Domande scomode

11 Lug 2011

Un elenco di domande ai giudici che oggi esercitano il loro difficile e delicato compito. L’ex procuratore capo di Firenze, da anni in pensione, fa una serie di riflessioni, avendo sempre sostenuto nel corso degli oltre 45 anni di attività, come irrinunciabile valore costituzionale, l’indipendenza della magistratura

Non so se ho titolo per intervenire in lista, essendo ormai da anni in pensione. Ma avendo, nel corso degli oltre 45 anni di attività, sostenuto come irrinunciabile valore costituzionale l’indipendenza della magistratura, senza artificiose e strumentali separazioni, ritengo di aver titolo per sottoporre agli ospiti della lista alcune riflessioni, e relative domande.

Vedo grande vivacità su alcune questioni; rifiuto candidature; carichi sostenibili; ufficio del giudice ecc. Tutte posizioni ineccepibili. Ma vi sono questioni su cui da una vita mi interrogo, e che non sembrano attirare soverchia attenzione. Perciò vorrei esternare ai colleghi in attività di servizio i miei tormenti, assicurando per il futuro il più tombale silenzio. Con alcune domande:

1 – esistono, nella esperienza dei colleghi, casi di “ignoranza o negligenza inescusabile” nell’esercizio delle funzioni, da parte di taluno?

2 – esistono casi di “grave e ingiustificato ritardo nell’espletamento di funzioni giudiziarie”?

3 – ovvero casi di errori macroscopici o di grave e inescusabile negligenza?

Se la risposta generale è negativa, il discorso non richiede altri sviluppi.

Ma se, in ambito professionale, siffatti comportamento non costituiscono eventi di assoluta eccezionalità, allora si propone, subito dopo, un ulteriore quesito:

4 – in quei casi, il controllo disciplinare secondo il decreto 109/2006, ha funzionato? O no?

Perché, vedete, l’indipendenza del giudice, cui non si accompagni controllo delle sue eventuali scorrettezze e negligenze, rischia di esser considerata, e sbandierata, anche per fini disonesti, come inaccettabile privilegio.

5 – Ancora: al di fuori delle ipotesi tipiche di illecito disciplinare (per inciso: la tipizzazione secondo antica opinione dello scrivente fu e rimane una sciocchezza), non esistono forse forme di comportamenti non corretti, che non corrispondono all’etica professionale del buon giudice? (Per es: rimessione sul ruolo di cause già istruite, in vista di trasferimento; assenza di un teste, rinvio dell’intero dibattimento pur con altri testi presenti ecc.)

6 – Infine: in molti casi pare – e così viene avvertita dall’opinione comune – che il giudice si muova verso la prescrizione come esito per lui indifferente. E ineluttabile. La sensazione che si faccia il possibile, perché una sentenza di merito sia emessa, anche se destinata a non diventar giudicato, nell’opinione comune non c’è. Che ogni prescrizione sia una sconfitta, per la società non solo, ma per il giudice prima di tutto, che giustizia deve rendere, è una consapevolezza perduta. Talvolta si avverte una sorta di timidezza nel valutare l’assoluta impossibilità a comparire, sostenuta dai difensori, quasi che si abbia timore di non apparire abbastanza comprensivi con i sacri diritti della difesa. Dell’accusato ovviamente, non dell’offeso. Nell’altro secolo, agli inizi del mio percorso, sulle prescrizioni si dovevano dei chiarimenti. Altri tempi lo so, e non penso migliori. Ma qualcosa andrebbe rimeditato.

* L’autore è ex procuratore capo di Firenze e socio di LeG

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