Pio La Torre, trent’anni dopo

23 Mag 2012

Riapriamo l’indagine! E’ questo il modo migliore per ricordare Pio La Torre, insieme a Rosario Di Salvo, nel trentesimo anniversario del loro sacrificio. E’ l’appello alle coscienze rivolto da Elio Sanfilippo e Nino Caleca, autori del libro “Perché è stato ucciso Pio La Torre?” (ed. Istituto Poligrafico Europeo), presentato a Messina il 21 maggio

“Riapriamo l’indagine! E’ questo il modo migliore per ricordare Pio La Torre, insieme a Rosario Di Salvo, nel trentesimo anniversario del loro sacrificio. Questo è il modo migliore per ricordarli. E’ un dovere morale per i tanti amici e i tanti compagni che li hanno conosciuti e hanno condiviso con loro ansie e speranze, momenti difficili e momenti esaltanti, fiduciosi nella realizzazione dell’antico sogno di riscatto dei più umili e dei più indifesi”.
E’ l’appello alle coscienze rivolto da Elio Sanfilippo e Nino Caleca, autori del libro “Perché è stato ucciso Pio La Torre?” (ed. Istituto Poligrafico Europeo), presentato a Messina il 21 maggio presso la libreria Circolo Pickwick, per iniziativa di Libertà e Giustizia e della Fondazione Antiusura Padre Pino Puglisi.
Ad aprire l’incontro con tantissimi intervenuti è stata Giusi Furnari Luvarà, coordinatrice di LeG, che ha poi dato la parola allo storico Federico Martino, il quale si è soffermato sulla figura e sul ruolo di Pio La Torre, nemico della mafia in quanto comunista, organizzatore di lotte per il progresso sociale ed economico che nella criminalità organizzata ha il principale ostacolo. Martino ha ricordato, tra l’altro, la capacità di La Torre di guidare e sviluppare i movimenti popolari partendo da una rigorosa analisi delle specifiche situazioni e del contesto generale, fissando poi obiettivi semplici, comprensibili e realistici, da raggiungere anche con vittorie graduali e parziali in attuazione di una democrazia progressiva.
Aldo Liparoti, del circolo di LeG, ha poi condotto il colloquio con gli autori, in un’intervista che ha seguito l’itinerario tracciato nel libro, ove – sin dai primi capitoli – si delinea uno scenario denso di interrogativi inquietanti e attuali.
La verità sugli omicidi di La Torre e Di Salvo – ha in particolare detto Nino Caleca – è oggi giudiziariamente accertata su basi probatorie inoppugnabili, ma può considerarsi esaustiva? E’ certo in sentenze definitive che quei delitti perpetrati il 30 aprile 1982 furono voluti dalla commissione di Cosa Nostra, i cui componenti sono stati condannati insieme ai killer. Restano però pendenti domande derivanti anche da “anomalie” che emergono pure nel raffronto con il modus operandi tipico di Cosa Nostra.
A titolo esemplificativo. Le fattezze fisiche di La Torre erano note forse a uno solo dei suoi assassini, che adoperarono armi inusuali nei delitti di mafia: una mitraglietta Thompson e una rivoltella cal. 45 che sarebbe stata consegnata da una persona, rimasta sconosciuta, che l’avrebbe rinvenuta in un casolare. E’ credibile? Chi era lo sconosciuto?
Un sicario, Salvatore Cucuzza, dichiarò che un altro assassino, Pino Greco, “fece poi capire di essere stato usato”. Perché e da chi?
Ancora: il colonnello dei carabinieri Michele Riccio affermò in Corte d’Assise che Luigi Ilardo, un confidente ben introdotto nelle cosche e poi ucciso mentre era sul punto di collaborare con la giustizia, gli aveva svelato che il delitto “non veniva esclusivamente dagli ambienti di Cosa Nostra, ma esistevano sia mandanti istituzionali sia mandanti mafiosi, per cui, diciamo, era stato un omicidio commissionato a Cosa Nostra”. Da chi e perché? E perché proprio allora?
