo scatenamento delle vestali del tempio sacro che li custodisce.  Si afferma, al contrario, che di  euro, di finanza, di pareggio  di bilancio, del rapporto tra economia e politica,   in un sistema democratico,  si può parlare, così  come di sovranità senza essere    tacciati di sovranismo. [15]

Di fronte alla  crescita della disoccupazione, delle povertà, delle disuguaglianze  dell’ultimo decennio,  il   voto popolare  ha premiato le forze politiche che hanno individuato la causa della sofferenza sociale nei vincoli europei ed indicato  il rimedio nel recupero della libertà da quei vincoli e  nella riconquista della sovranità. Dinanzi a questo fenomeno  vi è chi invita   la sinistra  che non c’è, che  è tutta da ricostruire, a non limitarsi a demonizzare i populismi e sovranismi  oggi al potere. Se  vuole   vincere alle prossime elezioni, la sinistra  “dovrebbe riconoscere la gravità della situazione”, analizzare le cause del  loro successo, “non  lasciare alle destre e  ai populismi la protesta contro condizioni di vita che la maggioranza degli Italiani giudica inaccettabili”.  Deve saper criticare, con strumenti e valori diversi, l’Europa a trazione tedesca con il suo modello ordoliberista[16]  che  considera il lavoro, il diritto al lavoro, subalterni  alla stabilità dei prezzi, togliendo terreno all’idea  che  i Trattati europei e l’euro possono essere sottratti alla politica democratica.[17]


IL CRESCENTE EUROSCETTICISMO

In questi ultimi anni in Italia e in Europa si è assistito alla nascita e all’ ascesa di partiti e movimenti populisti ed euroscettici che si caratterizzano per politiche nazionaliste e sovraniste con  chiara matrice di destra, xenofoba e razzista, quando non apertamente neofascista.

Il 1° maggio di quest’anno, Marine Le Pen  ha dato avvio di fatto alla campagna elettorale per le Elezioni europee del maggio 2019 invitando a Nizza le forze politiche che si riconoscono nel Movimento per un’Europa delle Nazioni e delle Libertà, costituitosi nel 2014. Questo incontro  definito  “ Prima  Festa delle Nazioni”,  può leggersi come la volontà e la determinazione del Front National,  persa la partita per l’Eliseo, di porre fine all’Unione Europea e di restituire il potere ai singoli Stati attraverso una battaglia politica transnazionale dei partiti della destra nazionalista, identitaria e sovranista nelle prossime elezioni per il Parlamento Europeo.

Al tradizionale raduno annuale della Lega a Pontida, il vice premier Salvini  ha proposto di dar vita ad una “Lega delle Leghe”, così esprimendosi a proposito delle Elezioni  europee del 2019 : “Le Europee dell’anno prossimo saranno un referendum fra l’Europa delle élites, delle banche, della finanza, dell’immigrazione e del precariato, e l’Europa dei popoli e del lavoro.  Il progetto consiste nel fare una alleanza internazionale dei populisti, che per me è un complimento. Penso che saremo maggioranza”.[18]

Degno di attenzione in questo contesto il progetto  DiEM25 ( Democracy in Europe Movement 2025), movimento politico  il cui Manifesto  ha come titolo  “L’Europa sarà democratizzata. O  si disintegrerà”.  DiEM25 si è  fatto promotore  di una lista  transnazionale per le elezioni europee del 2019  (Primavera Europea)  come sforzo di unione  tra le forze progressiste europee  per contrastare il fronte delle destre  sovraniste.  Il programma politico “un New Deal per l’Europa”   presenta una serie di proposte concrete  che mirano a  cambiare il volto dell’Unione Europea. Tra  queste,  quelle sulla povertà, sullo sviluppo degli investimenti, sulla riduzione del debito pubblico e sulla gestione di quello privato. Si propone  di destinare i profitti della BCE (decine di miliardi di euro all’anno) al finanziamento di un fondo UE contro la povertà; di destinare 500 miliardi di euro  agli investimenti in tecnologie green;  di reperire  questi 500 miliardi attraverso bond emessi dalla European Investment Bank   con l’impegno della BCE di  acquistarli nel mercato secondario  qualora i tassi dovessero salire; di  far rimanere in capo ai singoli Paesi il debito eccedente il  60% del PIL e di cartolarizzare  mediante bond emessi dalla BCE la parte “legale” (quella fino al 60%)  dei debiti di paesi come la Grecia e l’Italia ( che dovranno comunque  onorare il debito con la BCE ma con 0%  di tasso  di interesse).[19]

Anche   nella sinistra più radicale e nel sindacalismo di base  si sono affermate  in questi ultimi anni posizioni sovraniste ed euroscettiche che mirano ad un recupero della sovranità monetaria e alla conseguente autonomia delle politiche di bilancio anche in deficit spending per favorire il rilancio della domanda aggregata, con la ripresa degli investimenti pubblici e    privati e dell’occupazione.

Sono posizioni che muovono da una critica severa alle politiche neoliberiste di austerity poste in essere, con l’assenso di larga parte dei Governi degli Stati membri, dalle  istituzioni dell’Unione Europea che presentano  un carattere sostanzialmente tecnocratico e  oligarchico, fatta eccezione per il Parlamento Europeo che è l’unico organo che gode di una legittimazione diretta da parte dei cittadini dell’’Unione.


NELLA MORSA DELL’AUSTERITÀ

Il rafforzamento  delle  politiche di austerity   è stato  il risultato della riforma della governance economica nella UE, in particolare tra il 2011 e 2013, in seguito alla grande crisi economica e finanziaria, iniziata nel 2008 negli USA con  la grave crisi bancaria   dovuta all’insolvibilità dei mutui subprime, poi estesasi a livello globale. In quella temperie economica  diversi Stati membri della UE  hanno attuato il salvataggio delle loro banche, per evitarne il fallimento,  con aggravamento dello squilibrio dei conti pubblici  soprattutto in quegli Stati che già si caratterizzavano per ingenti  debiti sovrani.

Come è noto, a partire dal 2009, in Grecia, in Irlanda, in Portogallo e Spagna e in Italia si sono verificate crisi dei debiti sovrani.

Di fronte all’eventualità  di default di uno o più Stati la cui moneta comune era l’euro e al rischio  che la speculazione dei mercati potesse mettere in pericolo tutta la zona euro,  creando incertezze sulle prospettive della stessa moneta unica, le istituzioni europee hanno approntato una serie di misure:

  • il Patto Euro Plus
  • il c.d Six Pack
  • la riforma dell’art. 136 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (d’ora in avanti TFUE)[20] finalizzata alla istituzione del  Meccanismo Europeo di Stabilità (MES)
  • il  Trattato per la stabilità, il coordinamento e la governance dell’Unione Economica e Monetaria, noto come Fiscal Compact
  • il  c.d. Two Pack[21]

Nel pacchetto complessivo di provvedimenti, alcuni come il Six Pack sono stati adottati nell’ambito del diritto dell’Unione, altri, come il MES e  il Fiscal Compact sono accordi intergovernativi  tra  Stati membri,  cioè  trattati internazionali che si collocano formalmente al di fuori dell’ordinamento giuridico dell’Unione. [22] La riforma della governance economica si è mossa lungo  due direzioni.

Sul primo versante  è stato istituito un  Fondo salva stati, creato attraverso il Trattato istitutivo del  MES,  firmato nel  febbraio 2012 da parte dei soli Stati membri dell’euro zona. Il MES  rappresenta  la versione perfezionata di  più  fondi di natura temporanea che si sono susseguiti   nel tempo, costituiti successivamente  ai  primi prestiti concessi  alla Grecia[23]  con accordi bilaterali tra quest’ultima e alcuni Stati membri. il MES è invece un meccanismo permanente di gestione delle crisi ed è un vero e proprio ente finanziario di diritto internazionale. Benché sia dotato di organi autonomi, al suo funzionamento partecipano la Commissione europea e la BCE. Una volta decisa l’assistenza ad uno Stato in difficoltà, la Commissione, in collegamento con la BCE e il Fondo Monetario Internazionale,  la c.d.  Troika, negozia le condizioni  di politica economica di austerity  cui lo Stato  deve attenersi  rigorosamente sotto il  controllo  di quest’ultima.

Sul secondo fronte, la riforma della governance  ha previsto  il  rafforzamento sia del coordinamento delle politiche economiche nazionali che  della sorveglianza sulle stesse, per evitare il ripetersi di  situazioni analoghe a quelle che avevano avuto luogo a partire dal 2009.


