Gli anormali

11 Apr 2011

Su suggerimento del circolo padovano di LeG vi proponiamo la lettura di un passo da Les anormaux. Cours au Collège de France. 1974-1975 di Michel Focault. “Uno dei presupposti più immediati e più radicali di ogni discorso giudiziario, politico, etico, è che esista una dipendenza non accidentale tra l’enunciato della verità e la pratica della giustizia”

Mai testo è sembrato più attuale.Per questo vi suggeriamo – su indicazione del Circolo LeG di Padova – di rileggerlo, alla luce delle ultime vicende politiche e di quanto va dicendo il presidente del Consiglio.

Vorrei soffermarmi un istante sul rapporto verità-giustizia, perché si tratta di uno dei temi fondamentali della filosofia occidentale.
Uno dei presupposti più immediati e più radicali di ogni discorso giudiziario, politico, etico, è che esista una dipendenza non accidentale tra l’enunciato della verità e la pratica della giustizia. Ora, succede che, nel punto in cui vengono a incontrarsi l’istituzione destinata a regolamentare la giustizia, da un lato, e le istituzioni qualificate a enunciare la verità, dall’altro; nel punto in cui s’incontrano il tribunale e l’uomo di scienza, in cui s’incrociano l’istituzione giudi-ziaria e il sapere medico p scientifico in generale; in questo stesso punto vengono formulati degli enunciati che hanno lo statuto di discorsi veri, che detengono effetti giudiziari considerevoli, e che hanno tuttavia la curiosa proprietà di essere estranei a tutte le regole, anche le più elementari, di formazione di un discorso scientifico; di essere estranei anche alle regole del di-ritto e di essere, come i testi che vi ho letto poc’anzi, in senso stretto, grotteschi.
Chiamerò “grottesco” un discorso o un individuo che detengono per statuto degli effetti di potere di cui, per la loro qualità intrinseca, dovrebbero essere privati.. Il grottesco o, se preferite, l’“ubuesco” [*] , non è semplicemente un epiteto ingiurioso. Non è comunque come tale che io vorrei usarlo. Ritengo, anzi, che si dovrebbe formare una categoria dell’analisi storico-politica che tratti del grottesco o dell’ubuesco. Il terrore ubuesco, la sovranità grottesca, oppu-re, in termini più austeri, la massimizzazione degli effetti di potere a partire dalla qualificazione di colui che li produce: tutto questo, io credo, non è accidentale nella storia del potere, non è una disfunzione del suo meccanismo. Mi sembra, al contrario, che sia uno degli ingranaggi che fanno parte integrante dei meccanismi di potere. Il potere politico – per lo meno in alcune so-cietà, e comunque nella nostra – può darsi, si è effettivamente dato, la possibilità di far tra-smettere i suoi effetti, e, ancor più, di trovarne l’origine, in un recesso che è manifestamente, esplicitamente, volontariamente squalificato dall’odioso, dall’infame o dal ridicolo. Dopo tutto, questa meccanica grottesca del potere, o questo ingranaggio del grottesco nella meccanica del potere, è molto antico nelle strutture e nel funzionamento politico delle nostre società. Ne ab-biamo esempi chiarissimi soprattutto nella storia dell’impero romano, dove la qualificazione quasi teatrale del punto di origine, del punto di aggancio di tutti gli effetti del potere nella per-sona dell’imperatore, fu se non proprio un modo di governare, per lo meno un modo di domi-nare: una qualificazione che fa sì che colui il quale è detentore della maiestas, cioè del di più di potere rispetto a qualsiasi altro potere, è allo stesso tempo, nella sua persona, nella sua realtà fisica, nel suo abito, nel suo gesto, nel suo corpo, nella sua sessualità, nel suo modo di essere, un personaggio infame, grottesco, ridicolo. L’ingranaggio del potere grottesco, della sovranità infame, è stato messo in opera perennemente nel funzionamento dell’impero romano: da Ne-rone a Eliogabalo.