Un vecchio boss, Salvatore Greco detto il Senatore, aveva detto, pochi giorni prima dell’assassinio, che il disegno di legge elaborato da La Torre insieme a Virginio Rognoni non sarebbe stato approvato dal parlamento e, quindi, della necessità di uccidere La Torre, a causa del ddl, erano perplessi altri influenti capimafia; anzi, per il “pentito” Francesco Marino Mannoia era maturata la preoccupazione che proprio l’eventuale omicidio potesse provocare una forte reazione dello Stato. Perché allora uccidere e qual era il vero rapporto tra i costi e i benefici del delitto? Marino Mannoia si dichiarò convinto che ci fosse “qualcosa che noi non sapevamo, qualcosa di più importante”.
Elio Sanfilippo, tra l’altro, ha ricordato i capisaldi dell’azione politica di La Torre, allorquando, nell’autunno ’81, tornò in Sicilia per assumere l’incarico di segretario regionale del Pci: la lotta per la pace e il disarmo bilaterale, per fare del Mediterraneo un mare di pace impedendo l’installazione dei missili nucleari a Comiso; la lotta contro la mafia; quella per lo sviluppo sociale ed economico. Erano tre obiettivi integrati in un’unica strategia e non può trascurarsi come la realizzazione della base missilistica corrispondesse a fortissimi interessi non solo politici e militari, ma anche affaristici, delle organizzazioni criminali e dei potentati economici contigui se non addirittura collusi.
Contro la militarizzazione della Sicilia si sviluppò un movimento ampio, forte e unitario che legò, non solo nell’isola, cattolici (compresi molti sacerdoti e anche prelati), comunisti, tanti socialisti, le Acli, organizzazioni sindacali, giovani, intellettuali, cittadini di ogni ceto. Fu un movimento impetuoso che accentuò su La Torre l’attenzione di servi segreti italiani e statunitensi che (com’è accertato) lo vigilavano sin dal 1952. In un suo libro, il giornalista Franco Nicastro cita un fascicolo riservato in cui si fa riferimento alla presenza di La Torre a Comiso, per una riunione, il 22 aprile 1981. Sino a quella data e per trent’anni il leader era stato attentamente e assiduamente sorvegliato. Otto giorni dopo dov’erano quegli attenti e segreti osservatori quando La Torre e Di Salvo venivano trucidati alla luce del sole, in macchina e in una via di Palermo?
Le indagini non approfondirono l’affaire Comiso, né tennero adeguatamente conto della denuncia politica fatta da La Torre di un intreccio tra servizi segreti, poteri occulti e mafie siciliana e americana. Quella mafia, egli denunciò, che, secondo le rivelazioni di Michele Sindona e del mafioso siculo americano Joseph Miceli Crimi, era impegnata in un vero complotto eversivo.
“Il giudizio dei magistrati ha confini estremamente rigorosi e lo storico – scrivono gli autori nel libro – non può negare ciò che in sede giudiziaria è stato accertato, ma deve partire da quella verità per completare il quadro di conoscenze. Solo dopo questi approfondimenti potrà chiedersi ai giudici di riaprire le indagini”. Ma tutto ciò ha un imprescindibile presupposto: che la società postuli quest’esigenza di conoscenza e di approfondimento; di quest’appello alle coscienze può essere interprete e motore Libertà e Giustizia, cui Caleca e Sanfilippo si rivolgono espressamente. “In tempi in cui prevale il rifiuto della politica da parte dei cittadini, e dei giovani in particolare, diventata sinonimo di malaffare, mediocrità, intrigo e affarismo e si teorizza perfino una democrazia senza partiti, La Torre ci ha dimostrato che è possibile un’altra politica per cui vale la pena di dare il proprio impegno e contributo. Una politica fatta di idee, rigore morale, disinteresse personale e coraggio nell’assunzione delle proprie responsabilità”.

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