Pubblichiamo le conclusioni del saggio di Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della Corte costituzionale, sulla sentenza n. 1/2014 emessa un anno fa dalla Consulta per cassare la legge elettorale “Porcellum” e sulle sue conseguenze sull’attuale Parlamento, in uscita sul numero 3/2014 della rivista “Giurisprudenza costituzionale”, diretta dal professor Alessandro Pace. Il merito, secondo la Corte. Il nucleo costituzionale della decisione è nella seguente duplice affermazione: a) l’alterazione della proporzionalità attraverso premi di maggioranza è possibile, in vista dell’obiettivo perseguito, che è la stabilità di governo e l’efficienza dei processi decisionali, ma non deve essere abnorme; b) all’elezione dei singoli parlamentari non deve mancare il sostegno della scelta personale da parte dei cittadini-elettori (…).
Le motivazioni sono semplici e apodittiche. a) Sebbene esista ampia discrezionalità del legislatore nella materia elettorale, derivante dall’assenza di una scelta costituente in favore di uno o di un altro sistema elettorale (per quanto il sistema proporzionale per l’elezione della Camera dei deputati sia stato indicato come il preferibile, in un “ordine del giorno” approvato dall’Assemblea), tale discrezionalità non si sottrae al controllo di ragionevolezza e proporzionalità, alla stregua dei principi costituzionali individuati negli artt. 1 comma 2, 48 comma 2, e 67 Cost. Da queste norme, in connessione con la libertà concessa al legislatore di configurare i sistemi elettorali secondo le proprie valutazioni d’opportunità, dovrebbe discendere che ciascun voto deve poter contribuire con pari efficacia alla formazione degli organi elettivi nel momento in cui è espresso e conteggiato, ma non anche che debba avere lo stesso peso nel momento del risultato (…). Poiché il premio elettorale non è subordinato alla conquista da parte del premiato di un certo numero minimo di consensi, la legge che lo prevede non opera una ragionevole mediazione. Essa sacrifica smodatamente o sproporzionatamente il principio di rappresentanza, subordinandolo incondizionatamente alla funzionalità delle Camere. In definitiva, rispetto all’obiettivo perseguito – sono parole della Corte – la disciplina del premio di maggioranza determina un’eccessiva compressione della funzione rappresentativa delle Assemblee, nonché dell’uguale diritto di voto (evidentemente: rispetto al risultato), tale da produrre un’alterazione profonda degli equilibri su cui si fonda l’intera architettura dell’ordinamento costituzionale vigente (…). b) Il voto limitato alla sola scelta di liste di candidati predeterminate da altri (partiti o simili), secondo la Corte, “ferisce la logica della rappresentanza consegnata nella Costituzione”. Ciò significa che la rappresentanza politica non può trasformarsi e ridursi a investitura fiduciaria nei confronti dei partiti. Il sistema delle liste bloccate è, per l’appunto, il metodo di questa trasformazione e di questa riduzione: il partito si presenta all’elettorato con un “prendere o lasciare” di un “pacchetto” che l’elettore – per così dire – non può spacchettare. Il principio contenuto nella sentenza è chiaro: il diritto dell’elettore non può ridursi a una adesione in blocco. Ciò implica la necessità che il voto di lista, nei sistemi elettorali che lo prevedono, si accompagni a un voto di preferenza di candidati. Le liste bloccate impediscono questo voto , poiché la determinazione delle candidature, secondo il sistema elettorale dichiarato incostituzionale, era monopolizzata dalla dirigenza dei partiti che, stabilendone l’ordine, predeterminava anche l’esito delle elezioni entro il numero di seggi spettanti a ciascuna lista di partito, secondo l’esito elettorale. In questo modo il ruolo degli elettori finiva semplicemente per ridursi alla distribuzione dei pesi tra queste rappresentanze (con l’aggravante dell’effetto straniante delle candidature multiple e della relativa possibilità di opzione tra i collegi diversi). Qui sta il nucleo dell’argomentazione