IL PATTO DI STABILITÀ E CRESCITA

L’obiettivo di stabilizzare l’area euro è stato perseguito rafforzando il Patto di Stabilità e Crescita (d’ora in avanti  PSC) del 1997, che era stato rivisto una prima volta nel 2005 con diversa finalità. Il PSC, costituito da due regolamenti,  aveva completato la definizione delle regole di bilancio del Trattato di Maastricht del 1992 che aveva stabilito i requisiti richiesti agli Stati per l’adozione della moneta unica: un rapporto tra disavanzo pubblico annuale e PIL  non  superiore al 3%, soglia  cui si è più volte fatto menzione,   e un rapporto tra debito pubblico e PIL  non superiore al 60%.[24]

Il PSC, che mirava ad una applicazione rigorosa del Trattato,  nella prima parte,  il c.dbraccio preventivo,  stabiliva le regole finalizzate a prevenire gli  squilibri di bilancio eccessivi, nella seconda, il c.d.  braccio correttivo,  prevedeva  le procedure  e le sanzioni volte alla correzione di tali squilibri. In particolare, il Regolamento n.1466/97 [25]  prescriveva  l’obbligo per gli Stati dell’euro zona  di presentare al Consiglio  i programmi di stabilità finalizzati al pareggio di bilancio  nell’ambito dei poteri di sorveglianza  e di coordinamento esercitato  da quest’ultimo. Gli Stati dovevano  infatti fornire informazioni  rispetto al loro “obiettivo a medio termine”  (OMT) di un saldo prossimo al pareggio o in attivo e  sul  percorso di avvicinamento a tale obiettivo nonché l’andamento previsto del rapporto debito pubblico/PIL  su base annua e per i tre anni successivi.

Il Regolamento n.1467/97[26] era  invece finalizzato   ad accelerare  e chiarire le modalità di attuazione della procedura per disavanzi eccessivi  da attivarsi  in caso di sforamento del tetto del 3% del deficit.  Infatti, mentre l’art. 104 C del Trattato di Maastricht  si limitava a prevedere  in termini generici la possibilità di superare il valore di riferimento in via “eccezionale e temporanea” e qualora “il rapporto resti vicino” a tale parametro,  il Regolamento 1467/97,  al fine di circoscrivere  tale  possibilità,  specifica i casi in cui  il superamento  può  considerarsi “eccezionale e temporaneo”. L’art. 2  lo limita a due ipotesi ossia se esso è stato determinato: a)  “da un evento inconsueto non soggetto al controllo dello Stato ed abbia rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria della Pubblica Amministrazione”; b)  da “una grave recessione economica  pari ad almeno il 2% del PIL”.


PSC – UNA DISCIPLINA DIFFICILE DA RISPETTARE

Il Patto di Stabilità e Crescita  del 1997 costituiva una disciplina di  bilancio molto rigorosa che non è stata rispettata da più Stati membri.  In particolare, da parte di Italia e Francia vi sono stati, tra il 2001 e il 2006,   plurimi sforamenti della soglia del 3% rispetto al PIL,  ma anche da parte della Germania (3,7% nel 2002, 4% nel 2003,  3,8% nel 2004, 3,3% nel 2005).[27]

Può essere interessante osservare che nel novembre 2002 e nell’aprile del 2003 furono avviate  procedure per disavanzo eccessivo nei confronti rispettivamente di  Germania e  Francia. Poiché le misure adottate non vennero ritenute sufficienti, la Commissione propose al Consiglio (organo composto dai rappresentanti diretti degli Stati membri) di intimare ai due Stati di porre fine alla situazione di disavanzo eccessivo entro il 2005. Il Consiglio, nella seduta del 25 novembre 2003, non adottò alcuna decisione poiché  non era stata raggiunta la maggioranza necessaria. Si  limitò  a prendere atto degli impegni unilateralmente  assunti dai due Stati interessati ma  sospese   la procedura per disavanzo eccessivo. La sospensione  fu annullata dalla  Corte di giustizia dell’Unione Europea che accolse  il ricorso della Commissione che riteneva tale atto ingiustificato. La Corte  ha affermato che le  procedure per disavanzo eccessivo  potevano essere sospese solo qualora lo Stato membro interessato  avesse ottemperato ad una raccomandazione o intimazione, ottemperanza nel caso in esame ovviamente insussistente dato che dal Consiglio non erano stati adottati  i suddetti  provvedimenti.[28]


VERSO LA FLESSIBILITÀ:  SALDO STRUTTURALE  E OMT DIFFERENZIATI

Proprio questa rigidità del  PSC aveva portato alla sua riforma nel 2005,  spostando il “pendolo” dal rigore verso elementi di flessibilità.[29] In primo luogo si introduce  il  saldo strutturale che si affianca al target di  pareggio di bilancio in termini nominali. Si tratta di un obiettivo di saldo di bilancio  depurato  dagli effetti del ciclo economico, dalle  misure temporanee  e da quelle una tantum. Di fronte all’eterogeneità della situazione economica e finanziaria dell’Unione,  al fine di tenere conto della diversità delle posizioni e degli sviluppi sul piano economico e di bilancio nonché  del rischio finanziario legato  alla sostenibilità delle finanze pubbliche, si stabilisce che  l’obiettivo di medio termine nei singoli Stati membri  può divergere dal saldo prossimo al pareggio o in attivo. L’OMT diventa quindi   differenziato per ogni singolo Stato. Per  i Paesi dell’area euro deve essere specificato in un intervallo tra il – 1% del PIL e il pareggio o l’attivo.

Per quanto riguarda la valutazione e la decisione  sull’esistenza di un disavanzo eccessivo si abbandonano i parametri numerici fissi e per  la Commissione e il Consiglio possono considerarsi eccezionali uno sforamento del valore del 3% dovuto a grave recessione economica  in qualunque ipotesi di un tasso di crescita negativo del PIL o di una diminuzione prolungata della produzione rispetto alla crescita potenziale.

E’ previsto comunque un saldo di bilancio strutturale corrispondente all’OMT o in rapida convergenza con esso con una correzione annuale   pari almeno allo 0,5% del PIL.[30]

Nonostante la riforma del PSC del 2005,  in relazione alla grave crisi finanziaria, la  soglia del deficit individuata nel 3% del PIL è stata ugualmente disattesa  da più Stati e per più anni.  Da uno studio effettuato dalla Confederazione Generale Artigianato risulta che nel periodo 2008-2017 la soglia del 3% è stata superata da Spagna e  Francia  10 volte,  Grecia 9 volte, Portogallo 8 volte.  L’Italia in  tre anni e la Germania in due.[31]


IL RITORNO AL RIGORE: SIX PACK E IL BRACCIO PREVENTIVO

Pochi anni dopo  la riforma del PSC del 2005,   in seguito alla crisi economica e finanziaria, come si è già accennato, le istituzioni europee hanno rivisto  la governance  con un ritorno al rigore sul presupposto  che i paesi con finanze  pubbliche allegre hanno rischiato di estendere il contagio agli Stati con i conti pubblici in ordine. Approntando le nuove misure già elencate,  hanno mirato al rafforzamento delle procedure di sorveglianza e di coordinamento delle politiche economiche e di bilancio nazionali. I  provvedimenti del Six Pack del 2011 (cinque regolamenti  e una direttiva) hanno  infatti lo scopo di rafforzare il PSC sia sotto il profilo del braccio preventivo che di quello correttivo.

