Il potere pubblico del giornalismo

17 Mar 2015

Giornalismo è potere. Coloro che hanno il controllo della produzione di parole e immagini influenzano, spesso molto a fondo, i pensieri e i comportamenti dei loro concittadini. Si tratta di un dato di fatto che i dittatori non dimenticano mai, ma che talvolta nelle democrazie si perde di vista. Possiamo vedere un esempio di come il potere è utilizzato in un paese autoritario osservando la Russia. Man mano che negli ultimi quindici anni il potere di Vladimir Putin è aumentato, le fonti alternative di informazione e di opinione si sono ridotte, e ne restano poche. Per di più, queste poche sono deboli e sotto pressione. Nei mezzi di informazione di stato, specialmente la televisione, l’immagine del leader è sempre in primo piano ed è presentata sempre in luce positiva. Il messaggio trasmesso, proprio come avveniva in epoca sovietica, è quello della stabilità. Il controllo è esercitato da un regime saggio, messo in pericolo soltanto da pochi soggetti “malintenzionati”, che Putin alla fine dello scorso anno ha chiamato “le quinte colonne”. Mi riferisco a persone come Boris Nemtsov, assassinato la settimana scorsa.

Che cosa devono fare i paesi democratici per cercare di evitare che il potere dello Stato acquisisca il controllo totale di un mezzo di informazione? Come può il giornalismo finanziato dai soldi dei contribuenti servire gli interessi di quegli stessi cittadini che lo sovvenzionano? Possono farlo in un modo basilare: sviluppando e custodendo il concetto di verità. Adattandosi al famoso motto del New York Times — “All the News that Fits” — che si può leggere come “Tutta la verità che possiamo darvi”. I giornali hanno una missione diversa. Ci offrono le notizie sugli interni e dagli esteri, ma hanno anche un improprio punto di vista, una filosofia con la quale leggono la società e il governo contemporanei. Il fondatore di questo giornale, Eugenio Scalfari, ha scritto che un quotidiano per mantenere la fiducia dei suoi lettori dovrebbe dichiarare chiaro e tondo le sue influenze, e qual è la sua filosofia. Il giornalismo sponsorizzato dallo Stato, invece, gode di una fiducia diversa. Non può avere un condizionamento politico. Il suo compito, difficile ma affascinante, è dare espressione nel modo più completo e più sincero possibile alle diverse correnti d’opinione, ai movimenti e ai cambiamenti che si verificano nella società e nel mondo. Il giornalismo come servizio pubblico, inoltre, deve rendere chiara la natura delle sfide con le quali se la devono vedere la popolazione e il governo del proprio paese. Anche in questo caso, il metodo non consiste nel giudicare ma nell’illuminare, nell’evitare gli stereotipi e le conclusioni ovvie e scontate. Quindi indagare, investigare, scoprire.

Chi fa questo genere di giornalismo deve essere un po’ schizofrenico: deve avere la fiducia e il coraggio di scoprire la verità su questioni complesse, e farlo in circostanze nelle quali talvolta la verità è tenuta segreta e nascosta dai potenti. Ma oltre a ciò deve avere anche l’umiltà nei confronti dei fatti, e lasciare che siano questi, e non le loro opinioni, a parlare. Il giornalismo è un mestiere pratico. Non può essere postmoderno e proporre che esistano molti tipi di verità o che la verità non esista proprio. Deve partire quindi dal presupposto che la verità esiste e che una parte di essa può e debba essere comunicata e compresa. Il giornalismo deve fornire un resoconto che sia comprensibile e interessante, ma più di ogni altra cosa conforme ai fatti e alla verità, sulla base del principio secondo cui conoscere la verità aumenta la nostra libertà.

In questo periodo Rai e Bbc, due delle più grandi emittenti pubbliche in Europa, sono sottoposte a riforma e cercano in qualche modo di servire meglio gli interessi del loro pubblico. Il compito di nessuna delle due è facile, ma nel caso della Rai la questione è ancora più complessa perché dal dopoguerra a oggi è sempre stata maggiormente e più strettamente legata alla politica: ogni qualvolta cambiava il governo, è sempre cambiata anche la direziono del suo servizio di informazione. Lo scopo di tutto ciò era far sì che nessun partito o personaggio potesse assumere il controllo permanente di questo servizio: lo scotto da pagare è stata la lottizzazione della Rai. Un’emittente del servizio pubblico i cui giornalisti sono liberi di concentrarsi e impegnarsi nella ricerca della verità deve essere sottratta al controllo politico diretto, e deve rimanere fedele al proprio impegno nei confronti dell’onestà, della neutralità e dell’oggettività. Questa è la sfida dei giornalisti e dei dirigenti della Rai. Garantire loro quella libertà ed esercitare quella forma di responsabilità è una sfida altrettanto grande per i politici, soprattutto quelli al governo.

(Traduzione di Anna Bissanti)

la Repubblica

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