della Corte: la sostituzione a un tipo di rappresentanza (dei cittadini elettori) con un altro tipo (dei partiti). Tuttavia, in altre proposizioni della motivazione, l’accento cade non più sulla “indicazione personale dei cittadini” ma sulla “conoscibilità dei candidati” da parte degli elettori, conoscibilità resa impossibile o difficoltosa in presenza di liste lunghe presentate in collegi assai ampi. C’è dunque un’oscillazione tra conoscenza e indicazione. Le liste bloccate, nell’ordine d’idee della conoscibilità, sembrano diventare possibili, purché brevi. Se, invece, il criterio è l’indicazione, cioè la scelta del candidato, la conoscenza, non è sufficiente. La conoscenza è ovvia condizione dell’indicazione, ma conoscenza e indicazione sono due cose diverse. Che cosa ha voluto dire la Corte, non è chiaro. Nella parte finale della motivazione sul punto, l’intreccio dei due motivi della decisione s’intersecano senza sciogliersi: il voto dato alla lista bloccata si mescola all’ignoranza circa l’identità dei candidati, come motivi d’incostituzionalità. Sulla base delle ragioni suddette, la Corte ha deciso l’introduzione di un voto di preferenza, come conseguenza necessaria per ristabilire il rapporto di rappresentanza tra elettori ed eletti, garantire la libertà di voto ed evitare la coartazione della volontà degli elettori, altrimenti obbligati a sottostare alla determinazione dell’ordine delle candidature. Soluzione obbligata? Sebbene la Corte dica che, in astratto, vi possono essere soluzioni alternative (liste bloccate solo in parte, circoscrizioni elettorali di dimensioni ridotte che si avvicinano ai collegi uninominali), nell’impianto generale della legge sottoposta al controllo di costituzionalità, cioè in concreto, la soluzione minima e obbligata (e perciò possibile senza violazione della discrezionalità del legislatore) è apparso l’un voto di preferenza (…). LE CONSEGUENZE, SECONDO LA CORTE Nelle ultime proposizioni della sentenza, la Corte lancia prospetticamente una serie di dicta sugli effetti della sua decisione con l’intento palese di evitare un temuto tracollo istituzionale. Tali effetti – dice la Corte – si produrranno evidentemente solo in occasione delle successive elezioni. L’evidenza, evidentemente, non c’è, poiché, se così fosse, non ci sarebbe stato motivo di dire alcunché, come accade nella generalità delle decisioni costituzionale, il cui seguito si dispiega pacificamentesecondo norme e principi riconosciuti. L’esito delle elezioni svoltesi in base alla legge incostituzionale – dice la Corte – e gli atti compiuti dal Parlamento così eletto non sono “toccati”. Varrebbe, con riguardo al passato, il limite dei “rapporti esauriti” o del “fatto concluso”. Per il futuro, varrebbe, invece, il “principio fondamentale della continuità dello Stato”, principio che riguarda tutti i suoi organi e, per quel che qui interessa, il Parlamento. Così, anche gli atti, legislativi e non legislativi (come le elezioni di titolari di cariche dello Stato) da questo compiuti in avvenire non sarebbero invalidi per il fatto di provenire da un Parlamento eletto in-costituzionalmente. Ci troveremmo (ci troviamo e ci troveremo) nella condizione – che la Corte non considera affatto contraddittoria – di dover considerare validi o “validati” atti di organi i cui titolari occupano i loro posti illegalmente. LE CONSEGUENZE: COMMENTO AI COMMENTI La sentenza della Corte distingue a seconda del tempo di vigenza della legge elettorale, prima o dopo la dichiarazione d’incostituzionalità.Perquantoriguarda il tempo anteriore, è unanime il riconoscimento di buon senso, oltre che di diritto, che ciò che è stato fatto non può essere posto nel nulla creando un vuoto giuridico di quasi dieci anni (nell’immediato della sentenza, anche chi scrive ha fatto riferimento al principio di continuità, in questa accezione retrospettiva). Il “rivestimento giuridico” di questo buon senso può avvalersi dei diversi argomenti sopra riferiti. La Corte si appoggia sul “fatto concluso”, argomento che, certamente, può