Per quanto riguarda il braccio preventivo,  con il Regolamento n. 1175 del 2011, sulla base della considerazione che il saldo strutturale si era dimostrato un indicatore insufficiente rispetto alle posizioni  di bilancio degli Stati,  viene introdotta una regola sulla spesa pubblica, di cui si stabilisce  un limite massimo di  incremento allo scopo  di rafforzare e facilitare  il raggiungimento dell’obiettivo a medio termine. Ciò  proprio perché durante il periodo di crescita,  anteriore  alla crisi del 2008,  alcuni Stati avevano aumentato la spesa pubblica, anziché controllarla  per avere margini nelle fasi avverse del ciclo. Il limite all’aumento della spesa pubblica è stabilito per i singoli paesi in rapporto al tasso di crescita di medio periodo del PIL  potenziale e si differenzia in base  alla loro posizione rispetto all’OMT. In particolare,  per gli Stati  che non hanno  raggiunto ancora  il proprio  OMT,  poiché il saldo strutturale deve migliorare comunque dello 0,5% del PIL  annuale,  il tasso di crescita della spesa pubblica deve essere inferiore al tasso di crescita del PIL  potenziale, valutato  sulla base di proiezioni  su un arco temporale di dieci anni.[32]

Si definiscono inoltre in modo puntuale le procedure e  la tempistica dell’azione di sorveglianza ex ante sul bilancio e sulle politiche economiche nazionali attraverso  l’introduzione del “semestre europeo” finalizzato al  coordinamento delle politiche economiche. Il semestre europeo era stato istituito nel settembre del 2010 da una delibera dell’Ecofin ma è stato formalizzato  dal Regolamento n. 1175 del 2011. Esso ha  lo scopo di assicurare  il rispetto dei limiti del 3% di deficit  e del 60% del debito rispetto al PIL. Più dettagliatamente,  il  semestre europeo  detta  le scadenze per la presentazione dei Programmi di Stabilità  (PdS) e dei programmi di riforma dei singoli Stati (PNR) per consentire  alla Commissione  e al Consiglio di valutare la corrispondenza delle politiche di bilancio con gli obiettivi di  medio termine e il rispetto della regola sulla spesa. Il giudizio di conformità si basa  sulle  priorità definite dalla Commissione nel mese di novembre   nell’Analisi annuale della crescita  e sugli  orientamenti della UE per le politiche nazionali definiti dal Consiglio Europeo (nel mese di marzo).

Entrambi i documenti devono essere presentati dagli Stati entro il 30 aprile di ogni anno alla Commissione che  elabora raccomandazioni  approvate nel mese di giugno dal Consiglio Europeo. Le procedure del braccio preventivo sono finalizzate  al raggiungimento  dell’ OMT. La Commissione valuta ex ante per l’anno corrente  e per  gli anni successivi  ed  ex post per l’anno precedente. Qualora  si verifichi  una “deviazione significativa” dall’OMT   e cioè un allontanamento dal saldo strutturale di almeno lo 0,5% del PIL  in un anno o almeno dello 0,25% del PIL  in media per  due anni consecutivi, [33]  agli Stati della zona Euro  può essere imposto  l’obbligo   di costituire un deposito fruttifero pari allo 0,2% del PIL,  che sarà restituito  solo dopo l’accertamento da parte del Consiglio  del risanamento della situazione di bilancio. E’ quindi  prevista una  procedura sanzionatoria  anche nella parte preventiva in assenza  di uno sforamento  della soglia   del deficit  del 3% del saldo nominale.

La riforma del 2011 introduce anche  il principio del voto a maggioranza inversaper  molte delle  deliberazioni relative alle sanzioni. Con questo meccanismo, le proposte di decisione della Commissione al Consiglio  si intendono approvate a meno che il Consiglio  decida di respingerle con le maggioranze necessarie. Si tratta di un sostanziale rafforzamento del potere in materia di bilancio della Commissione, organo tecnico privo di una diretta legittimazione democratica,  che tende a “valorizzare la rigidità delle regole” riducendo “ a complesse formule numeriche nozioni per loro natura flessibili ( ad esempio  gli effetti del ciclo economico, gli incrementi della spesa pubblica)”[34]


SIX PACK E IL BRACCIO CORRETTIVO

Per quanto riguarda il braccio correttivo, viene introdotta la regola della riduzione del debito,  ossia della parte eccedente il 60% del PIL  ad un  ritmo medio di un ventesimo  l’anno come parametro di riferimento. Dal Trattato di Maastricht del 1992 fino al Six Pack del 2011,  l’articolo 104 del TCE,  poi 126 del TFUE, si limitava  a richiedere   genericamente, ai fini della conformità della disciplina di bilancio,  una riduzione del debito  “in misura sufficiente” e  un avvicinamento “al valore di riferimento  con  ritmo adeguato”. Con il Regolamento n. 1177 del 2011 si stabilisce  invece  che ai fini dell’attuazione  di una procedura per disavanzo eccessivo, anche nel caso del rapporto debito/PIL, è necessario     “un termine di riferimento numerico”  per valutare  se la riduzione  è  sufficiente e il ritmo  adeguato.

Con il Six Pack si stabilisce la misura della  riduzione del debito nel medio termine, come già era avvenuto per l’indebitamento con la riforma  del PSC del 2005, in cui si era fissata  la percentuale di riduzione annuale dello 0,5% nel medio termine di tre anni. Si  prevede  inoltre, come poco sopra  anticipato, l’apertura di una procedura per disavanzo eccessivo anche  per violazione della regola del debito. Va tuttavia precisato  che, come per il deficit,   l’avvio della procedura non è automatico  e si tiene conto anche  dell’andamento del ciclo al fine di consentire una minore riduzione del debito.

Circa l’aspetto sanzionatorio, in caso di apertura di una procedura per disavanzo eccessivo per aver superato la soglia del 3%,   le disposizioni del  braccio correttivo prevedono la costituzione per lo Stato di un deposito infruttifero pari allo 0,2% del PIL, convertibile in ammenda in caso di mancata correzione del disavanzo.  Può essere anche comminata  la sospensione di finanziamenti relativi ai fondi di coesione europei.

Con due nuovi  Regolamenti, n. 1176/2011 e  n. 1174/2011,    il Six Pack introduce  anche una normativa finalizzata    ad individuare gli squilibri macroeconomici nei vari Stati membri. Sulla base del legame tra finanze pubbliche e stato dell’economia nel suo complesso, evidenziatosi nella crisi finanziaria del 2008,  la riforma della governance  rivolge una   maggiore attenzione alla sorveglianza macroeconomica, con un meccanismo basato anch’esso sull’azione preventiva e  correttiva.

iene introdotta la “procedura di squilibrio macroeconomico”, in cui il ruolo centrale è  sempre attribuito alla Commissione Europea,  che presenta una relazione annuale (Alert Mechanism Report ) sulla base di una serie di indicatori di squilibrio,  differenziati tra Paesi  dell’euro zona e non, con corrispettive soglie di allerta e, successivamente,  una lista di Stati a rischio di squilibrio.  Questi ultimi sono sottoposti ad  un esame più approfondito che potrebbe  culminare nell’apertura  di   una procedura per squilibrio eccessivo che ricade nel braccio correttivo e che si applica solo ai Paesi dell’eurozona.  In base a tale procedura  può essere  comminata una sanzione sotto forma di una multa dello 0,1% del PIL  in relazione alla sottoposizione di piani correttivi inadeguati oppure,  in caso di mancata attuazione dell’azione correttiva,  la costituzione  di  un deposito fruttifero che può arrivare allo  0,1% del PIL,  convertibile in ammenda.


IL FISCAL COMPACT 

Non ci si è soffermati  sul Patto Euro Plus,  firmato da 23 Stati a margine del Consiglio Europeo del 24 – 25 marzo 2011,  poiché da esso non derivano impegni  vincolanti sul piano giuridico in ordine alle regole di bilancio.[35]

Come già sopra evidenziato,  il Fiscal Compact è un accordo intergovernativo, sottoscritto il 2 marzo 2012 da 25 Stati membri,  che formalmente si colloca  al di fuori del diritto dell’Unione Europea per l’opposizione  del Regno Unito  e della  Repubblica Ceca che lo ha tuttavia adottato  nel 2014. Il  Fiscal Compact, all’art.16,  stabilisce che entro 5 anni dall’entrata in vigore (avvenuta nel gennaio 2013 ), devono adottarsi le misure necessarie per incorporare il contenuto del Trattato nell’ordinamento giuridico  della UE. L’Italia ha ratificato il Trattato con legge n.114 del 23 luglio del 2012 a larghissima maggioranza.

Il Fiscal Compact conferma  in larga parte le regole del Six Pack in materia di bilancio, rendendo più stringenti alcuni obblighi  già presenti nel diritto della UE. In particolare,  esso ribadisce la regola  del pareggio di bilancio,  da intendersi  sempre come saldo strutturale  corretto per il ciclo e al netto delle misure una tantum e temporanee  e della sostenibilità del debito. Prevede tuttavia che  tale regola sia recepita negli ordinamenti nazionali attraverso una normativa vincolante e permanente, preferibilmente di natura costituzionale.

La  regola della posizione di bilancio si ritiene rispettata se il saldo strutturale annuo  della P.A.  è pari all’OMT specifico per il paese, come definito nel PSC rivisto, con il limite inferiore di un disavanzo strutturale dello 0,5% del PIL. Rispetto al novellato PSC  del 2011 è quindi consentito programmare un disavanzo  strutturale massimo non più del  -1% ma dello 0,5% del PIL.

