Ma la diffamazione è una cosa seria

26 Ott 2012

Il senatore Alberto Maritati, che è anche coordinatore del circolo di Lecce, ribadisce di non far parte del partito trasversale anti-giornalisti e, riferendosi a Sallusti, che si tratta di reato di diffamazione e non di reato di opinione. Il giornalista deve essere tutelato e rispettato, ma l’onorabilità di una persona è un bene sommo. La stessa parola l’ha usata l’ex presidente della Corte Costituzionale, Zagrebelsky. Leggi l’articolo di Francesco Merlo

Senatore Alberto Maritati, quindi lei fa parte del partito trasversale anti-giornalisti?
“Questa è una falsità”
Ma come? Le vengono attribuite posizioni identiche a quelle del senatore del Pdl, Lucio Malan?

“Ripeto, è una falsità. E a questo punto, devo ribadire ciò che ho detto in aula”.
Ribadisca.
“Per me, i presupposti perché una democrazia possa essere considerata tale, sono due: la libertà di stampa e l’indipendenza della magistratura”.
E allora?
“Fatta questa premessa, andiamo al caso concreto. Qui c’è una sentenza…”.
Il carcere per Sallusti?
“Sì, c’è una sentenza di condanna, scritta in maniera chiara, egregia e giuridicamente composta e giusta. Si tratta di un caso di diffamazione, che non è un reato di opinione. I reati di opinione li ho sempre osteggiati. Ma la diffamazione è un reato che viene punito gravemente perché lesivo dell’onore della persona, che è un valore costituzionalmente protetto. Quando si accerta che un giornalista ha diffamato deve essere processato e condannato.”
E mandato in carcere?
“No. Sia chiaro, io non sono favorevole al carcere, come non lo sono per tanti altri reati, per i quali dovremmo porre lo stesso impegno e la stessa solerzia. Penso ai clandestini, a coloro che usano le droghe leggere, a coloro che affollano le nostre carceri.
Torniamo alla diffamazione.
“Io ritengo che sia un fatto grave. Ho detto che l’onorabilità di una persona è un bene sommo. La stessa parola l’ha usata l’ex presidente della Corte Costituzionale, Zagrebelsky”.
E secondo lei come andrebbe punita?
“Quando c’è un arco di pena così ampio, tra 5.000 e 100.000 euro non è uno scandalo. Nessun giudice erogherebbe 100.000 euro di ammenda, soprattutto per i piccoli giornali che godrebbero delle attenuanti generiche. E’ passato, peraltro, un mio emendamento che tiene conto della capacità diffusiva del giornale o del mezzo di informazione”.
Ma le sembra giusto che a pagare non debba più essere l’editore ma il giornalista?
“Questa è una richiesta che ha presentato Caliendo. E io sono stato accomunato a questi, ma io non ho firmato alcun emendamento in tal senso. Io ritengo che il giornalista debba essere tutelato, che debba essere rispettato, perché il lavoro del giornalista è un lavoro che produce libertà, garantisce la libertà. La mia cultura è questa”.

 

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