essere accolto con riguardo alle legislature che hanno preceduto l’attuale e che si sono chiuse con lo scioglimento delle Camere. Ma, può valere con riguardo all’attuale? Si tenga pure fermo che il “fatto concluso” sia applicabile non solo alle legislature pregresse, ma anche alla legislatura in corso, con riguardo alle operazioni di composizione delle Camere che si siano esaurite. Ma, tali operazioni si compiono e si concludono con la proclamazione degli eletti – come ritiene la Corte – o con la convalida della loro elezione? La domanda si traduce in quest’altra: la convalida deve avvenire alla stregua della legge (dichiarata) incostituzionale o alla luce della leggemondata dai vizi d’incostituzionalità? Nel caso in cui occorra poi rimpiazzare per surrogazione i deputati e senatori che hanno lasciato libero il loro posto in Parlamento (per entrare a far parte del Parlamento europeo, ad esempio), gli eletti subentranti saranno ancora quelli individuati alla stregua della legge incostituzionale? Dire: alla stregua della legge dichiarata incostituzionale, equivale a sospendere, per un tempo indefinito, gli effetti invalidanti della sentenza d’incostituzionalità, riducendola a grida impotente. Si vede in quale groviglio di questioni siamo incamminati. Per uscire dal quale la via più semplice è quella dell’ultrattività della legge dichiarata incostituzionale. Ma, l’ultrattività è compatibile con le norme chedisciplinano gli effetti delle sentenze d’accoglimento della Corte costituzionale? La Corte non sembra porsi problemi troppo difficili, poiché essa ritiene che, comunque, tutto resti fermo e valido, sia con riguardo agli atti anteriori che a quelli posteriori alla sua sentenza, sulla base o del “fatto concluso” o della “continuità dello Stato”. Ad abundantiam, la sentenza mette insieme al principio di continuità dello Stato due norme costituzionali (gli artt. 61 comma 2, e 77 comma 2) che riguardano la perduranza di funzioni di Camere regolarmente elette fino al momento in cui subentrano le successive. Sono riferimenti in-conferenti, tuttavia, perché hanno a che vedere con specifiche, prevedibili e quindi, in questo senso, normali esigenze di continuità, ma certamente non riguardano (anzi, potrebbero essere interpretate esattamente a contrario) la situazione abnorme, aberrante, di Camere prive di titolo conforme alla Costituzione. Il ricorso al principio di continuità dello Stato, nei termini della sentenza che si commenta, è definito “devastante” da Lanchester. All’evidenza, ci deve essere stato qualche disagio nello scrivere questa parte della motivazione nella quale abbondano inconsuete parole d’auto-sostegno, quasi in funzione di difesa preventiva: non solo l’“oltre ragionevole dubbio”, anche un “è evidente”, un “è appena il caso di ribadire”, un “vale appena ricordare”: tutte espressioni che, se fosse davvero così, non avrebbero avuto ragione d’essere state scritte. Siamo di fronte, infatti, nientemeno che alla contraddizione del principio in base al quale possiamo dire di vivere in uno “stato costituzionale” e non, semplicemente, in uno “Stato che ha una costituzione” o sotto una “costituzione dello Stato”. Con linguaggio preciso: Verfassungsstaat contro Staatsverfassung. Lo “Stato che ha una costituzione” è quello cui si attribuisce una sostanza politica, un’esistenza reale e autonoma che precede e, dunque, condiziona la Costituzione. La sua massima è rex facit legem. L’esistenza d’una costituzione è soltanto un’eventualità: importante ma non essenziale. L’essenziale è lo Stato. Se tra la Costituzione e lo Stato si crea una contraddizione, allora la costituzione cede allo Stato e lo Stato può scrollarsi di dosso l’ingombro rappresentato da una legge ch’esso stesso, per tempi più tranquilli, si è data. Chi è il sovrano? È lo Stato, come dice implicitamente la Corte, o è la Costituzione (o il popolo che agisce nelle forme e nei limiti della Costituzione) come dice l’art. 1 comma 2 Cost. e come pretende la tradizione del costituzionalismo alla quale diciamo di