Referendum e oltre

30 Nov 2016

Forse è il caso, avvicinandosi il 4D, che si ponga l’accento contemporaneamente sul valore delle argomentazioni proposte e sulla proiezione delle stesse nella realtà delle politiche quotidiane in atto e di quelle che verranno.

In atto è tutto congelato, ingessato tra continue mediazioni all’interno di una maggioranza che ha posposto tutto all’esito del referendum.

Per il futuro una delle argomentazioni proposte dai sostenitori del Sì è la seguente: votiamo Sì anche se la riforma è imperfetta perchè è meglio del nulla, rimedia a trenta anni di immobilismo e il non cambiamento ci condannerebbe anche per i prossimi trenta anni.

Non è un modo di argomentare che condivido, ma provo a confrontarmi.

Il primo quesito, e tralascio la discussione concernente il tema della scheda suggestiva, è relativo al superamento del bicameralismo paritario.

E’ sicuramente un tema sul quale tanti possono convenire ma la riforma prospettata crea un bicameralismo confuso, moltiplica le forme dei procedimenti legislativi con una sovrapposizione di competenze difficilmente gestibile. Prevede poi una composizione rimessa ad una legge elettorale ancora incerta e orientata alla formazione di un Senato delle autonomie locali (sindaci e consiglieri regionali).

Altro dato di difficile lettura ai fini del funzionamento del sistema è il combinato disposto di questa parte del quesito e della riforma con quello relativo alle modifiche del titolo quinto. Qui la confusione già di per se grave sui diversi procedimenti legislativi interseca l’altra di rilevante spessore costituzionale sul riparto delle competenze tra Stato e Regioni. Come altri hanno autorevolmente scritto il sistema non si semplifica rispetto al presente e si ha un quadro delle autonomie con Regioni più o meno capaci di incidere in senso positivo o negativo sulla legislazione.

Viene da chiedersi: avremo procedure legislative più celeri?

Forse, ma per quanto sopra detto non è certo. Anzi è probabile il contrario, come affermano i sostenitori del No e come si deve dedurre dalle ammissioni di imperfezione riconosciute dai sostenitori del Sì.

Se si ammettono imperfezioni bisogna anche dire a cosa si riferiscono e quali prospettive di modifica suggeriscono i sostenitori del Sì.

Non è stato fatto anche perchè, e questo è a mio parere un ulteriore difetto della riforma, è un testo così confuso che difficilmente è modificabile.

Quel che è certo è che non sono stati previsti contrappesi per un esecutivo i cui poteri di fatto risultano ampliati. Non si è neppure immaginata la limitazione della rinnovabilità del mandato e in questa materia non ci si può certo accontentare delle promesse personali, specie in un paese che ha vissuto e vive continui cambi di direzione dei rappresentanti politici non accompagnati da assunzione di responsabilità.

E’ pur vero che da parte di molti, anche di autorevoli studiosi, si ritiene che la riforma non metta a rischio l’impianto democratico, ma è altrettanto vero che in passato comportamenti distratti o ingenui di cittadini furono in grado di annientare le libertà individuali.

Se si ammettono imperfezioni perchè non ammettere anche la possibilità di un dubbio sulla tenuta del sistema?

I quesiti relativi alla riduzione del numero dei parlamentari ed al contenimento dei costi della politica immagino possano essere trattati congiuntamente.

Si può subito osservare che in realtà si incide solo sul numero dei senatori e che ragionevolmente si sarebbe potuto incidere tagliando anche il numero dei deputati che non ha pari in altri paesi e che appare eccessivo anche con riguardo ai riferimenti territoriali.

Dunque l’argomentazione dei sostenitori del Si rivela una evidente fragilità perchè la riduzione dei costi conseguente al taglio dei senatori non è di rilevante entità. Se invece lo fosse, non si capisce perchè non tagliare anche il numero dei deputati, raddoppiando il presunto beneficio economico.

Infine il quesito sull’abolizione del CNEL.

Non credo sia il punto rilevante per la scelta referendaria. Nel caso dovessero vincere i No si potrebbe facilmente riproporne l’abolizione.

Credo dunque che l’argomentazione sulla quale mi sono voluto misurare, che possiamo sinteticamente richiamare con “voto si perchè è il meno peggio”, non possa essere condivisa se non accettando contemporaneamente di condividere una riforma imperfetta per stessa amissione dei sostenitori.

Per rimediare a trenta anni di immobilismo, come sostiene il fronte del Sì , non mi sembra una buona medicina prospettare molti anni di scommesse e confusioni ed alimentare il dubbio che una legge elettorale “infelice”potrebbe consegnare e per molti anni il potere nelle mani di pochi.

Si dice anche che se dovesse vincere il No il paese resterebbe bloccato per altri trenta anni.

Questo mi sembra una atto d’espropriazione delle altrui intelligenze e del futuro dei tanti giovani e meni giovani che si potrebbero misurare da subito su riforme costituzionali meno divisive.

Altra argomentazione che viene portata avanti è quella relativa al fatto che con toni a volte seri ed a volte volutamente ironici viene messo in rilievo la trasversalità del fronte del no, dalla destra alla sinistra per usare categorie di riferimento generale.

