Avevano ragione gli operai a votare Lega?

Negli ultimi anni ci siamo chiesti più volte come era possibile che moltissimi operai iscritti alla Cgil ed alla Fiom votassero per la Lega.
Giustamente ritenevamo che la Lega desse una protezione politica del tutto effimera ed apparente creando il problema dell’extracomunitario che “ruba” il lavoro per avere così l’appoggio alle loro operazioni essenzialmente razziali.
In compenso il Pd, da quando è nato, non ha mai dato un reale appoggio al mondo operaio. Lo si è capito nel momento in cui Veltroni ha “scritturato” Calearo, il “mastino” della Confindustria nelle trattative con i sindacati, come suo primo rappresentante nel Veneto, lo si è letto nella lettera al direttore de La Stampa del 5 gennaio 2011 che però merita un maggiore approfondimento.
Dopo i vertici del Pd non si sono mai più posti il problema del lavoro interessati solo alle loro lotte interne ed alla discussione su possibili quanto improbabili alleanze.
Ora che lo scontro tra Marchionne e la Fiom è al suo apice i principali rappresentanti del PD di nascita torinese (ad esempio Chiamparino e Fassino) si schierano apertamente con Marchionne forse affascinati dalla promessa di investimenti per 20 miliardi. Trascurando il fatto che lo stesso Marchionne ha detto che subito ne investirà un paio tra Pomigliano e Mirafiori, gli altri 18 arriveranno quando serviranno, forse mai dato l’andamento delle vendite Fiat.
Ora cosa devono pensare gli operai? È meglio un partito che promette di difendermi di fronte alle difficoltà della globalizzazione o un partito che si dice di centrosinistra ma che normalmente si disinteressa dei problemi dei lavoratori e, quando servirebbe un appoggio, si schiera con gli imprenditori contro di loro?
Ieri, a Torino, un ulteriore episodio che può spiegare, in piccolo, le ragioni di questa tendenza. Su sollecitazione di alcuni rappresentati Fiom , Rifondazione Comunista presenta una richiesta di incontro con i capigruppo dei partiti presenti in sala comunale, “per evidenziare ai consiglieri comunali il profondo stato di disagio e incertezza che in questi giorni pre-referendari, i lavoratori di Mirafiori vivono.”
I delegati sindacali chiedono che, al termine dei lavori, una delegazione ristretta di operai e impiegati venga ascoltata dalla conferenza dei capigruppo.
La richiesta va ai voti e viene respinta per un voto. 22 consiglieri votano a favore e 23 contro. A votare a favore sono Rifondazione Comunista, Sinistra e Libertà, Pdl e Lega.
A votare contro sono il Pd, l’Udc e l’Api .
Che scelta possono avere gli operai di Mirafiori di fronte al ricatto di Marchionne: o accetti le mie condizioni o perdi il lavoro sapendo che nessun partito è disposto a lottare al loro fianco?

Vi consiglio la lettura dellarticolo della Annunziata assolutamente condivisibile se si sostituisce regolarmente la parola “sinistra” con la parola “PD”. La Annunziata considera ancora il PD un partito sinistra, evidentemente non si rende conto che il PD è ormai un partito di centro (ovviamente salvo qualche raro iscritto).

Altra interessante lettura è quella dell’articolo di Chiarelli che riporta le affermazioni di Marchionne sui suoi investimenti in Italia.

LeG Torino alla fiaccolata della Fiom

4 commenti

  • A FAVALORO dico semplicemente che non condivido le sue valutazioni sull’azione del PD
    che dimostrano che conosce poco qual è la funzione di un Partito Politico (che non è un Movimento!!) e tantomeno capisco cosa intende per sostegno agli operai. Vuole dettagliare meglio ?