Il grottesco è uno dei procedimenti essenziali della sovranità arbitraria. Ma il grottesco è an-che un procedimento inerente alla burocrazia applicata. Che la macchina amministrativa, con i suoi insormontabili effetti di potere, passi attraverso un funzionario mediocre, nullo, imbecille, superficiale, ridicolo, consunto, povero, impotente, tutto ciò è stato uno degli elementi essen-ziali delle burocrazie occidentali a partire dal XIX secolo.
Il grottesco amministrativo non è stato semplicemente la percezione visionaria dell’amministrazione che hanno potuto avere Balzac, Dostoevskij, Courteline o Kafka.
Il grottesco amministrativo è una possibilità che la burocrazia si è realmente data. Ubu “rond de cuir” appartiene al funzionamento dell’amministrazione moderna, come spettava al funzionamento del potere imperiale a Roma essere nelle mani di un istrione folle. E quello che dico dell’impero romano, ciò che dico della burocrazia moderna, si potrebbe dire di molte altre forme meccaniche di potere, nel nazismo o nel fascismo. Il grottesco di uno come Mussolini era di per sé iscritto nella meccanica del potere. Il potere si dava l’immagine di essere generato da qualcuno teatralmente travestito, disegnato come un clown, come un buffone.
Mi sembra che vi siano qui, dalla sovranità infame sino all’autorità ridicola, tutte le grada-zioni di ciò che si potrebbe chiamare l’indegnità del potere. Sappiamo che gli etnologi – penso in particolare alle belle analisi che Clastres ha appena pubblicato – hanno individuato il feno-meno che fa sì che colui al quale si dà un potere sia, allo stesso tempo, attraverso un certo numero di riti e di cerimonie, ridicolizzato o reso abietto, oppure venga mostrato sotto una lu-ce sfavorevole. Si tratta, nelle società arcaiche o primitive, di un rituale per limitare gli effetti del potere? Forse. Ma direi che, se sono davvero ancora questi i rituali che si ritrovano nella nostra società, essi hanno una funzione del tutto diversa. Mostrando pubblicamente il potere come abietto, infame, ubuesco o semplicemente ridicolo non se ne limitano gli effetti. Né viene detronizzato, con un atto magico, colui al quale si dà la corona. Si tratta, al contrario, di mani-festare in modo evidente l’insormontabilità e l’inevitabilità del potere, che può per l’appunto funzionare in tutto il suo rigore, e al limite estremo della sua razionalità violenta, anche allor-quando è nelle mani di qualcuno realmente squalificato. Il problema dell’infamia della sovranità e del sovrano squalificato, in fin dei conti, è il problema di Shakespeare. Tutta la serie delle tragedie dei re pone proprio questo problema, senza che mai, mi sembra, si sia fatta la teoria dell’infamia del sovrano. Ma, ancora una volta, nella nostra società, a partire da Nerone – che è forse la prima grande figura iniziatrice del sovrano infame – sino al piccolo uomo dalle mani tremanti che, nel fondo del suo bunker, coronato da quaranta milioni di morti, domandava solo due cose (che tutto il resto al di sopra di lui venisse distrutto e che gli si portassero, fino a cre-parne, dei dolci al cioccolato), c’è uno smisurato funzionamento del sovrano infame.

[*] L’aggettivo “ubuesco” è stato introdotto nel 1922, a partire dal lavoro teatrale di Alfred Jarry, Ubu roi, Paris 1896. Vedi Grand Larousse, VII, 1978, p. 6319: “Si dice di ciò che, per il suo carattere grottesco, assurdo o caricaturale, ri-corda il personaggio di Ubu”; Le Grand Robert, IX, 1985, p. 573: “Che rassomiglia al personaggio di Ubu re (per un carattere comicamente crudele, cinico e codardo, con eccesso).

FOUCAULT_Il grottesco nella meccanica del potere_da Gli anormali

M. Foucault, Les anormaux. Cours au Collège de France. 1974-1975,
1999 – Traduzione Italiana e a cura di V. Marchetti e A. Salomoni,
Gli anormali, Corso al Collège de France (1974-1975), Lezione dell’8 gennaio
1975, Milano, Feltrinelli, nuova edizione 2009, pp. 21-23.

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