Bersani-Renzi: non disperdete la fiducia dell’elettorato

29 Nov 2012

Siamo ormai alla volata finale, quella decisiva, in cui i toni della contesa inevitabilmente si alzano. Tuttavia, bisogna riconoscere che tanto Pier Luigi Bersani quanto Matteo Renzi stanno conducendo la partita senza forzature. La sfida è giocata rinunciando ai trucchi, ai colpi bassi.

Siamo ormai alla volata finale, quella decisiva, in cui i toni della contesa inevitabilmente si alzano. Tuttavia, bisogna riconoscere che tanto Pier Luigi Bersani quanto Matteo Renzi stanno conducendo la partita senza forzature. La sfida è giocata rinunciando ai trucchi, ai colpi bassi. Qualcuno potrà trovare deludente il fair play che ha caratterizzato il faccia a faccia in tv tra i due contendenti. Ma per il Pd, e in generale per il centrosinistra, queste primarie, così condotte, sono molto positive. Niente risse, niente attacchi personali. La competizione tra i duellanti non si è trasformata in antagonismo. Le preoccupazioni alimentate alla vigilia da quanti le primarie non le volevano, si sono sciolte rapidamente nel riscontro con la realtà di un partito capace ancora, malgrado i suoi errori, di ritrovare i rapporti con la società.

Questo non vuol dire che il segretario del Pd e il sindaco di Firenze non si siano fronteggiati con calore e passione. Tra “l’usato sicuro” e il “rottamatore” la polemica non è mancata. Sui costi della politica ci sono state scintille. Rispetto alle strategie industriali e alla riforma delle pensioni l’approccio è stato ben diverso. Sulle alleanze il confronto si è fatto aspro. Bersani conferma, senza alcun dubbio, la bontà dell’alleanza col partito di Vendola e, nello stesso tempo, la ricerca di un accordo con il centro di Casini. Renzi rilancia la vocazione maggioritaria che fu di Veltroni e afferma che i voti di Casini bisogna andare a prenderseli. I due sono diversi per età, esperienze formazione politica e culturale. Il segretario del Pd ha puntato su toni rassicuranti. Ha voluto dare un’immagine di affidabilità, credibilità, sicurezza. Contando sul buon vantaggio che si è assicurato nel primo round, ha spesso giocato in difesa, assumendo verso Renzi, in qualche momento, un atteggiamento quasi paterno. A tratti, probabilmente, ha dato una sensazione di grigiore, ma sempre una dimostrazione di grande onestà intellettuale. Renzi, dopo una partenza frenata, è andato all’attacco, sfruttando l’immediatezza del suo linguaggio, la capacità di risposta, la velocità delle repliche. Ha avuto il coraggio di essere se stesso quando si è trattato di formulare proposte impegnative.

Le differenze sono apparse evidenti a quanti hanno seguito il dibattito in tv. Ma non diventano progetti inconciliabili. Francamente, ci sembra una forzatura voler vedere, in Bersani e Renzi, l’espressione di due partiti alternativi o, addirittura, di due Italie diverse. Il segretario del Pd e il sindaco di Firenze hanno idee diverse, ma appartengono alla stessa famiglia. Che è quella del centrosinistra. Un grande partito, grande per i numeri e per la sua politica, ha un largo ventaglio di idee, sentimenti, proposte, senza per questo dover rinunciare a una capacità di sintesi. L’esperienza dei laburisti e della socialdemocrazia tedesca dovrebbero pur averci insegnato qualcosa.

Dicevamo dei contrasti sul tema delle alleanze. Qui sia Bersani, sia Renzi, dovrebbero riflettere sui punti deboli che rivelano le rispettive posizioni. Certo, la vocazione maggioritaria del Pd veltroniano è uscita sconfitta alle ultime elezioni. Ma le alleanze di centrosinistra, realizzate tanto col primo quanto col secondo Prodi, hanno avuto vita breve e travagliata, non riuscendo a preservare dalle profonde contraddizioni interne la vittoria assegnata dalle urne. Una buona legge elettorale potrebbe concorrere a risolvere il problema: nell’interesse del sistema Paese, prima ancora che del Pd. Il maggioritario a doppio turno alla francese è la soluzione ideale. Ed è giusta la posizione di principio espressa da Bersani. Ma oggi ci misuriamo con una ben diversa realtà. Oggi l’alternativa è tra tenersi il Porcellum o realizzare una modesta riforma, forse una riforma addirittura controproducente. Per questi motivi, anche se il centrosinistra può legittimamente puntare alla vittoria elettorale, bisogna guardarsi, fino all’ultimo, dai trabocchetti e dai colpi di mano.

Domenica sapremo chi, tra Bersani e Renzi, vincerà la partita. E’ difficile immaginare che la sfida in tv possa cambiare i rapporti di forza che si sono delineati al primo turno. Quale che sia il risultato finale, dovrebbe prevalere comunque una preoccupazione comune: conservare la passione e la mobilitazione che si sono raccolti intorno al centrosinistra. I mondi che si sono aggregati in queste primarie vanno preservati da incertezze e debolezze che possano di nuovo produrre disincanto e frammentazione. Sarebbe una follia disperdere la partecipazione che con pazienza è cresciuta in questi mesi.

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