Cittadini del mondo

10 Apr 2013

Nei momenti di crisi tra potere politico e cittadini, il mondo antico e moderno hanno nutrito ipotesi come la cittadinanza universale, un invito ad agire in nome dei diritti “naturali” e della giustizia.

Se durante le gare di Olimpia le ostilità tra le città greche venivano sospese, ciò non significa che la guerra non occupasse più la mente dell’uomo. E anche in seguito alcuni scrittori politici di origine realista e idealista, come Hobbes e Hegel, hanno continuato a ripetere con Eraclito che la guerra “di tutte le cose è madre”; mentre i predicatori religiosi (cattolici e puritani) hanno spesso visto nel conflitto bellico “una metafora della lotta contro l’anticristo”.

Ciò nonostante, in alcuni momenti di crisi acuta del rapporto tra potere politico centrale e cittadini, il mondo antico e la modernità hanno incominciato a nutrire anche ipotesi non cruente, come l’idea della cittadinanza universale, che è stata nello stesso tempo una riflessione lungimirante sulla storia e un invito potente ad agire in nome dei diritti “naturali” e della giustizia. Dopo il crollo dell’ordine politico delle città greche, i maestri della Stoa invitarono a guardare alla comunità più grande che abbraccia tutte le genti, perché “tutti gli uomini sono parenti”, come dirà Zenone Cizico. E nella delicata fase di passaggio dalla repubblica romana al principato, Cicerone ammonisce che l’amore del genitore nei confronti del figlio è il punto di partenza della “reciproca solidarietà degli uomini fra di loro”. La frequentazione pubblica, le assemblee, l’ordinamento repubblicano sono visti da Cicerone come la proiezione di questa attitudine innata alla socialità.

Dopo l’esordio greco e romano, nell’Europa antica e moderna l’idea cosmopolitica è riaffiorata più volte sia nella veste di una res publica cristianamente fraterna sia in chiave antiassolutistica sia come esigenza di un “idioma comune”. Ma la cosmopoli delle origini è stata discussa dai grandi pensatori soprattutto dopo il moto rivoluzionario in Francia. Simile alle religioni, che collocano l’uomo oltre lo spazio e il tempo, la rivoluzione dell’Ottantanove aveva fatto astrazione dal cittadino francese per rigenerare l’essere umano in quanto tale e per proclamare i suoi valori fondamentali: la libertà, l’eguaglianza, la fraternità. Di ciò fu largamente consapevole Kant. Nel saggio sull’illuminismo il filosofo tedesco aveva stimolato il soggetto a usare liberamente la propria ragione. L’ultimo Kant, quello della Pace perpetua, è un profeta lungimirante che invita i cittadini del mondo a farsi forti dei loro diritti. Il primo Kant voleva rischiarare le menti. Il Kant degli anni novanta intende rafforzare la volontà degli individui sulla praticabilità dei fini giusti. Perché il progetto cosmopolitico si realizzi è necessario che le nazioni bandiscano la guerra e che si riconosca agli individui il diritto di visita, ossia la possibilità, come egli scrive, di “entrare a far parte della società in virtù del diritto comune al possesso della superficie della terra, sulla quale, essendo sferica, gli uomini non possono disperdersi all’infinito, ma devono all’ultimo rassegnarsi ai incontrarsi e coesistere”.

Un profilo ancora più avanzato della città futura è quello delineato da Condorcet nella Francia rivoluzionaria degli anni novanta, mentre era braccato dagli uomini di Robespierre. Per “l’ultimo dei philosophes” non esiste indipendenza individuale se è “fondata su un diritto positivo inegualmente distribuito”, se la legge continua a discriminare le persone sulla base del paese di appartenenza, del colore della pelle, del sesso, dell’estrazione sociale e della religione. Così, per promuovere un “reale perfezionamento della specie umana” sarà necessario equiparare le opportunità professionali e culturali di uomini e donne sul piano interno e dividere equamente le risorse economiche a livello internazionale.

E’ stato, tuttavia, il Novecento – secolo delle ideologie totali e dei conflitti mondiali, ma anche della riflessione ininterrotta sulle potenzialità della democrazia – a creare le due condizioni oggettive per la “riproducibilità” e per la “simultaneità” del sogno della cittadinanza universale: uno spazio pubblico che giunge ad abbracciare il sistema mondo e la possibilità sempre più sofisticata (utilizzata negli ultimi anni soprattutto dai movimenti giovanili della Rete) di trasmettere e ricevere in tempo reale qualunque messaggio. Il XX° secolo è stato importante anche per altre acquisizioni, non soltanto di natura costituzionale (come le carte internazionali dei diritti). Proprio un teorico del “disincantamento del mondo” come Max Weber, dopo la “notte polare” della Grande Guerra, aveva ricordato ai suoi studenti la straordinaria forza mobilitante contenuta nelle utopie: “E’ perfettamente esatto, e confermato da tutta l’esperienza storica, che il possibile non verrebbe raggiunto se nel mondo non si ritentasse sempre l’impossibile”.

Consapevole dell’importanza di questa sfida permanente, nell’aprile del 1964, Nelson Mandela terminò così la sua difesa dinanzi ai giudici che lo avrebbero condannato all’ergastolo: “Ho combattuto contro la dominazione bianca e contro la dominazione nera. Ho accarezzato l’ideale di una società democratica e libera in cui tutte le persone vivano insieme in armonia e con pari opportunità. E’ un ideale, per il quale spero di vivere e che spero di raggiungere: Ma, se sarà necessario, è un ideale per il quale sono pronto a morire”. Sia pure tardivamente, i suoi antichi nemici storici, come De Klerk, hanno dovuto prendere atto che l’utopia di una “società democratica e libera” era un obiettivo per cui vale la pena di continuare a combattere anche in Sudafrica.
Alla luce di questi messaggi e nonostante la replica ininterrotta di guerre e di discriminazioni verso i settori più deboli dell’umanità, vorrei chiedere a Beppe Cambiano: perché l’idea antica della città cosmopolitica non è stata uno dei tanti sogni che muoiono all’alba? E a Giacomo Marramao: quali aspetti teorici del cosmopolitismo contemporaneo potranno diventare, nel medio periodo, una pratica “possibile” e quali altri appaiono discutibili e rischiosi? In altri termini: si intravedono vie attraverso cui il mondo politico e la società civile possono tenere il passo della globalizzazione senza tradire l’idea dell’ eguale rispetto di ciascuna persona?

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