appartenere, la quale si riconosce nella massima contraria lex facit regem? Quando si guarda dietro alle parole, si vede che dietro lo Stato stanno forze politiche e si può concludere con l’inquietante constatazione che la sentenza della Corte, liberandole dal vincolo della Costituzione, ne ha legittimato la nuda forza, priva di diritto, e ha de-costituzionalizzato la politica. Sorge la domanda: fino a quando la Costituzione, che pure ha mostrato il suo volto nella parte sostanziale della sentenza potrà essere lasciata da parte? Fino a quando? Fino a “nuove consultazioni elettorali”, dice la Corte. Alessandro Pace fa osservare che ciò non significa, di per sé, “fino alla scadenza normale della legislatura”. Nel mondo della politica, invece, le nuove consultazioni s’intendono quelle alla scadenza quinquennale, a meno dello scioglimento anticipato delle Camere cui si addivenga per ragioni indipendenti dalla sentenza della Corte che ne ha sancito l’illegittimità costituzionale. Ma, se questo Parlamento, prima della sua scadenza (come appare ben possibile, se non probabile, guardando i primi passi della riforma elettorale voluta dal governo) approvasse una legge incostituzionale tanto quanto quella annullata dalla Corte e sulla base di questa legge si andasse a votare, varrebbe ancora la dottrina della continuità dello Stato per sanare il vizio costitutivo del Parlamento successivo? In realtà, la risposta al “fino a quando” è incerta; potrebbe essere: fino a quando piacerà a chi è al governo. Il principio di continuità dello Stato proietta la sua ombra molto lontano. Ecco dove porta il realismo di cui la Corte ha dato prova nella parte finale della sua sentenza: un realismo contro la Costituzione. Almeno, se avesse taciuto e non avesse trasfigurato un argomento fattuale in argomento di diritto costituzionale e non l’avesse trasformato in dottrina giuridica positiva, non avrebbe sollevato dalle loro responsabilità coloro che avevano – e hanno – il compito di provvedere quanto prima possibile al ripristino della normalità costituzionale. La dottrina medievale e poi i padri del costituzionalismo moderno distinguevano due tipi di tirannia: ex defectu tituli e quoad exercitium. La distinzione è perenne e vale anche nel nostro caso. Nel diritto monarchico, il titulus legittimo stava nell’accertata discendenza regale; nel diritto democratico, sta nella regolare investitura elettiva. Quando l’azione dei governanti (l’exercitium) è benefica, si passa facilmente sopra la questione dell’origine del loro potere (il titulus). Ma, quando benefica non è più, è inevitabile che i cittadini si domandino il perché dell’obbligazione politica, cioè si chiedano quale ragione c’è di ubbidire a uno che, oltre che non benefico, è anche abusivo. In epoca monarchica, le controversie sulla legittima successione erano la fonte dei contrasti politici più acuti. La stessa cosa, cambiati gli addendi, non c’è motivo perché non si possa riprodurre in epoca democratica. Meglio fermarsi qui.
Le considerazioni del Prof Zagrebelsky – come sempre repubblicane, colte e profonde – partono però da un presupposto errato: gli italiani non sono cittadini. Sono sudditi e, ciò ch’è più grave, non sanno d’esserlo. Credo che a noi manchi il concetto di Nazione.
NO! prof. Zagrebelsky,
non è affatto meglio fermarsi qui! Si può dire e intendere che è solo “meno peggio”!
Ci sono molte condizioni acutamente convergenti perchè si possa non “fermarsi qui”, ma avanzare per produrre “il meglio” per i destini del Paese e della sua Cittadinanza!
Il progressivo regredire della fiducia dei Cittadini nelle varie istituzioni (indagine Demos 2014, 3% nei partiti, 7% nel Parlamento, etc.), la crescita verticale dell’astensionismo elettorale, l’indignazione profonda ed evidente, fanno chiaramente intuire un’intensa attesa di un cambiamento qualitativo nella qualità della classe dirigente.
Che peraltro è ben difficile attendersi da una tradizionale tornata elettorale, stante il panorama partitico/politico e i risultati dell’indagine già citata.