Gli Stati possono deviare temporaneamente dal rispettivo obiettivo di medio termine o dal percorso di avvicinamento ad esso  solo in circostanze eccezionali,  ossia  nel caso di eventi inconsueti non soggetti al controllo dello Stato e  che abbiano rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria della pubblica amministrazione. Nelle circostanze eccezionali rientrano anche i periodi di grave recessione economica ma la deviazione temporanea consentita non deve compromettere la sostenibilità del bilancio a medio termine.

Si  conferma, come già  nel Six Pack,  l’obbligo per ogni Stato membro  di ridurre di un ventesimo  la parte di debito eccedente il 60% nel rapporto debito/PIL.

In caso di “deviazione significativa” dall’OMT, in  una prospettiva  di maggior rigore,  si prevede  anche l’obbligo di costituire un meccanismo automatico finalizzato ad attuare in  tempi  definiti le necessarie misure correttive.

Si stabilisce  anche  l’obbligo di costituire  organi indipendenti con  il compito di controllare il rispetto delle regole del Trattato.

Il Fiscal Compact prevede all’art. 7 che gli Stati dell’euro zona si impegnano a sostenere le proposte o le  raccomandazioni della Commissione  nel caso in cui, nel quadro di una procedura per disavanzi eccessivi,  uno Stato membro abbia violato il criterio del deficit, a meno che  vi sia l’opposizione a maggioranza qualificata degli altri Stati. Si evidenzia  che tale disposizione implica un vincolo di natura politica e non  risulta quindi giuridicamente cogente.

In base all’art. 8 del Trattato,  qualora la Commissione nella sua relazione sui singoli Stati membri concluda per il mancato rispetto delle  norme di cui al patto di bilancio (art. 3 comma 2),  la Corte di giustizia europea può essere adita da uno o più Stati membri. Questi ultimi  possono adirla anche  sulla base di proprie  valutazioni, indipendentemente  dalla  relazione della Commissione. La Corte di giustizia può, nell’ipotesi di una mancata ottemperanza ad una sua sentenza, imporre il pagamento di una somma forfettaria o di una penalità che può arrivare allo 0,1% del PIL da versare al fondo MES.

L’INCORPORAZIONE DEL FISCAL COMPACT NELL’ORDINAMENTO DELLA UE

Va sottolineato che il Fiscal Compact, ratificato nel 2012 e in vigore dal gennaio 2013, nell’ambito delle fonti  sulla disciplina di bilancio riveste un ruolo meno incisivo  di quanto sia diffusamente ritenuto o sostenuto dai media  o da parte delle forze politiche e sindacali critiche  della normativa europea di bilancio. Il Trattato rende, come si è evidenziato,  certamente più rigida la disciplina della UE,  integrandola con alcune disposizioni  più restrittive  ma  si colloca  in una  posizione  giuridica subordinata rispetto ai Trattati e al diritto derivato dell’Unione Europea [36].

Circa il dibattito, peraltro episodico, sulla incorporazione del Fiscal Compact nell’ordinamento dell’Unione Europea prevista dall’art. 16 del Trattato, va precisato che:

a)  la clausola non prefigura un termine di scadenza degli obblighi assunti pattiziamente; b)  la gran parte delle regole di bilancio è già prevista nel diritto della UE come disposizioni giuridicamente vincolanti;

c) gli obblighi di natura politica di cui all’art. 7 non sono suscettibili di trasposizione.

Pertanto,   la discussione  sull’incorporazione del Trattato non riveste  quella rilevanza che le viene solitamente attribuita ma può essere l’occasione, a prescindere dall’art. 16 del Trattato, per una riflessione a tutto campo sul quadro  complessivo della disciplina di bilancio.[37]

Il dibattito potrebbe, infatti,  ampliarsi  per  toccare, ad esempio, i punti fondamentali indicati  nell’Appello  “Per un nuovo sviluppo europeo” del 7 dicembre 2017, sottoscritto da numerosi economisti,  giuristi, intellettuali, esponenti del mondo sindacale,  quali:

  • lo scorporo  degli investimenti pubblici dal computo del disavanzo;
  • la modifica della procedura utilizzata nella UE per il calcolo del PIL potenziale e del saldo strutturale, su cui  non vi è unanimità di opinioni nell’ambito  della scienza economica,  ma  determinante ai fini della possibilità di avviare politiche espansive anti cicliche;
  • l’aumento del valore medio del debito fisiologico dal 60% del PIL fino al valore medio attuale del 90%;
  • una riconsiderazione della mission della BCE  che vada oltre l’obiettivo della stabilità monetaria per perseguire anche quello della riduzione della disoccupazione.[38]

In ogni caso va menzionata la seduta alla  Camera dei Deputati del 7 febbraio del 2018 delle Commissioni riunite di Bilancio e  Politiche della UE nella quale  la quasi totalità delle forze politiche ha espresso un parere contrario al documento della Commissione europea  di inserimento del  Fiscal Compact  nell’ordinamento giuridico dell’Unione.[39]


IL TWO PACK

Per quanto riguarda, infine,   il  Two Pack [40] si tratta di due Regolamenti che completano il ciclo di sorveglianza di bilancio. Essi trovano  la  loro base giuridica nell’’art.  136 del TFUE  e  riguardano pertanto solo gli Stati della zona euro. Hanno lo scopo di integrare  il quadro della riforma della governance europea per prevenire che uno Stato con problemi di stabilità finanziaria possa contagiare il resto della zona euro e in generale l’Unione. Si concentrano sull’obiettivo di una sorveglianza rafforzata sui progetti di bilancio, sul presupposto di una sempre  maggiore interdipendenza tra gli Stati membri con possibili effetti reciproci di ricaduta  delle rispettive decisioni di bilancio.[41]

Il Regolamento n. 472/2013 rafforza la sorveglianza economica e di bilancio e il monitoraggio  sugli Stati dell’euro zona che:

1) si trovano o rischiano di trovarsi in grave difficoltà rispetto alla stabilità finanziaria o alla sostenibilità delle finanze pubbliche,  con potenziali ripercussioni negative sugli altri Stati membri;

2)  chiedono o ricevono assistenza finanziaria esterna da uno o più Stati membri, da Stati terzi, da fondi di stabilità o dal FMI.

Mentre per i primi la sorveglianza rafforzata è adottata all’esito di una valutazione specifica,  per i secondi la sorveglianza rafforzata   è comunque prevista. Il Regolamento estende  le funzioni e il ruolo  della c.d. Troika, Commissione, BCE e FMI,  per quanto concerne  sia l’elaborazione delle misure correttive che  il  monitoraggio (anche con missioni di verifica  nello Stato membro)  sull’attuazione delle stesse.

Nel caso di richiesta di aiuti  finanziari, lo Stato deve elaborare,  d’intesa con  Commissione,  BCE ed eventualmente  FMI,  un  progetto di programma di aggiustamento macroeconomico,   basato su una  valutazione discrezionale di sostenibilità del debito da parte della Commissione, rivolto ai rischi che lo Stato pone alla stabilità finanziaria della zona euro e a ripristinare la sua capacità di autofinanziarsi su mercati. Una volta approvato dal Consiglio,  su proposta della Commissione,  quest’ultima,  di intesa con BCE e FMI, monitora la corretta attuazione del programma di aggiustamento macroeconomico. Il Regolamento prevede anche che lo Stato possa essere soggetto alla sorveglianza rafforzata  finché non abbia rimborsato almeno il 75% dell’aiuto  finanziario  ricevuto.

Il  Regolamento, n. 473 del 2013,  contiene  regole  comuni per il monitoraggio e la valutazione dei documenti programmatici di bilancio degli Stati della zona euro. Esso prevede una tempistica comune per la presentazione  di tali documenti.  Gli Stati  devono trasmettere alle istituzioni europee i loro progetti di bilancio per l’anno successivo entro il 15 ottobre dell’esercizio precedente e devono approvarli entro il 31 dicembre.  Su di essi la Commissione esprime un parere entro il 30 novembre evidenziando la loro conformità  o meno ai requisiti  del PSC come modificato dal Six Pack. In caso di valutazione  di non conformità la Commissione può chiedere allo Stato di apportare modifiche entro un tempo definito. Tuttavia il Regolamento non attribuisce alla Commissione  il potere di cambiare il progetto di bilancio né crea un’obbligazione per gli Stati membri  di seguire   nei singoli dettagli il  parere della Commissione.[42]

La sorveglianza coordinata da parte della Commissione si svolge in autunno,  tra un semestre europeo e l’altro,  a completamento del quadro della governance esistente,  per verificare la corrispondenza  alle raccomandazioni formulate agli Stati nel semestre precedente. Inoltre, il Regolamento obbliga gli Stati membri a redigere i progetti di bilancio sulla base di previsioni macroeconomiche indipendenti, cioè prodotte o avallate da un ente indipendente (Fiscal Council)  rispetto ai decisori politici nazionali, evidentemente ritenuti non sempre  sufficientemente affidabili nel rispetto delle regole di bilancio. Nel nostro paese tale organismo indipendente (Ufficio Parlamentare di Bilancio)  è stato istituito con la legge n. 243 del 2012 attuativa della legge costituzionale  n.1 del 2012 sull’introduzione del principio dell’equilibrio di bilancio, cui si è fatto già menzione.