Questa argomentazione dovrebbe far riflettere proprio chi la porta avanti. Un paese diviso su una riforma costituzionale non è un fatto positivo, ma ancor di più dovrebbe far riflettere il fatto che schieramenti con ideologie diverse danno un giudizio negativo sulla riforma.

Le costituzioni non devono dividere ma unire i cittadini e non deve meravigliare se uomini di destra e sinistra stanno su un fronte comune per respingere una riforma confusa.

Se vince il No ciascuno tornerà a perseguire le proprie politiche.

Ugualmente, se dovesse vincere il Sì, destre e sinistre perseguirebbero le proprie differenti politiche, ma potrebbero pensare legittimamente ad una nuova riforma, magari votata da un Parlamento ancorato più saldamente ad un voto popolare, espressione di una legge non incostituzionale.

Ciascuno potrà trarre le proprie conclusioni se votare il meno peggio, come prospettato dai sostenitori del Sì, e su quanto questa soluzione sia stabilizzante per il sistema costituzionale.

Dopo il 4D dunque si tornerà a misurarsi sulle politiche di tutti i giorni.

Formazioni politiche già esistenti ed altre che si dovessero formare avrebbero il dovere di presentare un proprio programma di governo inevitabilmente condizionante e condizionato poi dai risultati elettorali.

E quando si dice programma di governo non si intende un complesso di generiche costruzioni. Al contrario, è necessario che si tratti di un programma articolato, frutto dell’elaborazione anche eventualmente di nuovi soggetti politici, programma che possa coinvolgere una società civile rimasta per troppo tempo ai margini o strumentalizzata.

Ci sono milioni di elettori che non hanno più votato e che forse, a prescindere dal referendum, continueranno a non votare. Sono in gran parte elettori che non si riconoscono in nessun programma perchè “il postideologico” ha determinato assuefazione ad una classe politica che, a prescindere dal ruolo di governo od opposizione, appare ormai come capace di promuovere solo politiche di autoconservazione e al tempo stesso ha influito negativamente sulle opportunità dei cittadini di concorrere alla politica.

Che senso ha dunque farsi coinvolgere in un appuntamento elettorale senza risultati per il paese, se non in presenza di individuati interessi al conseguimento di benefici più o meno rilevanti a seconda del successo elettorale del gruppo di riferimento?

Questi cittadini torneranno al voto se vedranno programmi concreti sui quali confrontarsi, ma prima ancora è opportuno che nuove formazioni politiche coinvolgano sul territorio proprio le professionalità, le competenze e gli entusiasmi di chi per troppo tempo si è disinteressato della cosa pubblica.

La campagna referendaria ha coinvolto molti, generalmente assenti e distanti dal dibattito politico, e sarebbe auspicabile che ciò continuasse.

Non occupati, giovani, adulti, operai, pensionati, artigiani, impiegati, professionisti, insegnanti, esperti di economia e finanza, intellettuali tutti saranno importanti per l’elaborazione di politiche condivisibili.

La paura del nuovo, del salto nel buio per la mancanza di competenze in chi si affaccia alla politica attiva è un’argomentazione priva di spessore e spesso portata avanti da chi ha governato ed amministrato male generando situazioni fallimentari, incremento della corruzione, necessaria a volte per l’autoconservazione, e contribuendo a creare impoverimento culturale ed economico del paese.

La vittoria del No non sarà un salto nel buio perchè l’impianto costituzionale non sarà cambiato e ciò che invece dovrà essere portato avanti è un quadro di politiche nuove.

Bisogna reagire, eventualmente costruendo nuove strutture politiche collegate ai territori ed elaborare da subito politiche di interventi concreti, in modo che alle prossime elezioni la società civile possa diventare classe politica rifondata su valori di libertà e giustizia e con programmi eticamente condivisibili.

Ed è auspicabile che l’invito venga raccolto da molti perché a prescindere dal risultato referendario saranno solo le politiche di tutti i giorni quelle che ci consentiranno di far crescere o meno l’Italia. Non sarebbe più giustificabile continuare a delegare il governo del paese ad una classe politica che negli ultimi anni ci ha tenuto lontani dal voto, non contrastando illegalità diffuse, corruzioni e mafie dilaganti.

Non dimentichiamo che questa riforma costituzionale è stata votata da un Parlamento eletto con una legge dichiarata incostituzionale.

Del pari molte altre leggi, vanto di una maggioranza in contraddizione con se stessa, sono state velocemente approvate, ignorando la riflessione che la sentenza della Corte Costituzionale avrebbe dovuto suggerire.

Bisogna dunque che si torni tutti al rispetto del principio fondamentale della sovranità popolare come formulato nella carta costituzionale e soprattutto che si torni in tanti “a fare politica”.

La vittoria del Sì non impedirà lo svolgimento delle politiche di tutti i giorni ma sarà fonte di legittime contarapposizioni politiche non disgiunte dalla voglia di “riformare la riforma dagli stessi sostenitori giudicata imperfetta”.

Dunque la vittoria del No non sarà un salto nel buio, sarà un ponte verso la costruzione di nuove politiche intorno a valori condivisi.

 (*) L’autore è magistrato e socio del Circolo LeG di Messina

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