L’Associazione “Salviamo la Costituzione” nella riunione del Consiglio direttivo del 19 giugno 2012, sentito il parere del Comitato Scientifico dell’associazione, ha approvato il seguente
DOCUMENTO
relativo alle proposte di modifica degli artt. 56, 57, 58, 70, 73, 74, 92, 94 e 126 nel testo unificato del d.d.l. cost. unificato nn. 24, 216, 894, 1086 ecc.,
Sulla procedura seguita per la riforma costituzionale:
Il testo derivante dal noto accordo tra gli onn. Alfano, Bersani e Casini consiste in una serie di d.d.l. costituzionali che, pur toccando aspetti centrali dell’impianto costituzionale, ha aperto un iter procedimentale che, in relazione all’importanza dei temi trattati, appare quanto meno frettoloso e lascia intravedere storture procedimentali al limite dell’ammissibilità. Il che è particolarmente grave nel caso di una procedura di revisione costituzionale nella quale si richiede dalla Costituzione un adeguato tempo di esame dei singoli progetti.
Può anzi aggiungersi che, in molti ordinamenti, si prevede persino lo scioglimento delle assemblee che approvano in prima deliberazione le modifiche costituzionali, oltre a una doppia approvazione, a intervalli di tempo fissi tra la prima e la seconda, con maggioranze qualificate e persino una successiva pronuncia popolare. In Italia, il procedimento di revisione della costituzione è disciplinato dall’art. 138 Cost. in connessione con la procedura prevista dagli artt. 71 e 72 Cost. per la legislazione ordinaria, ferma restando la maggiore solennità della procedura di revisione costituzionale.
Si ritiene pertanto che, rispetto all’introduzione di modifiche della forma di governo e del bicameralismo, rivestano carattere prioritario e condizionante sia la riforma della legge elettorale vigente – allo scopo di salvaguardare l’eguaglianza delle chances nella competizione politica ed il potere di scelta degli eletti da parte degli elettori – sia il completamento della disciplina legislativa dei partiti politici, attraverso la previsione di requisiti di democrazia nei processi decisionali interni.
Quanto alle proposte di revisione riguardanti i congegni della forma di governo, il Consiglio direttivo, pur apprezzando nel progetto in discussione il riferimento a congegni di razionalizzazione e di stabilizzazione del modello parlamentare contemplati dalla Legge fondamentale della Repubblica federale di Germania, tuttavia rileva che tali congegni presuppongono un sistema elettorale e una regolamentazione dei partiti politici coerenti con il modello parlamentare sopra indicato.
Sulla disomogeneità delle materie sottoposte a revisione costituzionale:
All’indomani della bocciatura popolare della legge di riforma costituzionale d’iniziativa del governo Berlusconi uno dei rilievi più diffusi fu che da tale bocciatura veniva confermato, da un lato, l’impianto della Costituzione del 1947 e, dall’altro, l’indirizzo interpretativo secondo il quale le leggi di revisione costituzionale disciplinate dall’art. 138 Cost. debbano avere contenuto omogeneo, non solo perché la pluralità delle modifiche rende più difficile l’approvazione del testo unitario, ma anche e soprattutto perché, se è vero che la libertà di scelta dell’elettore non può essere coercita da un referendum che abroghi una pluralità di disposizioni disomogenee, come più volte statuito dalla Corte costituzionale, a fortiori la libertà di scelta dell’elettore non può essere coercita quando gli si chiede di approvare una legge di revisione costituzionale che modifichi materie disparate.
Di qui la conseguenza che la via maestra dovrebbe piuttosto essere la predisposizione di tanti progetti di legge costituzionali quante sono le materie incise dalla riforma. E ciò anche perché è immediatamente percepibile, nel d.d.l. cost. in esame, la già rilevata frettolosità con la quale sono state approfondite talune tematiche, una per tutte quella del bicameralismo.
Sulla conferma della circoscrizione estero:
Molte perplessità suscita nel Consiglio direttivo l’intento di non sopprimere la c.d. “Circoscrizione Estero”, la cui breve esperienza ha già avuto occasione di dimostrare i propri deleteri effetti sul complessivo sistema rappresentativo.
Sui disegni di legge d’iniziativa governativa:
La facoltà del Governo di chiedere per un proprio disegno di legge l’iscrizione, con priorità all’ordine del giorno, il voto bloccato entro un termine determinato e, decorso tale termine, l’approvazione articolo per articolo, senza emendamenti, priva il Parlamento di qualsiasi potere d’influenza sulla formazione delle leggi.