CONCLUSIONI

Dopo aver passato in rassegna la complessa normativa di bilancio costruita nell’arco di un ventennio da parte delle istituzioni europee, con le sue regole,  i suoi criteri, parametri, vincoli,  si ritiene opportuno concludere con un ritorno alle prime pagine di questo scritto,  nelle quali si sono indicati gli obiettivi di politica  economico-sociale  di Lega  e  M5S confluiti nel contratto di governo stipulato dalle due forze di maggioranza.  In quelle pagine  si sono evidenziate anche  le perplessità  manifestate da più parti in merito alla loro concreta realizzabilità   per la mancanza di adeguate coperture finanziarie, così come il timore che la decisione di “onorare” comunque le promesse elettorali e il contratto di governo avrebbe comportato il mancato rispetto dei parametri europei, in particolare il superamento del tetto del deficit nominale del 3% del PIL con conseguente innalzamento del debito pubblico.

Come evidenziato all’inizio di questo scritto, in  questi primi mesi di governo si sono registrate, da parte dei due vice premier, dichiarazioni  mutevoli e altalenanti in relazione al rispetto dei  vincoli europei con “parole”  che, secondo il Presidente della BCE Mario Draghi, avrebbero provocato  danni,  a causa della crescita  dello spread, a  famiglie, imprese e Stato per la  lievitazione dei tassi  di interesse.[43]


IL RAPPORTO  DEFICIT/PIL: dall’1,6% al 2,4%

In base a quanto si apprendeva dalla stampa,  verso la metà di settembre  le trattative con la UE  ruotavano  intorno ad un numero, l’1,6% del rapporto deficit/PIL  nel bilancio 2019,  richiesto dalla Commissione Europea, su cui  si ventilava che il ministro dell’economia Tria avesse  dato  il suo assenso.[44] Moscovici  nell’intervista rilasciata a fine agosto aveva dichiarato  che il nostro Paese  avrebbe dovuto  ridurre nel 2019 il deficit strutturale dello 0.6%. Con un rapporto deficit/PIL all’1,6% questo obiettivo non sarebbe stato centrato e si sarebbe realizzata  una riduzione minore del disavanzo strutturale pari allo  0,1% ma si trattava di una soglia  di deficit  su cui la UE  aveva dato la sua disponibilità. Tuttavia mantenere  il deficit entro  il tetto indicato avrebbe generato   risorse per  circa 12 miliardi,  sufficienti solo ad evitare l’aumento dell’IVA che  sarebbe altrimenti scattata a gennaio 2019 in modo automatico  risultando così compromessi  sia la flat tax che il reddito di cittadinanza, anche in  versione  ridotta.

E’ noto  che nelle due ultime settimane del mese di settembre   Lega e  M5S  hanno insistito  per portare il rapporto  deficit/PIL a quota 2,1% – 2,2%   al fine di   ottenere risorse per circa  15-17 miliardi di euro che avrebbero consentito,  anche grazie  al gettito   proveniente dalla c.d. ”pace fiscale”,   l’avvio del reddito di cittadinanza (pensioni di cittadinanza e Centri per l’impiego), l’introduzione di quota 100 per il pensionamento, una flat tax differenziata con tre aliquote  per piccole imprese e professionisti.”[45]

Dopo un braccio di ferro  durato più di dieci giorni che ha visto il ministro Tria fermo sulle sue posizioni, (nonostante     si ventilasse di  una mediazione  che attestava il deficit   al 2%),    al termine di una lunga giornata di trattative,   nel Consiglio dei Ministri del 27 settembre,  è prevalsa la volontà politica  di Lega e M5S  di superare il limite dell’1,6% – 1,8%  e di portare nella Nota di aggiornamento del DEF il deficit al 2,4 % del PIL per un triennio.[46] Con questa   nuova soglia  la manovra finanziaria  dovrebbe superare i 30 miliardi permettendo  quanto meno il decollo delle  misure promesse in campagna elettorale  e previste nel contratto di governo.[47]

VERSO LA PROCEDURA DI INFRAZIONE?

Naturalmente da parte dei commenti  critici  dell’innalzamento del deficit si sono  messi in evidenza  la probabile reazione negativa dei mercati  con il conseguente aumento dello  spread e la  valutazione sicuramente negativa  da parte dell’Unione Europea  a metà ottobre sul Documento programmatico di bilancio che potrebbe portare, anche se in tempi lunghi, ad un’apertura di una procedura di infrazione per la deviazione significativa  dal percorso di riduzione  di deficit e debito.

Si è anche sottolineato  che non  sono sostenibili  parallelismi con la Francia che prevede un deficit al 2,8%, poiché il debito pubblico francese  risulta molto inferiore a quello dell’Italia  e  sarebbe  comunque  attuata,  come previsto dalle regole  europee, una  riduzione del deficit strutturale.[48]

Dopo  quella che è stata definita  una sua “sconfitta” , il ministro Tria non ha rassegnato le dimissioni, molto probabilmente per non provocare  un clima di maggiore incertezza politica,  ed ha  difeso la manovra come il risultato di un importante  attività di mediazione tra esigenze  di bilancio ed esigenze di spesa, sottolineando  che essa non rappresenta una sfida all’Unione Europea.

Ha dichiarato che  non avviare le riforme,  in una prospettiva di minore crescita  tendenziale per il  2019 (pari allo 0,9%),   rispetto alle precedenti previsioni (1,4%)  avrebbe prodotto “conseguenze disastrose,  ancora bassa crescita, alta disoccupazione e difficoltà crescente a conciliare la discesa del debito con la stabilità sociale”. Al contrario, si sarebbe raggiunto un punto di equilibrio  che ha evitato  un conflitto  sulla manovra  e una conseguente situazione  di instabilità politica. Il livello di deficit stabilito darebbe spazio  ad un piano straordinario di investimenti pubblici  finalizzato  alla crescita.  L’aumento degli investimenti pubblici  nel triennio, stimato in  circa  15 miliardi di euro potrebbe, secondo il ministro,  recuperare  metà della perdita di PIL  accumulatasi  negli ultimi dieci anni,  anche attraverso  interventi strutturali  di snellimento  di procedure  per l’esecuzione  degli investimenti  e nuovi strumenti operativi di progettazione e valutazione, creando  una sorta di “nuovo genio civile”.

Tria ammette  che  quella sulla crescita è una “scommessa”  a fronte delle misure di spesa ma non  di una “scommessa senza rete”, poiché  l’accordo  raggiunto nel Governo si fonda  su di una clausola di salvaguardia, richiesta dallo stesso ministro, ossia una “revisione della spesa in modo che l’obiettivo di deficit per i prossimi anni non sia superato rispetto  al limite posto” in caso di mancato o parziale raggiungimento dell’obiettivo della crescita. Tria  sottolinea  che sarebbe stato indegno per un Paese con l’Italia, settima potenza industriale del mondo, non intervenire  con misure  di sostegno al reddito per le persone in cerca di occupazione e di aiuto  all’uscita dalla povertà.[49]


IL DOCUMENTO DEL MINISTRO SAVONA

In questi primi giorni successivi  all’approvazione della Nota di aggiornamento del DEF è tornato prepotentemente alla ribalta il ministro per gli Affari Europei  Paolo Savona con ripetute dichiarazioni a sostegno della manovra   di bilancio. Lo stesso ministro aveva recentemente inviato  un documento a Bruxelles, a nome dell’intero Governo, contenente   le indicazioni   per   la ricostruzione di una nuova architettura europea. In esso si sostiene che   l’Europa e la moneta unica si possono salvare solo con la crescita economica ed è pertanto necessario creare le condizioni  per lo sviluppo in termini di investimenti, flessibilità, integrazione dei sistemi fiscali degli stati membri.