Come se ne può uscire?
Orbene, alla lettura di un cittadino semplice, massimamente indignato, alla intensa ricerca di quell’uscita, la Costituzione pare offrire una via alternativa, efficace e scevra da incerti risultati in quanto predefiniti, per raggiungere quello scopo in tempi contenuti, senza vuoti di potere e con un corollario di riforme attese e urgenti: la Democrazia Diretta Propositiva degli artt. 50 e71, esercitata dalla Sovranità Popolare Realizzata.
Sovranità Popolare che nel tempo è stata indegnamente ridotta a inutile e retorico intercalare da quel che è d’importante, e cioè l’articolo UNO della Carta, non per caso, ma per volontà dei Costituenti.
Posso anche capire che per Lei ed i suoi colleghi dottori del diritto costituzionale, possa apparire una via un tantino forzata, ma non a noi, Cittadinanza indignata, che non siamo dottori del diritto e possiamo solo disporre di una logica semplice, anch’essa indignata!
Viceversa a Voi ed a noi insieme appare molto forzato quanto questo Parlamento, non-costituzionale, ha in programma di fare, non solo nella forma, ma nella sostanza.
E allora professore, Lei e altri come Lei da tutti riconosciuti come appartenenti a quel ceto colto e riflessivo portatore del rigore morale e culturale dei Costituenti, perchè non guidarci nel percorrere la via della DDP nel solco e nel limiti (anche se un po’ tirati, ma non solo da noi) della Costituzione?
Perchè no professore? Non è saggio e quindi non è da Voi, lasciare il Paese nelle mani della mediocrità non-costituzionale, quando la situazione generale è così critica.
C’è un grande popolo astenuto, c’è quello del voto contro, quello del voto meno peggio, quello del voto utile, che aspettano con ansia il momento dell’entusiasmo professore, diamogli questa possibilità, il progetto è pronto da tempo, attende solo il Suo/Vostro avallo…
Ossequi, prof. Zagrebelsky.
Paolo Barbieri.
Sig. Palinuro,
i Popoli sono da sempre vittime naturali e scontate del condizionamento del potere costituito in quanto esprimono solo piccole % di persone capaci di dotarsi e conservare un’autonoma capacità di analisi e sintesi.
A maggior ragione in tempi in cui il plagio può essere esercitato con strumenti mediatici di efficacia assoluta.
Per questo non si può fargliene una gran colpa. Anche perchè il plagio potrebbe essere anche evolutivo e non solo regressivo. Per questo il responsabile è ancora una volta il p. c.
Come potrebbe un Popolo evolvere virtuosamente quando nel suo Parlamento, luogo-istituzione dal quale dipendono le sorti del Paese, dal 45 ad oggi la qualità dei suoi delegati è passata da Calamandrei, Einaudi, De Nicola, Croce, Parri, Terracini e altri simili, a Razzi, Scilipoti, Cuffaro, Cosentino, Dell’Utri, Previti, Genovese e De Gregorio?
Come fa a sviluppare un sano e orgoglioso sentimento nazionale?
Ma nonostante tutto questo, la situazione attuale vede corvergere diversi fattori tali da consentire quel cambiamento qualitativo e quindi anche un’inversione del plagio, come cercavo di illustrare nel commento al prof. Zagrebelsky.
Auguri per un Paese e un Popolo migliori!
Ché le città d’Italia tutte piene
son di tiranni, e un Marcel diventa
ogne villan che parteggiando viene.
Fiorenza mia, ben puoi esser contenta
di questa digression che non ti tocca,
mercé del popol tuo che si argomenta.
Molti han giustizia in cuore, e tardi scocca
per non venir sanza consiglio a l’arco;
ma il popol tuo l’ha in sommo de la bocca.
Molti rifiutan lo comune incarco;
ma il popol tuo solicito risponde
sanza chiamare, e grida: «I’ mi sobbarco!».
Or ti fa lieta, ché tu hai ben onde:
tu ricca, tu con pace e tu con senno!
S’io dico ‘l ver, l’effetto nol nasconde.