La disposizione proposta è peggiorativa persino in confronto al regime restrittivo cui è soggetta, giusta la sentenza della Corte costituzionale n. 22 del 2012, la procedura di conversione del decreto legge. Questa, allo scadere dei sessanta giorni, può sfociare o in rifiuto (esplicito o implicito) di conversione, oppure in una legge che contenga emendamenti “non eccentrici” rispetto alla disciplina contenuta nel decreto legge, mentre a qualsiasi disegno di legge indicato come prioritario dal Governo il Parlamento potrebbe opporre, secondo la proposta di revisione costituzionale in esame, soltanto un rifiuto, senza poter modificare nulla.
Non può dunque spettare altro che al Parlamento il potere di valutare le priorità indicate dal Governo, e, pur accogliendole, di conformare la disciplina che ne dovrà scaturire. Il potere di emendamento è, da questo punto di vista, fondamentale espressione di una democrazia parlamentare e quindi non può essere sospeso o derogato in funzione delle esigenze di sollecita attuazione del programma di governo.
Sul procedimento legislativo e sulle distinte funzioni delle due Camere:
Sul tema del procedimento legislativo, l’attribuzione al Senato dei disegni di legge «riguardanti prevalentemente le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117» vorrebbe “specializzare” il Senato su tutte le questioni di spettanza regionale in ordine alle quali lo Stato debba intervenire con legge di principio (competenza concorrente). Vista l’impraticabilità politica dell’ipotesi di trasformare il Senato in Camera di rappresentanza delle autonomie, si cerca insomma una sorta di surrogato, che però, a parte la palese incongruenza fra struttura dell’organo – con particolare riferimento alla confermata elezione popolare diretta dei suoi membri – e funzioni che gli si vorrebbero attribuire, presuppone che la definizione delle materie oggetto di competenza concorrente sia univoca, priva di problemi interpretativi e di possibili intrecci con le materie oggetto di competenza esclusiva di cui all’art. 117, secondo comma, su cui legifererebbe la Camera salvo richiamo del Senato. Va tuttavia obiettato che la giurisprudenza costituzionale è da circa un decennio costretta a dipanare i frequentissimi intrecci fra i due elenchi materiali dell’art. 117 Cost. ai fini della definizione delle controversie costituzionali Stato-Regioni.
Parimenti criticabile è l’ulteriore previsione che l’assegnazione ad una delle due Camere, d’intesa tra i loro presidenti, dei disegni di legge avvenga “con decisione insindacabile”. Il che equivale a stabilire che la Corte costituzionale non potrebbe sindacare la decisione adottata al riguardo dai presidenti delle Camere.
Ciò rischia di porre un ancor più grave problema. Infatti, dal momento che, nella definizione dei giudizi di legittimità in via principale, la Corte costituzionale muove dall’individuazione della materia in contestazione, la Corte medesima si troverebbe ad una individuazione non operata né dalla Costituzione né dalla propria giurisprudenza. Se invece la Corte rifiutasse una siffatta lettura della norma, la Corte finirebbe per non dare alcun peso all’intesa fra i due Presidenti nonostante la sua proclamata “insindacabilità”.
Infine una revisione costituzionale che prevedesse una simile “specializzazione funzionale” del Senato darebbe l’impressione di aver voluto risolvere una volta per tutte il problema dell’identità della seconda Camera con un accorgimento in ogni senso modesto. E soprattutto una siffatta revisione perpetuerebbe un tipo di riparto di potestà legislativa, come quello concorrente, su cui le stesse forze politiche che si accingono a votare la riforma in esame avevano maturato ben più ponderati progetti di riforma.
Sulla riduzione del ruolo di garanzia del Presidente della Repubblica:
Desta molte perplessità il forte affievolimento del ruolo del Capo dello Stato nelle fasi di crisi. Il Consiglio direttivo ritiene invece fondamentale il ruolo di garanzia del Presidente della Repubblica quale strumento di salvaguardia degli equilibri istituzionali nelle fasi di grave crisi politica del sistema parlamentare di governo.
A maggior ragione il Consiglio direttivo manifesta contrarietà agli emendamenti Alfano ed altri che, nell’introdurre l’elezione a suffragio universale del Capo dello Stato e nel sottrarre a controfirma i più importanti atti presidenziali, determinano una radicale alterazione del modello parlamentare delineato dalla Costituzione del 1947 all’interno del quale si colloca la posizione del Presidente della Repubblica.
Per tali motivi il Consiglio direttivo dell’Associazione Salviamo la Costituzione:
- esprime la sua ferma contrarietà alle proposte di modifica costituzionale sopra elencate;
- invita i gruppi parlamentari a non procedere all’approvazione del testo licenziato dalla I Commissione del Senato;
- esprime netta contrarietà a qualsiasi ipotesi di sistema presidenziale e semipresidenziale;
- ribadisce l’importanza centrale per il nostro ordinamento della procedura di revisione costituzionale nelle forme previste dall’articolo 138 Cost., di cui anzi auspica la messa in sicurezza, mediante l’elevazione a due terzi della maggioranza parlamentare richiesta per l’approvazione di modifiche costituzionali e a quattro quinti della maggioranza che preclude la facoltà di richiedere la sottoposizione del progetto di revisione a referendum confermativo, secondo quanto previsto nel ddl cost. n. 741 presentato in Senato dal Presidente Scalfaro e nel ddl cost. n. 868 presentato alla Camera dall’on. Bachelet;
- esprime, pertanto, netta contrarietà a qualsiasi forma di referendum costituzionale di indirizzo.