I punti salienti  del  documento  sono  la trasformazione della BCE  attraverso un ampliamento dei suoi poteri, il che permetterebbe alla Banca Centrale di garantire il debito degli Stati, azzerando i differenziali di rendimento dei titoli di stato tra paesi  che condividono la stessa valuta, evitando così situazioni favorevoli alla speculazione che tende a colpire le economie più deboli; il superamento del  parametro di Maastricht  del 3% del rapporto deficit/PIL che si  è rivelato un freno allo sviluppo; un grande piano di investimenti, utilizzando anche la Banca europea per gli investimenti, sia a livello di Unione che dei singoli Stati e un tetto del deficit, flessibile, che possa  oscillare in base alla crescita dell’economia. Quanto al rientro dal debito, esso  dovrebbe  avvenire attraverso   un piano di rimborsi a lunghissima scadenza,  fornendo alla BCE, sino al raggiungimento del parametro del 60% del PIL,  l’ipoteca sul gettito fiscale futuro o sulle proprietà pubbliche in caso di mancato rimborso di una più rate.[50]

Nella sue    dichiarazioni  più recenti, Savona,  in linea con il Documento inviato a Bruxelles, ha affermato  che il programma di politica economica e finanziaria è coerente con il contratto di governo e con la risoluzione parlamentare approvata  il 19 giugno 2018  che  hanno trovato espressione   nella cancellazione degli aumenti dell’IVA per il 2019, nell’introduzione del reddito e delle pensioni di cittadinanza, nel superamento della legge Fornero, nell’introduzione della flax tax per le piccole imprese, nel rilancio degli investimenti pubblici e privati.

Il  ministro ha evidenziato  che in relazione alle  circostanze  eccezionali ed   urgenti legate  al crollo del ponte Morandi si intende chiedere alla Commissione Europea il riconoscimento della flessibilità di bilancio  per il rilancio dei settori chiave  dell’economia in particolare nel manifatturiero avanzato, nelle infrastrutture e nelle costruzioni.

Savona  si mostra più fiducioso di Tria  sulle prospettive di crescita affermando che  anche le misure di spesa,  presentando una componente di stimolo della domanda, unitamente agli investimenti,  tenendo conto dei moltiplicatori di spesa, potrebbero  portare ad una crescita del 2%  nel 2019  e di un ulteriore mezzo punto annuo  sino a raggiungere la soglia del 3%,  che permetterebbe di guardare positivamente al futuro in termini di occupazione e di stabilità finanziaria.[51] Per il Ministro occorre  superare il “mito europeo” del pareggio di bilancio e le politiche deflazionistiche e  puntare invece sulla crescita che sola garantisce  dal rischio di insolvibilità del debito pubblico.

Savona non auspica un’uscita dell’Italia dall’euro zona anche se  ritiene che tutte le banche centrali e quindi anche la Banca d’Italia  dovrebbe avere un piano di emergenza, il c.d. Piano B .  Ribadisce tuttavia che  dopo quasi trent’anni dalle decisioni che hanno condotto alla firma del Trattato di Maastricht, di fronte alle trasformazioni geopolitiche che hanno avuto luogo in questi anni, in primo luogo la globalizzazione, è necessario modificare  regole e parametri europei, rendendo i vincoli di bilancio meno stringenti,  per creare una Europa diversa,  più  forte, più equa e più attenta alle istanze socio-politiche dei Paesi membri.[52]


IL DEF TRA SPREAD E PROMESSE ELETTORALI

In conclusione  ci si trova di fronte ad una situazione aperta ed in continua evoluzione.[53] Da una parte vi sono  i vincoli europei e costituzionali di bilancio (questi ultimi peraltro ribaditi in modo  molto soft dal Capo dello Stato Mattarella)[54],  le ormai  prossime valutazioni delle agenzie di rating con il rischio di declassamento del debito pubblico e  le possibili  reazioni dei mercati con impennate dello spread. Dall’altra  l’esigenza di  mantenere almeno parzialmente le promesse elettorali da parte delle due forze politiche di maggioranza soprattutto in vista delle elezioni europee di primavera.

E’ una partita ancora tutta da giocare, con una posta  molto alta, la sopravvivenza stessa dell’Unione Europea  pur con tutte le sue criticità e asimmetrie e l’emergere di un’altra Europa caratterizzata   dall’affermazione di  forze  politiche di  destra populista, sovranista e razzista, di democrazie illiberali.

Sulla Nota di aggiornamento del DEF e sulla legge di bilancio si scontrano due visioni  politiche ed economiche alternative. Su di un versante si  sottolinea  l’incongruenza strutturale  tra politica ed economia,   frutto  della governance economica  a partire dal Trattato di Maastricht    che ha dato origine ad una moneta comune in assenza di una politica e di un governo comuni. Da un lato  si è centralizzata  la politica monetaria  attraverso la BCE, dall’altro  si è lasciata, almeno formalmente, all’autonomia dei governi nazionali la politica fiscale e di bilancio  cercando però di controllarla  attraverso le regole  del Patto di Stabilità e   Crescita,    rese più rigorose e stringenti dopo la crisi finanziaria del 2008.

Secondo questa visione, fortemente critica della manovra di governo, incrementare il deficit con un debito pubblico enorme costituisce “ un azzardo morale” che sarà sicuramente sanzionato  dai mercati e che non potrà essere accettato dalle istituzioni della UE e da molti degli Stati membri dell’euro zona che   chiederanno alla Commissione Europea  di  sanzionare  l’Italia in base alle norme  europee di bilancio.

Si mette in guardia dai rischi di questa contrapposizione  radicale alle  istituzioni e alle regole della UE, poiché potrebbe essere  utilizzata come  un ottimo argomento nella campagna elettorale  delle elezioni europee per dimostrare la necessità  di una messa in discussione    della collocazione dell’Italia nell’euro zona configurando così una possibile Italexit.[55]

Sul versante opposto,  vi è chi sostiene al contrario che la politica del rigore ha da tempo ormai mostrato tutti i suoi limiti. L’ austerity e i vincoli europei hanno prodotto povertà,  lavoro precario, aumento delle disuguaglianze,  alimentando così il populismo.  Muovendo dall’analisi del voto del 4 marzo 2018, sarebbe autolesionista per la sinistra, in cerca ancora di sé stessa, schierarsi a sostegno dell’austerità,  avversando le politiche di sostegno al reddito e di lotta alla povertà. Occorre accettare il rischio  dello  spread,  pena l’ulteriore aumento di consensi verso quelle forze populiste e sovraniste che sembrano ormai dilagare in Italia e in Europa.[56]

Come sopra già accennato  resta quindi aperta, in questa fase di grande divisione  nell’ Unione Europea (e non si  tocca qui lo  scottante tema dei flussi  migratori) la questione di fondo della sopravvivenza  della stessa Europa unita, così come si è  configurata  da Maastricht  in poi, con la rigidità  delle sue regole, con la sua politica  neoliberista, con l’assoluta priorità assegnata all’obiettivo della stabilità dei prezzi a discapito della lotta alla disoccupazione, con le sue asimmetrie tra  Paesi forti del Nord e Paesi deboli periferici del Sud, con il suo deficit di democrazia istituzionale, con la sua distanza dai cittadini dei  Paesi membri.

UN’EUROPA DEMOCRATICA E SOLIDALE

Tuttavia, in un mondo multipolare e globalizzato,   ad avviso  di chi  scrive non è comunque  condivisibile   ripiegare  su un’Europa delle Nazioni,  delle piccole patrie, delle culture identitarie,  dei sovranismi. Vi sono diverse  proposte per il suo rilancio e altre si auspica saranno avanzate in vista delle elezioni europee. Di alcune di esse si è dato   qui  parzialmente  conto, da quelle di DiEM 25 a quelle dell’Appello “Per un nuovo sviluppo europeo”  a  quelle dello stesso documento inviato dal Ministro per gli Affari Europei Paolo Savona  a Bruxelles, contenente  i suggerimenti  per   la ricostruzione di una nuova architettura europea.

Si tratta di proposte diverse, che   muovono da visioni ed approcci politici    anche molto differenti  ma che, almeno sul piano delle dichiarazioni, sono tutte accumunate dalla volontà di salvare  l’unità europea, puntando sul suo sviluppo, sull’occupazione e  sul miglioramento  delle condizioni di vita dei cittadini degli Stati membri, sulla riduzione delle asimmetrie  tra Stati, sulla   democratizzazione delle sue istituzioni.

Un’altra Europa, democratica e  solidale,  è possibile?