Atene e Lacedemona, che fenno
l’antiche leggi e furon sì civili,
fecero al viver bene un picciol cenno
verso di te, che fai tanto sottili
provedimenti, ch’a mezzo novembre
non giugne quel che tu d’ottobre fili.
Quante volte, del tempo che rimembre,
legge, moneta, officio e costume
hai tu mutato, e rinovate membre!
E se ben ti ricordi e vedi lume,
vedrai te somigliante a quella inferma
che non può trovar posa in su le piume,
ma con dar volta suo dolore scherma.
(D. ALIGHIERI, Purgatorio, VI, vv. 124-151)
Molti gli interrogativi posti dal prof Zagrebelsky,tutti inquietanti . In particolare,quello in cui si chiede fino a quando sia possibile agire al di fuori del dettato costituzionale.La costituzione è la legge che “fa il sovrano” ,e il sovrano è legittimo solo se rimane dentro la costituzione.Traducendo in termini attuali,rimane il dubbio “legittimo “sulla permanenza in carica dell’attuale parlamento dopo la sentenza della Corte Costituzionale.
Per Paolo Barbieri
Grazie per la Sua risposta. In effetti io intendevo dire qualcosa che andava al di là delle Sue considerazioni; in ultima analisi che il vero dramma è il non essere passati attraverso la Riforma.
Noi siamo, come popolo, figli della Controriforma e non abbiamo quindi sviluppato ed elaborato alcun senso di responsabilità individuale e collettiva.
Come popolo, noi andiamo in chiesa, ci battiamo il petto, facciamo la confessione auricolare e veniamo assolti dai nostri peccati.
E siamo quindi pronti a peccare di nuovo perché fidiamo in un perdono che ci verrà nuovamente concesso, così, in un circolo vizioso che ricorda l’uroboro. Le nostre esperienze, il senso della nostra vita, i nostri “peccati” (se vuole) non sono stati elaborati da una coscienza individuale e responsabile che solo uomini liberi e maturi possono sviluppare.
Davvero allarmante e, per certi versi, disperante – all’ alba di un nuovo anno – questo scritto di Gustavo Zagrebelsky che registra la ‘de-costituzionalizzazione della politica ‘ !
Il 2013 si apriva con la speranza che le imminenti elezioni politiche avrebbero potuto segnare la ripresa di un percorso – quello dell’ Ulivo , riveduto e corretto – prematuramente e traumaticamente interrotto. Paure assolutamente irresponsabili ( quelle di Napolitano e del Pd ) e fughe in avanti prive di un qualsiasi, organico, disegno politico ( quelle del M5S ), vanificarono ben presto quella speranza, dimostrando ancora una volta che le carenze e i vuoti della politica non potevano ( nè mai potranno ) essere colmati da alchimie elettoralistiche : vocazioni maggioritarie, premi di maggioranza, voti utili, ecc. ecc.
E il mònito della Consulta, con il quale si apriva il 2014, sembrava ribadire la vanità politica di queste…scorciatoie truffaldine, richiamando tutti – ceto politico e società dei cittadini – ad una responsabilità ‘ costituzionale ‘ inèdita : quella, appunto, di incardinare le fibrillazioni e le volatilità della politica nel solco solido e vitale della nostra splendida Carta, abbandonando – una volta per tutte – l’ idea che per inseguire il mito dell’ efficienza nel governare sia indispensabile condannare a morte la Costituzione e, con essa, la politica ( il bene pubblico che più , oggi, scarseggia ).
Quel mònito non è stato accolto perchè – ce lo spiega in questa drammatica riflessione Gustavo Zagrebelsky – anche la Corte Costituzionale ha avuto…paura della Costituzione ( e della politica ) e ha preferito – soprattutto nella parte finale della sua sentenza – rifugiarsi in un pilatesco realismo. Un realismo contro la Costituzione. Un realismo che ha consentito – nel corso dell’ anno che si è appena concluso – una autentica catena di nefandezze, di abusi, di vere e proprie violenze alla democrazia.