Roma, 19 giugno 2012
Ottima, tra le altre cose, la proposta di elevare la maggioranza qualificata per “mettere in sicurezza” la Costituzione. Intorno alla lodevole mobilitazione di Libertà & Giustizia, continuo tuttavia a sentire una certa solitudine. Mi sembra di avvertire scarso impegno da parte di quotidiani e movimenti che spesso ne condividono le preoccupazioni. Forse in molti pensano che alla fine, con una legislatura sempre più precaria, queste riforme resteranno incompiute. Ma bisogna stare molto attenti a non sottovalutare il pericolo. E lo stesso discorso vale per le leggi sulle intercettazioni e altri temi della giustizia.
La Carta Costituzionale e la Qualità della Democrazia non si difendono con appelli, raccolte firme, bei discorsi retorici, bei propositi o con l’attesa che “altri” provvedano, ma ESERCITANDO CONCRETAMENTE LA COSTITUZIONE REPUBBLICANA nata dalla Resistenza, togliendola dalla bacheca dove rispettosi la conserviamo, brandendola efficacemente contro inetti, incapaci, indegni, ritirando di fatto le deleghe incautamente loro concesse.
Tocca Direttamente a Noi Cittadini riaffermare decisamente la nostra sovranità nei confronti di una casta indegna. Tocca a noi dettare l’agenda dei lavori a misura di cittadinanza e non rincorrere le loro malefatte cercando invano di correggerle o abrogarle coi referendum, perchè ne saranno fatte altre peggio. E come tutto questo? Esercitando, brandendoli decisamente, gli articoli che consentono l’esercizio della Democrazia Diretta:
Art. 1 La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
art. 71 Il popolo esercita l’iniziativa delle leggi, mediante la proposta, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un progetto redatto in articoli.
art. 50 Tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alle Camere per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità.
art. 40 Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano.
L’art. 71 è il randello che avrebbe dovuto tenere i nostri delegati al Parlamento costantemente sulla corda, costantemente tesi a far bene il loro dovere. Invece lo spolveriamo ogni tanto lasciandolo poi sostanzialmente inoperoso. Perchè non diamo sufficiente consistenza alla volontà popolare che lo supporta. Perchè non può definirsi “volontà popolare sovrana” quella di un manipolo di cittadini, fossero 50 mila o 400 mila. Diversamente se raggiungessero una dimensione plurimilionaria. Ma c’è un numero perfetto che si può desumere indirettamente dall’art. 75 della Carta: un referendum è valido se partecipa al voto il 50%+ 1 degli elettori. E il referendum passa, sconfessando il Parlamento, se il 25% + 1 vota sì anche se il 25% – 1 vota no. E’ questa la perfetta espressione della “Sovrana Volontà Popolare”: il 25% + 1 degli aventi diritto al voto. Siamo all’incirca a 12 milioni di firme che possono essere raccolte nella forma semplificata dell’art.50, dopo aver soddisfatto la norma che ne vuole almeno 50mila raccolte in Comune o dal notaio. E non ditemi che sono troppe in tempi in cui quasi ogni giorno migliaia di persone consumano suole e speranze in manifestazioni pulviscolari, purtroppo sempre fini a se stesse (quando va bene), non ditemi quando il 13 febbraio eravamo un milione, non quando in 28 milioni siamo andati al voto referendario, ne quando alla parola “rivoluzione” su FB rispondono decine e decine di comunità, ne quando l’aventino elettorale lucido e razionale vale almeno una dozzina di milioni di voti (Demos), ne quando la sfiducia e il disprezzo per la casta politica supera il 95% della cittadinanza.
Così potremmo dettare le leggi che più ci premono: elettorale, anticorruzione, fiscale, azzeramento privilegi, monocameralismo, ecc. da unire in un “Decalogo”, ma anche nelle “Tavole delle Leggi della Società Civile”, che la petizione popolare sarebbe a supporto dell’intero elenco.
Insistiamo su questi temi già avallati da esperti di diritto (documentabili) affinchè le associazioni della Società Civile promuovano azioni efficaci in questo senso, a difesa della Carta, della nostra dignità di cittadini e per riaffermare decisamente la consapevolezza che LA SOVRANITA’ APPARTIENE ALLA CITTADINANZA, che intende esercitarla in prima persona, pur nei limiti e nelle forme sostanziali della Carta, dopo aver constatato l’indegnità e l’incapacità dei delegati al Parlamento.
Paolo Barbieri