La sera delle elezioni

20 Gen 2015

Francesco Pallante

Con la legge elettorale “rottameremo l’inciucismo perché la sera delle elezioni sapremo chi ha vinto”. Così, pochi giorni orsono, il Presidente del Consiglio.

Colpisce, in queste ore di decisive discussioni sull’Italicum, come, a vent’anni dal referendum del 1993, ancora ci si illuda di poter forzare la realtà del sistema politico per mezzo di artifici legislativi. Come se le leggi fossero formule magiche, pronunciando le quali si trasformano le cose.

Con la legge elettorale “rottameremo l’inciucismo perché la sera delle elezioni sapremo chi ha vinto”. Così, pochi giorni orsono, il Presidente del Consiglio.

Colpisce, in queste ore di decisive discussioni sull’Italicum, come, a vent’anni dal referendum del 1993, ancora ci si illuda di poter forzare la realtà del sistema politico per mezzo di artifici legislativi. Come se le leggi fossero formule magiche, pronunciando le quali si trasformano le cose. Da questo punto di vista, Mattarellum e Porcellum erano analoghi: entrambi, tra sistema dei partiti e sistema elettorale assumevano il primo come variabile dipendente dal secondo. Eppure, non c’è stata legislatura post ’93 che si sia conclusa senza la crisi della coalizione premiata dagli elettori. La ragione è evidente: si trattava di coalizioni elettorali, non politiche, concepite al solo scopo di imporsi sull’avversario, mettendo insieme anche chi insieme non poteva ragionevolmente stare. Ora, con l’Italicum, ci risiamo.

Il nodo è il rapporto tra rappresentanza e governabilità. Due principi costituzionali che – come ha ricordato la sentenza n. 1/2014 della Consulta – non sono esattamente sullo stesso piano. La nostra è, in primo luogo, una democrazia rappresentativa; poi, certo, necessita – come tutti i sistemi politici – di essere governata. Ma non al costo di trasformarsi in una “democrazia governativa”. La prerogativa delle Costituzioni novecentesche è stata la capacità di produrre inclusione sociale attraverso l’estensione della rappresentanza, a dispetto delle Costituzioni liberali dell’Ottocento, che si basavano sulla sua limitazione. Ma è stata una stagione di breve durata. Mai come nei trent’anni successivi alla seconda guerra mondiale le diseguaglianze sociali sono, a livello planetario, diminuite. Poi, la rotta si è invertita e oggi le 85 persone più benestanti del pianeta posseggono una ricchezza pari a quella dei 3,5 miliardi più indigenti. Una tendenza generalizzata, che coinvolge appieno l’Italia.

Ma, è sul piano storico che sono all’opera le mistificazioni più evidenti: il dialogo politico che, in epoca di proporzionale, ha portato – pur tra enormi conflitti – l’Italia dal sottosviluppo al G7 è stato volgarmente tacciato di “consociativismo” e “inciucismo”; mentre l’immobilismo politico che, in epoca di maggioritario, ha accompagnato il declino italiano degli ultimi vent’anni è stato celebrato come “democrazia decidente”. La realtà è che il maggioritario è stato un gioco a somma negativa: è riuscito nel capolavoro di diminuire, nel contempo, rappresentatività e governabilità.
Ci si chiede come si possa pensare di governare un Paese senza rappresentarne i cittadini. A furia di escludere, si è arrivati a una Camera in cui il 55% dei seggi è andato a un partito votato dal 25% degli elettori! E se la smettessimo di credere alle formule magiche e tornassimo a fare i conti con la realtà? L’Italia è un Paese attraversato da fratture numerose e profonde. Si può far finta di niente: negare il pluralismo in nome di astratte entità metafisiche (la Nazione, come nell’Ottocento…), anestetizzare la società, ridurre la politica a indicibili patti per la gestione del potere. Oppure si può prenderne atto: accettare il pluralismo come una ricchezza, liberare le energie sociali in conflitto, riscoprire la politica come arte della mediazione tra visioni del mondo contrapposte ma alla ricerca di punti comuni.

 

Per questo non serve una legge elettorale che attribuisca la vittoria la sera delle elezioni. Serve una legge che sia capace di dar voce a chi oggi non ce l’ha (e pensa di non poterla più avere). Una legge che esprima non un finto vincitore, ma veri competitori, capaci di concorrere democraticamente alla determinazione della politica nazionale (art. 49 Cost.), e non soltanto di accordarsi sulla sopravvivenza politica di chicchessia. Una legge elettorale, insomma, che la sera delle elezioni ci consenta di andare, molto semplicemente, a dormire.

 

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