  • I ritardi della Politica e Fabbrica Italia

    Dopo 9 mesi di trattativa su Pomigliano, dopo 18 dall’accordo Fiat-Chrysler e 27 dall’apice della più grande crisi degli ultimi 50 anni e , soprattutto , a quasi un anno dall’annuncio da parte di Marchionne del piano Fabbrica Italia con tutte le prospettive che apre un investimento da 20 miliardi di € nel nostro Paese , sorge spontanea una domanda : ma la Politica , quella con la P maiuscola , in Italia dov’ è ? dov’era ?
    A marzo dell’anno scorso , nel bel mezzo della crisi , la FIAT annunciava un investimento in Italia nel settore auto , un settore labour intensive ma ad alta tecnologia ed innovativo, di portata eccezionale , pari a una manovra finanziaria , con ricadute su tutto il territorio nazionale e capace di indurre , secondo le stime degli economisti , altrettanti investimenti nell’indotto.
    Da, cittadino mi sarei aspettato che immediatamente da parte di governo , nazionale e locale , delle forze politiche sia di centro-destra che di centro-sinistra e innanzitutto dalle forze sindacali si aprisse un confronto con l’azienda , al fine di mettere in chiaro da subito quali erano i punti dell’iniziativa e quali le contropartite , anche alla luce del cambiamento che l’ acquisizione della Chrysler e dell’altra importante decisione di scorporare il gruppo in due società quotate FIAT e FIAT INDUSTRIAL , determinava nelle politiche industriali del gruppo del Lingotto
    Grande è stata la mia sorpresa nel vedere invece che tale argomento non destava l’attenzione della Politica, quasi si trattasse di ordinaria amministrazione .
    Il Governo e i partiti di maggioranza erano intenti nelle solite faccende personali del premier , sempre in maggior contrasto con l’alleato Fini e da parte della Lega sul federalismo fiscale prossimo futuro nel 2013; l’opposizione invece impegnata tra le infinite conte interne del PD ,e la rincorsa a sinistra dei più duri e puri.
    E’ in questo quadro di totale disinteresse che Marchionne ha portato avanti il proprio progetto , senza confronto sino a Pomigliano e poi a Mirafiori.
    Detto anche che la FIAT può non essere esente da critiche soprattutto nei modi in cui ha condotto le vicende e che deve sciogliere ancora molti nodi sul progetto Fabbrica Italia , non si capisce veramente l’atteggiamento della politica , da una parte accondiscendente , talvolta in forma acritica sulle posizioni aziendali, dall’altra più preoccupata a difendere i diritti di chi gia’ li ha e che non capisce la situazione globale in cui si trova il nostro Paese.
    Se ne ricava quindi l’impressione che a questo appuntamento , determinante per il futuro industriale italiano si sia arrivati in ritardo ed impreparati, senza un confronto , dove ci si divide ora in favorevoli o contrari , ma senza una reale adesione come sistema a questo progetto , che non solo determina possibilità di sviluppo , ma crea anche nuovi orizzonti sul piano delle relazioni sindacali e dei diritti.
    Un confronto che avrebbe dovuto aprirsi a partire dalla scommessa di investire su Mirafiori e Pomigliano (il più vecchio e il più inefficiente degli impianti Fiat), che solo 5 anni fa era qualcosa di impensabile e sulle contropartite in termini di organizzazione del lavoro e di relazioni sindacali per divenire un momento di confronto culturale a partire dalla sinistra che appare confusa e proiettata nel passato, anzichè nel futuro superando quella vecchia cultura statalista che si vede riemergere .
    La questione Fiat , infatti , è figlia del passaggio epocale che stiamo attraversando e che da decenni la cultura di sinistra non riesce a cogliere .
    I problemi culturali riguardano il modello di società, di economia e di Stato e gli strumenti per raggiungere gli obiettivi di crescita e sviluppo sostenibile, là dove la demonizzazione del capitale é fuori dal tempo e dalla storia e non parlo solo del capitale dei piccoli e medi imprenditori (alternativamente blandito e rifiutato), ma anche del grande capitale produttivo, che realizza investimenti e lavoro .
    Il primo diritto, oggi da salvaguardare , è il diritto al lavoro, senza investimento non esiste il posto di lavoro e non esistono i lavoratori .
    Troppo spesso si confondono i diritti con le tutele ed altrettanto sovente si tutelano gli pseudo-diritti di pochi, a discapito dei diritti di molti .
    Tutelare oggi i diritti delle “avanguardie operaie” delle grandi fabbriche, significa calpestare i diritti di milioni di lavoratori e lavoratrici, non tutelati dallo Statuto dei Lavoratori, in quanto operano in aziende (la stragrande maggioranza..) al di sotto dei 16 dipendenti .
    In questo quadro che senso ha continuare con un Contratto Nazionale anacronistico , che equipara il meccanico della Fiat al lavoratore dell’officina meccanica sotto casa, magari quando la casa è su uno dei territori meno sviluppati del Paese?
    Non vi è cosa peggiore che applicare regole uguali per disuguali….è la maggiore ingiustizia che si possa fare.
