La massa opaca degli anni di piombo

04 Nov 2014

In 120 anni quali sono stati e come sono cambiati i rapporti tra stampa e politica, tra giornalismo e Palazzo? Sono questi i temi al centro della mostra “Il Ventaglio – Cronisti in Parlamento – Da Zanardelli ai social network”, allestita nella Sala della Regina di Montecitorio, organizzata dall’Associazione stampa parlamentare e dalla Camera dei deputati. Resterà aperta fino a lunedì 10 novembre e sarà visitabile tutti i giorni, tranne il sabato, dalle ore 10 alle ore 18. Domenica 9 novembre, inoltre, la visita sarà possibile nell’ambito della manifestazione “Montecitorio a porte aperte”, dalle ore 10 alle ore 16. Pubblichiamo l’intervento di Sandra Bonsanti per la mostra.

pertini_ventaglioQuesto il contributo di Sandra Bonsanti per la mostra “Il Ventaglio – Cronisti in Parlamento – Da Zanardelli ai social network” organizzata dall’Associazione stampa parlamentare e dalla Camera dei deputati

Per un lungo tempo ci trovammo storditi, impreparati ad affrontare gli anni di piombo. Noi, giovani cronisti mandati a descrivere la morte di tanti servitori dello Stato, sconosciuti o famosi, sorpresi davanti alla porta di casa, di un’aula universitaria, alla fermata dell’autobus o come il giudice Minervini, dentro l’autobus che lo portava al lavoro. Preoccupati di saper raccontare i volti, i corpi, i colori delle grandi stragi, le parole dei sopravissuti, quei loro “perché?” che insistevano ad echeggiare oltre il frastuono delle nostre macchine da scrivere. La redazione era il luogo dove scaricavamo la grande tensione e dove rimanevano sospese, nei colloqui con i colleghi, anche le nostre domande.

Impreparati anche loro, i piccoli e grandi personaggi della classe politica. Solo pochi  intuivano qualcosa di quelle strategie di morte per via dei ruoli istituzionali che avevano ricoperto. Ma tacevano. I nomi? Basta scorrere gli elenchi dei capi dei servizi segreti, dei presidenti del Consiglio, dei ministri della Difesa e dell’Interno, dei presidenti della Repubblica…certamente non tutti, in ugual misura. Ripenso al tono solenne con cui Rumor la sera del 12 dicembre del ’69 annunciò agli italiani la severità e la rapidità con cui lo Stato avrebbe scoperto i colpevoli della strage di Piazza Fontana: sapeva già che era stata preparata la trappola contro gli anarchici, e che ci sarebbe voluto più di mezzo secolo per avere la certezza giudiziaria della regia di Ordine Nuovo, sotto la copertura dei servizi? Oppure ignorava quella strategia studiata per il nostro Paese?

Terrorismo nero e terrorismo brigatista avevano costretto l’ informazione a “specializzarsi” e i partiti politici, ad affidarsi ad “esperti”. Cosi come, nel decennio successivo, accadde per le stragi di mafia.

La nostra giornata di lavoro cominciava a Piazzale Clodio, nel tribunale celebre allora come “porto delle nebbie” e continuava in Parlamento, fra commissioni e audizioni, e Piazza del Gesù, le Botteghe Oscure e via del Corso.

Fu difficile raccontare i 55 giorni, tutti i 55 giorni, della prigionia di Aldo Moro, la ricerca del covo, i documenti delle Br, le lettere del presidente della Dc. E il 9 maggio, la Renault rossa in via Caetani. E la complessità delle posizioni politiche, Dc e Pci contro la trattativa e il Psi dall’altra parte. Oppure il 1981, quando  negli elenchi della P2 trovammo politici e giornalisti insieme, magistrati, militari e uomini delle Istituzioni: una massa opaca che ha pesato e ancora pesa sul nostro Paese. Consegnandoci un’ansia di verità che non finisce mai.

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