(*) L’autrice veneziana è socia di Libertà e Giustizia


[1] Ministro per le Politiche Europee nel  Governo Conte, è stato direttore presso la Banca d’Italia, direttore generale di Confindustria sotto la Presidenza di Guido Carli, docente di Politica Economica presso più università, Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, con delega al riordinamento delle partecipazioni statali nel governo Ciampi (aprile 1993 – aprile 1994), Capo del Dipartimento per le Politiche Comunitarie  nel biennio 2005-2006 durante il governo Berlusconi III.

[2] Savona intervenne nel  Convegno di Scenari Economici “Un Piano B per l’Italia” del 3 Ottobre 2015 con una relazione dal titolo “Origini, significato e funzioni di un piano A e B per l’Italia”. Il testo integrale in  https://scenarieconomici.it/origini-significato-e-funzioni-di-un-piano-a-e-b-per-litalia-in-europa-di-paolo-savona/

[3] Comunicato del 27 maggio 2018, in  https://scenarieconomici.it/comunicato-prof-paolo-savona/

[4] Dichiarazione del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella al termine del colloquio con il professor Giuseppe Conte, 27 maggio 2018, in http://www.quirinale.it/elementi/1345

[5] Tra altri, Carlo COTTARELLI: «Con Lega e Cinque Stelle i conti non tornano», in Vanity Fair, 06.03.2018.

[6] in https://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-elezioni-2018-commenti-ai-programmi-di-finanza-pubblica

[7] M. RUFFOLO, Solo riducendo il deficit il sistema regge, La Repubblica, 6 giugno 2018.

[8]   G. L. TOSATO, La riforma costituzionale del 2012  alla luce della normativa dell’Unione: l’interazione fra i livelli europeo e interno – Seminario “Il principio  dell’equilibrio di bilancio secondo la riforma costituzionale del 2012”, Roma 22 novembre 2013,  p. 2.

[9] pag. 5 in http://www.dt.mef.gov.it/export/sites/sitodt/modules/documenti_it/analisi_progammazione/documenti_programmatici/def_2018/DEF_2018_-_Sez.1_-_Programma_di_Stabilitx.pdf

[10] pag. 50 http://www.dt.mef.gov.it/export/sites/sitodt/modules/documenti_it/analisi_progammazione/documenti_programmatici/def_2018/DEF_2018_-_Sez.1_-_Programma_di_Stabilitx.pdf

[11] L’output  gap è la differenza tra il prodotto lordo effettivo e il prodotto potenziale: maggiore è la differenza tra  PIL effettivo  e PIL potenziale, maggiore è l’effetto negativo del ciclo, cioè la gravità   della situazione economica, e maggiore  la possibilità di correggere il saldo strutturale con politiche economiche espansive anti cicliche.

[12] IL SOLE 24 ORE, 31 agosto 2018: “Toni ostili con noi ma saremo costruttivi sui conti. Bene Tria”.

[13] LA REPUBBLICA,  2 settembre 2018, La fine degli aiuti Bce farà soffrire l’Italia ma non siamo i malati UE”.

[14]   MARCELLO ESPOSITO, Europa, il fantasma dell’Italexit, in  Repubblica – Affari e Finanza, 3 giugno 2018.

[15] RANIERO LA VALLE, Tragedia greca in Italia,  nuovAtlantide, 9 maggio 2018, https://www.nuovatlantide.org/tragedia-greca-italia/

[16] C. GALLI, Democrazia senza popolo, Feltrinelli, 2017, p. 87 e ss.

[17] C. GALLI, Popolo, istituzioni e vuoto a sinistra, Patria Indipendente, 1 giugno 2018, in   http://www.patriaindipendente.it/idee/cittadinanza-attiva/popolo-istituzioni-e-vuoto-a-sinistra/

[18]  LA REPUBBLICA,  1 luglio 2018. “Pontida, bagno di folla per Salvini. “Governeremo per i prossimi 30 anni. Farò la Lega delle Leghe”.  Il 28 agosto 2018 a Milano si sono incontrati  il vice premier Salvini  e il premier ungherese  Orban  per discutere di immigrazione e di come fermarla.  I principali quotidiani hanno riportato il seguente messaggio “provocatorio”  di Salvini al Presidente francese Macron: “chiediamo collaborazione anche a Macron, che passa il suo tempo a dare lezioni a governi stranieri: dia l’esempio aprendo Ventimiglia”. Pronta è stata la replica del Presidente francese: “non cederò niente ai nazionalisti e a coloro che difendono i discorsi di odio.  Se vogliono vedere in me il loro oppositore principale, hanno ragione”,  LA REPUBBLICA, 28 agosto 2018. Si veda anche la versione on line del quotidiano francese LIBERATION del  29 agosto 2018 : “Macron se pose en «opposant principal» d’Orban et de Salvini: Le président français Emmanuel Macron a répliqué mercredi aux dirigeants hongrois et italien Viktor Orban et Matteo Salvini qu’ils «ont raison» de le voir comme leur «opposant principal» en Europe sur le dossier des migrants.Je ne céderai rien aux nationalistes et à ceux qui prônent ce discours de haine. S’ils ont voulu voir en ma personne leur opposant principal, ils ont raison», a-t-il lancé, répondant à des journalistes lors de sa visite au Danemark.”

[19] Il programma “un New Deal per l’Europa” in  https://diem25.org/new-deal-europeo-it/.  Si veda anche l’intervista all’ex ministro greco delle finanze  Varoufakis, IL SOLE 24 ORE del 14 giugno 2018 e “IL MANIFESTO” del 13 giugno 2018.

[20] La riforma dell’art.  136  del TFUE  era legata al dubbio in sede comunitaria della compatibilità  del MES con l’art. 125 del TFUE che prevede il divieto per l’Unione e per gli Stati membri di farsi carico  dei debiti di altri Stati.

[21] Per la ricostruzione della normativa europea di bilancio, cfr., tra molti, L. DANIELE, Il diritto dell’Unione Europea, Milano, Giuffrè, 2014, pp. 39 – 47; SERVIZIO DEL BILANCIO DEL SENATO, XVII legislatura, La governance economica  europea,  giugno 2013 n. 3, pp. 1-23  e approfondimenti A,B,C,D,E; G. L. TOSATO, La riforma costituzionale del 2012  alla luce della normativa dell’Unione: l’interazione fra i livelli europeo e interno – Seminario “Il principio  dell’equilibrio di bilancio secondo la riforma costituzionale del 2012”, Roma 22 novembre 2013, pp. 1-11;  A. POGGI, Crisi economica e crisi dei  diritti sociali  nell’Unione Europea, Rivista AIC n. 1 /2017,  che  evidenzia  gli effetti  delle misure poste in essere dalle istituzioni europee sulla sostenibilità economica dei diritti sociali, che costituisce  “precondizione” della democrazia  e dello stesso impianto teorico del costituzionalismo europeo;  M. ESPOSITO, Pareggio ed equilibrio di bilancio: fra scientificità e “feticismo” tecno-economico, in Diritto & Diritti, marzo 2018,  in  https://www.diritto.it/2-pareggio-ed-equilibrio-bilancio-fra-scientificita-feticismo-tecno-economico/#_ftn61.

[22] G. L.  TOSATO, L’impatto della crisi sulle istituzioni dell’Unione, in Il Fiscal Compact, Roma, 2012, l’A. argomenta  contro la tesi secondo cui dalle misure per fronteggiare la crisi “sarebbe derivato  un declassamento  delle istituzioni sovranazionali dell’Unione e del metodo comunitario rispetto alle  istituzioni e al metodo  intergovernativi”.

[23] Con un comunicato stampa del 22 giugno 2018 L’EUROGRUPPO  ha dichiarato  l’uscita della Grecia dal programma di aiuti. Invero, permane  una sorveglianza (Post programme surveillance framework), anche rafforzata (Enhanced Surveillance), finalizzata ad un costante e rigoroso monitoraggio della situazione  economica, fiscale e finanziaria.  E’ stato consentito alla GRECIA di posticipare di 10 anni ( dal 2022 al 2032) il pagamento dei 110 miliardi di euro di prestiti ricevuti dal vecchio Fondo salva-Stati Efsf ed è stato esteso di ulteriori 10 anni il periodo di grazia (cioè quello in cui non scattano sanzioni se non si ripaga il prestito). EUROPEAN COUNCIL E COUNCIL OF THE EUROPEAN UNION, Eurogroup statement on Greece of 22 June 2018, http://www.consilium.europa.eu/en/press/press-releases/2018/06/22/eurogroup-statement-on-greece-22-june-2018/ . Critico l’ex ministro greco delle finanze VAROUFAKIS secondo cui  “chiamano alleggerimento del debito l’estensione  della bancarotta greca fino al 2060”, il Fatto Quotidiano.it, 22 giugno 2018. AVVENIRE.it, 23 giugno 2018, “Dopo 8 anni. La Grecia fuori dalla «sorveglianza» Ue. Ma il Paese è da rianimare”. Sul punto cfr. G. FERRAINO, La Grecia esce dal programma di aiuti: addio alla troika dopo 8 anni di crisi, in www.corriere.it, 19 agosto 2018.

