Niente cultura, niente sviluppo

22 Feb 2012

Ora le sfide paiono meno tangibili rispetto alle macerie del dopoguerra, ma le necessità e la capacità di immaginare e creare il futuro sono ancor più necessarie e non rinviabili. Se oggi quelle stesse città che sono state laboratori viventi sembrano traumatizzate da un senso di inadeguatezza nell’interpretare le nuove sfide, ciò va ascritto a precise responsabilità di governo e a politiche e pratiche decisionali sbagliate. Negli ultimi decenni nel nostro paese – a differenza di altri, Francia, Germania, Stati Uniti oltre a economie recentemente “emerse” – è accaduto esattamente l’inverso di ciò che era necessario. Si è affermata la marginalità della cultura, del suo Ministero, e dei Ministeri che se ne occupano (Beni e Attività Culturali e Istruzione, Università e Ricerca) considerati centri di spesa improduttiva, da trattare con tagli trasversali.

Cooperazione tra i ministeri
Oggi si impone un radicale cambiamento di marcia. Porre la reale funzione di sviluppo della cultura al centro delle scelte dell’intero Governo, significa che la strategia e le conseguenti scelte operative, devono essere condivise dal ministro dei Beni Culturali con quello dello Sviluppo, del Welfare, della Istruzione e ricerca, degli Esteri e con il Presidente del Consiglio. Inoltre il ministero dei Beni Culturali e del paesaggio dovrebbe agire in stretta coordinazione con quelli dell’Ambiente e del Turismo.
Non si tratta solo di una razionalizzazione di risorse e competenze, ma dell’assunzione di responsabilità condivise per lo sviluppo. Responsabilità né marginali né rinviabili. Se realisticamente una vera integrazione degli obiettivi sembra difficile date le strutture relative di potere di ogni ministero e la complessità di azione propria dei ministeri stessi, tuttavia questo non deve diventare un alibi per l’inazione. Al contrario: esso deve imprimere il senso della necessità di favorire ogni forma di sperimentazione possibile che vada nella direzione di una cooperazione tra ministeri, oltre che ripristinare i necessari collegamenti tra Nord e Sud, tra centro e periferie. Si tratta di promuovere il funzionamento delle istituzioni mediante la loro leale cooperazione, individuando e risolvendo i conflitti a livello normativo (per esempio i conflitti Stato-Regioni per le norme su ambiente e paesaggio).

L’arte a scuola, il merito e la cultura scientifica
È importante anche che l’azione pubblica contribuisca a radicare a tutti i livelli educativi, dalle elementari all’università, lo studio dell’arte e della storia per rendere i giovani i custodi del nostro patrimonio, e per poter fare in modo che essi ne traggano alimento per la creatività del futuro. Per studio dell’arte si intende l’acquisizione di pratiche creative e non solo lo studio della storia dell’arte. Ciò non significa rinunciare alla cultura scientifica, che anzi deve essere incrementata e deve essere considerata, in forza del suo costitutivo antidogmatismo, un veicolo prezioso dei valori di fondo che contribuiscono a formare cittadini e consumatori dotati di spitito critico e aperto. La dicotomia tra cultura umanistica e scientifica si è rivelata infondata proprio grazie a una serie di studi cognitivi che dimostrano che i ragazzi impegnati in attività creative e artistiche sono anche i più dotati in ambito scientifico.

Una cultura del merito deve attraversare tutte le fasi educative, formando i nuovi cittadini all’accettazione di precise regole per la valutazione dei ricercatori e dei loro progetti di studio. Non manca il merito, nei percorsi italiani di formazione. Lo dimostra il crescente successo di giovani educati in Italia che trovano impiego nelle più prestigiose università di ricerca in tutto il mondo. Ma finché non riusciremo ad attrarre altrettanti “cervelli” dall’estero, questo saldo passivo dissanguerà la nostra scienza e la nostra economia.
È necessario, riguardo a ognuno degli aspetti trattati, creare le condizioni per una reale complementarità tra investimento pubblico e intervento dei privati, che abbatta anche questa falsa dicotomia. È la mancata centralità della cultura per lo sviluppo che ha portato a normative fiscali incoerenti e inefficaci.

Complementarità pubblico-privato, sgravi ed equità fiscale
La complementarità pubblico/privato, che implica una forte apertura all’intervento dei privati nella gestione del patrimonio pubblico, deve divenire cultura diffusa e non presentarsi solo in episodi isolati. Può nascere solo se non è pensata come sostitutiva dell’intervento pubblico, ma fondata sulla condivisione con le imprese e i singoli cittadini del valore pubblico della cultura. Si è osservato in questi anni che laddove il pubblico si ritira anche il privato diminuisce in incisività, mentre politiche pubbliche assennate hanno un forte potere motivazionale e spingono anche i privati a partecipare alla gestione della cosa pubblica. Provvedimenti legislativi a sostegno dell’intervento privato vanno poi ulteriormente sostenuti attraverso un sistema di sgravi fiscali (in molti paesi persino il biglietto per un museo o un teatro è detraibile). Misure di questo genere ben si armonizzano con l’attuale azione di contrasto all’evasione a favore di un’equità fiscale finalizzata a uno scopo comune: il superamento degli ostacoli allo sviluppo del paese.

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