Le mie personali preoccupazioni, per il futuro della democrazia nel nostro Paese, sono oggi – alla luce di questo tremendo scritto del prof. Zagrebelsky – fonte di ulteriore smarrimento: non pensavo, infatti, che anche l’ argine rappresentato dalla Corte presentasse falle così evidenti e pericolose. E – con tutto il rispetto per l’ Autorità coordinata dall’ ottimo dott. Cantone – sono sempre più convinto che la vera ‘ corruzione ‘ da combattere ed estirpare ( ceto politico e società civile insieme, senza reciproche de-legittimazioni, consapevoli – finalmente – che la ‘ res ‘ è pubblica oppure, semplicemente, non è e, se non esiste, vuol dire che è persa, persa per tutti ) sia la sempre più dilagante ‘ corruzione della democrazia ‘. Quella che, per esempio, ci rende oggi complici – sempre più distratti e insensibili – del permanere in vita di un Parlamento abusivo e – come se ciò non bastasse – abusivamente costituente .
Giovanni De Stefanis, LeG Napoli
Sig Palinuro,
non posso sollevare dubbi sulla bontà delle Sue argomentazioni, ma quello che riesco a ben vedere è come i popoli abbiano bisogno di una “guida” e come siano accecati da questo bisogno al punto da accettarne e incensarne entusiasticamente anche di assai mediocri o adirittura pessimi: il nostro duce, il il fhurer, Stalin, quelli a sfondo religioso, e ai giorni nostri a quel tal B. che aveva alle spalle una storia chiarissima di frequentazioni “opache” e di comportamenti illuminanti, quello che sacrificava al “dio Po”, fino all’altro che nelle piazze urlava il suo “vaffa” come programma fondamentale.
Abbiamo anche visto percorsi ben diversi dal nostro: alla fine della guerra la Germania era messa ben peggio di noi, eppure hanno saputo scegliere i meno compromessi col passato e via via selezionare eccellenze che hanno portato quel paese ad una evoluzione continua. Non solo economica.
Per questo vorrei che al nostro Popolo fosse offerta una chanche di “qualità”, dopo quella sciupata nel primo dopoguerra, quando anche da noi l’Antifascismo e la Resistenza avevano selezionato un’elite virtuosa. Chissà che dopo tanta mediocrità non si voglia esaltare con una svolta definitiva per l’evoluzione con persone di assoluto rigore morale e culturale!
Ho letto con attenzione le conclusioni dell saggio del prof Zagrebelsky. Le quali non mi vedono del tutto d’accordo. Spiegarne il motivo sarebbe lungo e tedioso per chi legge questa pagina. E francamente rilevo già una certa cavillosità in quanto scrive il professore. Sorvolo quindi sul merito per arrivare direttamente al dunque. Il prof Zagrebelsky ,molto autorevolmente, critica la decisione della Corte relativamente ai pieni poteri che ha riconosciuto a questo parlamento “incostituzionale”. Arriva addirittura a sospettare di una Corte asservita alla ragion di Stato, individuando nell’Italia uno “Stato con la costituzione” e non uno “Stato costituzionale”. Rispetto il pensiero e le critiche del professore, come rispetto le critiche fatte a una sentenza giudiziaria, o ad una legge varata dal parlamento. Tuttavia, se continuiamo a rispettare il ruolo della magistratura o del parlamento anche quando ne critichiamo sentenze e leggi, a maggior ragione dobbiamo rispettare la Corte Costituzionale quando emette sentenze che non ci vedono d’accordo. Detto in soldoni, se la Corte ha sentenziato che questo parlamento può continuare la propria attività,dobbiamo rispettare questa sentenza anche se non ci vede d’accordo. Purtroppo leggo in giro articoli quasi sabotaggio di questo parlamento per effetto della incostituzionalità del Porcellum rilevata dalla Corte. Detto in altre parole, le legittime obiezioni di Zagrebelsky e altri costituzionalisti mi sembrano essere strumentalizzate, qualche volta in tono eversivo , sia da destra che da sinistra. E un parlamento già ampiamente delegittimato dalle varie questioni giudiziarie, non ha certo bisogno di ulteriori delegittimazioni.