[24] Art. 126 TFUE ( ex art. 104 TCE) e protocollo ( n. 12) sulla procedura per i disavanzi eccessivi.

[25] Regolamento (CE) n. 1466/97 del Consiglio del 7 luglio 1997 per il rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche.

[26] Regolamento (CE) n. 1467/97 del Consiglio del 7 luglio 1997 per l’accelerazione e il chiarimento delle modalità di attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi.

[27] R. GIARDINA, La Germania sforò il tetto del 3%,  Italiaoggi – N. 048 del  26/02/2014 in   https://www.italiaoggi.it/archivio/la-germania-sforo-il-tetto-del-3-1867343 ; si veda il grafico in F. MOSTACCI,  La vera storia dell’aiuto italiano a Germania (e Francia) nel 2003,  in http://www.francomostacci.it/?p=1658.

[28] La sentenza della Corte in

http://curia.europa.eu/juris/showPdf.jsf;jsessionid=9ea7d2dc30db64a1b95023324195a3fad3b6a3c7acba.e34KaxiLc3qMb40Rch0SaxqTch90?text=&docid=49386&pageIndex=0&doclang=IT&mode=doc&dir=&occ=first&part=1&cid=52833

[29] G. L. TOSATO, La riforma costituzionale del 2012, cit. pp. 9-10,  il quale afferma “che gli sviluppi nel tempo della normativa europea di bilancio riflettono la tensione tra i due poli  della rigidità e della flessibilità e della conseguente dialettica tra regole e discrezionalità”.

[30] Regolamenti CE n. 1055 e 1056  del 2005.

[31]  Si veda il grafico in https://www.confartigianato.it/2016/09/studi-in-francia-e-spagna-deficit-sempre-oltre-il-3-del-pil-in-10-anni-per-italia-persiste-criticita-del-debito-pubblico-ma-deficit-eccessivo-solo-in-3-anni-su-10-germania-e-olanda-squilibrio-mac/

[32] SERVIZIO DEL BILANCIO DEL SENATO, XVII legislatura, La governance economica  europea,  cit.,  approfondimento  C,  p. 30.

[33] Art. 6 comma 3 del Regolamento (UE) n. 1175/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 novembre 2011, che modifica il regolamento (CE) n. 1466/97 del Consiglio per il rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche.

[34] G. L. TOSATO, La riforma costituzionale del 2012  alla luce della normativa dell’Unione, cit., pp 10-11.

[35] Gli obiettivi del Patto  erano: stimolare la competitività,  stimolare l’occupazione, concorrere ulteriormente alla sostenibilità delle finanze pubbliche, rafforzare la stabilità finanziaria. Il Patto, Allegato I alle Conclusioni  del Consiglio Europeo del  24 -25 marzo 2011, prevede, tra l’altro, che “Gli Stati membri partecipanti si impegnano a recepire nella legislazione nazionale le regole di bilancio dell’UE fissate nel patto di stabilità e crescita. Gli Stati membri manterranno la facoltà di scegliere lo specifico strumento giuridico nazionale cui ricorrere ma faranno sì che abbia una natura vincolante e sostenibile sufficientemente forte (ad esempio costituzione o normativa quadro).”  In http://europa.eu/rapid/press-release_DOC-11-3_it.htm . Circa la natura di  soft law del Patto, cfr.  L. DANIELE, Il diritto dell’Unione Europea, cit. pp. 44  e 47. Cfr. anche G. L.  TOSATO, L’impatto della crisi sulle istituzioni dell’Unione, cit. p. 17.

[36] Cfr. G. L. TOSATO, La riforma costituzionale del 2012, cit., p. 22.    

[37] Ufficio Parlamentare del Bilancio, L’inserimento del Fiscal Compact  nel diritto UE, Flash n. 7/4 agosto 2017, in http://www.upbilancio.it/wp-content/uploads/2017/08/Flash-n.-7_20171.pdf

[38] Cfr.  l’Appello “Superare il Fiscal compact per un nuovo sviluppo europeo” che conclude  a favore di una riforma strutturale della macchina europea che punti “verso un modello di sviluppo trainato dai salari, dai consumi interni e da nuovi investimenti, anziché verso un modello mercantilista, problematico sotto il profilo dell’equilibrio globale quanto incapace di assicurare progresso, convergenza e coesione economica e sociale all’interno dell’Unione”; in  https://www.economiaepolitica.it/politiche-economiche/europa-e-mondo/lappello-superare-il-fiscal-compact-per-un-nuovo-sviluppo-europeo/

[39] Commissioni riunite V e XIV – Mercoledì 7 febbraio 2018,  Allegato 4 di valutazione contraria alla “proposta di direttiva del Consiglio che stabilisce disposizioni  per rafforzare la responsabilità di bilancio e l’orientamento di bilancio a medio termine negli Stati membri ( COM (2017) 824).”

[40] COMMISSIONE EUROPEA, MEMO – Entra in vigore il “two-pack”: completato il ciclo di sorveglianza di bilancio e migliorata ulteriormente la governance economica per la zona euro, Bruxelles, 27 maggio 2013, in http://europa.eu/rapid/press-release_MEMO-13-457_it.htm. Cfr. anche SERVIZIO DEL BILANCIO DEL SENATO, cit., p. 12 e ss.  

[41]Regolamento UE n.472/ 2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, Considerando  n. 3.

[42] SERVIZIO DI BILANCIO DEL SENATO, cit., p. 12.

[43] IL SOLE24  ORE, 14 settembre 2018, L’altolà di Draghi all’Italia: ”danni dalle parole, ora ai fatti”,; LA REPUBBLICA, 14 settembre 2018, Draghi: ora è allarme sull’Italia “ danni  dalle parole del governo”.

[44] LA REPUBBLICA, 16 settembre 2018, C.  TITO, Nel DEF deficit- PIL all’1,6%  basta solo per sei mesi di reddito di cittadinanza”

[45] IL SOLE 24 ORE del 16 settembre 2018,  “Manovra, partita su 5-7 miliardi”

[46] IL MANIFESTO,  27 settembre 2018, Doppio  pressing, Tria resiste

[47] LA REPUBBLICA, 28 settembre 2018, Vincono LEGA e  M5S, Tria nell’angolo, il deficit sale al 2,4%; cfr. anche IL SOLE 24 ORE, 28 settembre 2018, Manovra oltre 30 miliardi

[48] LA REPUBBLICA, 28 settembre 2018, E Bruxelles prepara la bocciatura della manovra

[49]  IL SOLE 24 ORE, 30 settembre 2018, La  manovra non è sfida alla UE – il giudizio sul 2,4% può cambiare

[50] Si veda l’intervista a P. Savona,  in LIBERO, 16 settembre 2018,  Ecco il Piano per salvare l’Unione; si veda anche  l’intervista del ministro SAVONA sul quotidiano LA VERITA’, “Un ribaltone in Europa e trovo subito 50 miliardi”,  in http://www.politicheeuropee.gov.it/it/ministro/rassegna-stampa/vi-presento-il-mio-piano-a-un-ribaltone-in-europa-e-trovo-subito-50-miliardi/

[51] IL FATTO QUOTIDIANO, 30 settembre 2018

[52] LA REPUBBLICA, Affari&Finanza, 1 ottobre 2018

[53] Di fronte alla reazione  negativa ancora  informale di Bruxelles,  per rassicurare la UE e i mercati il Governo ha rivisto il rapporto deficit/PIL dal 2,4 %per il triennio  al 2,1% nel 2020 e all’1,8% nel 2021, cfr. LA REPUBBLICA, 4 ottobre 2018

[54] Si veda , IL MANIFESTO,  2 ottobre 2018, VILLONE,  La saggia prudenza di Mattarella

[55] IL SOLE 24 ORE, 30 settembre 2018, FABBRINI, La distanza che separa politica ed economia

[56]  IL FATTO QUOTIDIANO, 30 settembre 2018,  Questo DEF è giusto – La sinistra non può tifare per lo spread

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