    Così come non è più immaginabile, difendere vecchi diritti in un mondo globalizzato nel quale lo sviluppo si realizza attraendo capitali per investimento. In nome di quei vecchi diritti non si può continuare a rifiutare capitali che realizzano lavoro e quindi avanzamento sociale e personale .
    La sinistra incominci a dire, in modo chiaro e condiviso , che i Contratti Nazionali di Lavoro devono tutelare le condizioni minime sia normative che salariali e che la contrattazione decentrata, sia essa territoriale che aziendale, deve cogliere tutte le opportunità di avanzamento e di sviluppo dell’occupazione, oltre che salariale, ma basato quest’ultimo sui livelli di produttività. Piaccia o non piaccia il nostro benessere ormai si basa sulla qualità dei prodotti e dei servizi e sulla produttività delle aziende e dei lavoratori .
    Una sinistra responsabile, rinuncia a parte dei diritti, se ciò comporta la creazione di posti di lavoro.
    Ma dietro la scusa dei diritti, si nasconde ben altro a mio avviso. Si nasconde la vecchia cultura dell’unità della classe operaia.
    Già, negli anni ’60 quando parte del sindacato lanciò la sfida della contrattazione aziendale, la CGIL si schierò contro, sempre in nome dell’unità. Se avesse vinto quella cultura conservatrice (come l’attuale…) non ci sarebbero stati nè le rappresentanze sindacali aziendali, né lo Statuto dei lavoratori, che la Cgil, con grande ritardo, solo adesso difende.
    Quella stessa cultura che considerava il salario come variabile indipendente e che si schierò contro il referendum per l’abolizione della scala mobile nell’ 84 .
    Quella stessa cultura che fece i picchetti davanti alla Fiat, in nome dello scontro di classe, e che produsse la marcia dei 40mila. La stessa cultura che non firmò il primo accordo di concertazione del ’92 .
    La cultura che considera Ichino un boia e Bonanni un venduto ( si ricordi la recente festa Democratica di Torino . Una cultura vecchia e miope .
    Una cultura che rifiuta la Sussidiarietà, che considera la solidarietà un valore che va esercitato dagli altri, Stato o volontariato che sia, non certo dalle supertutelate avanguardie degli occupati .
    I valori di una moderna politica del lavoro e per il lavoro ed in particolare sono quelli che fanno riferimento alla
    Sussidiarietà, Responsabilità e Partecipazione .
    Sussidiarietà significa cominciare a pensare che livelli più alti di pressione fiscale non li regge nessuno e favoriscono la delocalizzazione , e quindi è necessario sviluppare ed incrementare forme sussidiarie di tutela, di welfare, di formazione realizzate dai corpi intermedi della società .
    Mi riferisco alla bilateralità che ha realizzato e realizza attraverso il versamento dello 0,30%, tratto dalla busta paga, formazione continua per centinaia di migliaia di lavoratori ; quello stesso che quando veniva fatto confluire nelle casse delle regioni, produceva sprechi e malcostume .
    Bilateralità che ha realizzato fondi integrativi sanitari (quello dei lavoratori del commercio e del turismo), capaci di coprire un ampio spettro di cure mediche non coperte dal servizio sanitario nazionale .
    Sono solo alcuni esempi di sussidiarietà, sotto il controllo dello Stato, ma non gestiti dallo Stato.
    Responsabilità, altro valore che va concretizzato .
    Capacità di assumersi le responsabilità di firmare accordi per il bene di molti e non per i diritti di pochi. Quei molti che poi vanno a votare il Referendum e che per il 62% approvano quelle firme. Ma le avanguardie sindacali e di partito, invocano la democrazia a convenienza….e considerano sempre il popolo, come non ancora formato per comprendere e percorrere – senza di loro – la strada del futuro .
    La Partecipazione parte dalla non demonizzazione del capitale, che va controllato ed indirizzato attraverso la partecipazione, secondo il modello tedesco (non a caso la Germania è la Nazione più florida in questo periodo di crisi..). Sì quindi alla partecipazione ai consigli di amministrazione, agli obiettivi di produttività e di investimento, ecc.
    Ma per certa cultura, vade retro satana…contaminarsi? Sporcarsi le Mani? Mai! Ma intanto i cassa integrati e gli operai in mobilità crescono, come crescono i disoccupati e gli inoccupati, sopratutto nelle fasce giovanili . In questo quadro ed in questa cultura chi dovrebbe creare occupazione e tutele? lo Stato ? Da dove prende le risorse lo Stato per far ciò ?
    Non vorrei che continuando così Berlusconi sarà Premier per altri vent’anni .
    Riformismo non conservatorismo .

    Valter Morizio ( Collegno )

  • Da TEODORO CHIARELLI su La Stampa del 4/01/2011

    Marchionne: Vogliono vedere il resto degli investimenti? Ma che scherziamo? Sono appena tornato dal Brasile, dove ho inaugurato con l’ex presidente Lula una fabbrica a Pernambuco: nessuno si sarebbe mai permesso lì di farsi dare i dettagli dell’investimento. Non lo fa nessun altro Paese del mondo. Smettiamola di comportarci da provinciali: quando serviranno gli altri 18 miliardi li metteremo»

    Quindi tra Torino e Pomigliano meno di 2 miliardi senza controlli!

  • Pingback: La fiaccolata Fiom per il No | Libertà e Giustizia

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