LE ELEZIONI POLACCHE E IL DRAMMA DELLA “POLIS” EUROPEA – ovvero PERCHE’ E’ DIFFICILE FERMARE IL VENTO DEI NAZIONALISMI

30 Ott 2015

La Polonia – da sempre  “anticipatore” dei problemi europei – conferma questo suo ruolo con lo “strano” esito delle ultime elezioni. , “Strano” non solo perché divergente dalle previsioni delle élites dirigenti europee e dei media, ma perché proveniente da un paese che dalla larga utilizzazione dei Fondi Europei, e da una crescita annua del PIL al ritmo del 4%, avrebbe dovuto trarre motivi di fedeltà e “gratitudine” al partito europeista dell’ ex premier Donald Tusk attualmente ai vertici delle istituzioni europee. Invece, il partito al governo di orientamento liberale ( Piattaforma Civica ) ha ottenuto il 24,09% dei voti ( 138 seggi), mentre il partito di opposizione ( Diritto e Giustizia), “nazionalista” e “anti-europeo” ha ottenuto 37,58% dei voti( 235 seggi), acquistando, alla Camera (460 seggi in totale ) un peso che gli potrebbe consentire di governare da solo.

Perché questa contraddizione?  La risposta si può cogliere nel programma del partito PiS (Prawo i Sprawiedliwosc- Diritto e Giustizia). “… Non accettiamo – si legge nel poderoso documento – la erosione incontrollata della sovranità delle patrie europee. Difenderemo il diritto di decidere della nostra libertà, introducendo le più solide tra le possibili barriere legali per fronteggiare la possibilità di queste pratiche verso la Polonia. Questo è il nostro Eurorealismo” p. 13 (Program Prawy i Sprawiedliwosci 2014

“ La Polonia intraprenderà ancora una volta uno sforzo per imprimere una dinamica nuova alla comunità (europea) , basata sul principio di solidarietà, di cooperazione degli Stati nazionali sul fondamento ed entro i limiti del diritto internazionale, ed entro i confini invalicabili delle Costituzioni nazionali”.

Ed ancora tra gli obiettivi della politica estera leggiamo : “ mantenimento dello zloty e del suo ruolo sovrano come valuta nazionale polacca, rinegoziazione dei principi che regolano il pacchetto energetico-climatico nella direzione di garanzie per l’ industria polacca, nonché mutamento dei principi di funzionamento del mercato fondiario in Polonia a partire dal 2016 sulla base della difesa rigorosa del carattere polacco della proprietà fondiaria”.

Il voto polacco dunque, in una prospettiva europea, si inserisce nel “federalismo intergovernativo” europeo, divenuto oggi soprattutto un “federalismo finanziario”, che divide e contrappone i popoli, distinguendo tra loro gli Stati “complying”, cioè quelli virtuosi, che “fanno i compiti a casa” e gli Stati “viziosi” , che non si attengono alle regole ( o magari non riescono ad attenersi ad esse). Una distinzione che fomenta il risentimento dei più deboli, le prevaricazione dei più forti e le ambiguità dei più astuti. Quelli che abusano del “potere di Bruxelles”, criticandolo ed appoggiandolo a giorni alterni,- o magari chiedendo genericamente “più Europa”- soltanto per acquisire quella legittimazione politica, che non possono ottenere per consenso democratico. Una distinzione che mina alle basi la solidarietà, offrendo agli altri Stati il pretesto dell’esempio e la tentazione dell’interesse.

L’ UE vive oggi il dramma del non essere ancora una “polis” e non voler esser più una semplice cooperazione di governi, gestita col “metodo comunitario” messo in funzione dai vecchi trattati di Roma e modificato dopo Maastricht. Oggi esiste una unione di Governi e di Stati regolata da un Trattato (che impropriamente qualcuno si ostina a chiamare Costituzione) e da vari Patti integrativi, che condizionano e indirizzano le scelte dei governi nazionali, soprattutto di quelli in area euro. In un Trattato, come noto, non si persegue alcun bene comune. Si assumono impegni reciproci e vincolanti tra i contraenti, ognuno dei quali mira legittimamente a difendere i propri beni particolari e distinti, senza ledere quelli degli altri. Tanto è che le decisioni più importanti si prendono solo all’unanimità. 

Nessun trattato può produrre una POLIS e l’ UE non è una POLIS.

Ha cercato, è vero, di diventarlo, ma sinora senza successo, affidandosi solo all’ ordine monetario comune,  affrontando i problemi di sviluppo senza riguardo alla coesione Ma ciò che è ancora più grave è la mancanza di una politica estera comune, quella che potrebbe consentire oggi di gestire in modo coordinato e solidale il problema dei rifugiati “in cerca d’ Europa”. Senza una cessione paritetica di sovranità  non potrà mai esserci una risposta europea al problema, né una politica attiva di promozione della democrazia e dei diritti umani nelle aree del Medio oriente e del Mediterraneo. Una politica peraltro impossibile, a Trattati invariati, dato che richiederebbe enormi impegni finanziari e, dunque, una ben altra configurazione dei rapporti tra BCE e istituzioni europee.

Da qui la gestione di una emergenza abbandonata ai singoli Stati (non più solo quelli di frontiera), peraltro privati della flessibilità finanziaria necessaria a far fronte agli eventi straordinari, oggi divenuti ordinari. E’ naturale che, anche grazie a questo circolo vizioso, i “nazionalismi”- certo diversi per intensità e grado e per la compatibilità con la democrazia- si affermino e che Stati anche caratterizzati da lunghe tradizioni democratiche si risolvano a innalzare “muraglie” alle loro frontiere. Ma l’emergenza e l’intensità dei problemi posti oggi all’ Europa- evidenti anche nel caso polacco – dicono che, di fronte ai rischi incombenti, è importante fare in modo che il potere politico, rafforzato dall’ emotività e sostenuto da una ampia maggioranza popolare, non sia spinto a oltrepassare i limiti del costituzionalismo e dei diritti , come potrebbe delinearsi con la nuova grande maggioranza monopartitica in Polonia.

Ma questo pericolo deve essere un ammonimento per tutti. Neppure le istituzioni europee, nemmeno in situazioni straordinarie, devono essere legittimate ad agire come un potere sovrano sopra altri poteri sovrani ( quelli nazionali) a entrare in conflitto con essi. Esse non possono, ad esempio, cedere alla tentazione di appoggiare governi di minoranza, solo perché rispettosi delle regole europee ( il caso che sembra potersi profilare in Portogallo) contro le maggioranze espresse dai voti popolari. Anche questo mina la democrazia alle sue basi e gonfia le vele ai vari nazionalismi.

La opportunità/necessità oggi evidente è quella di porre le basi di una vera “polis” europea, Se, per fare questo, è necessario cambiare le regole europee, si possono e si devono cambiare, con l’accordo più ampio possibile. E con un dibattito aperto e senza condizioni. La gravità dei problemi è un motivo ancora più legittimo per farlo. Prima che i trattati siano del tutto screditati o travolti dalle convenienze dei più forti e dalla ribellione dei più deboli.

 

 

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