LeG Pordenone incontra il giudice Spataro

19 Ott 2010

Nell’ambito delle conversazioni di “Libertà e Giustizia” si è svolto venerdì 8 ottobre 2010, nel teatro “Arrigoni” di San Vito al Tagliamento (Pn), l’incontro con il giudice Armando Spataro, presenti le autorità locali ed un pubblico di adulti, giovani

Nell’ambito delle conversazioni di “Libertà e Giustizia”, si è svolto venerdì 8 ottobre 2010, nel teatro “Arrigoni” di San Vito al Tagliamento (Pn), l’incontro con il magistrato Armando Spataro, presenti le autorità locali ed un pubblico di adulti, giovani, addetti ai lavori, per i quali egli ha ripreso i temi del suo libro dal titolo “Ne valeva la pena”, premiato al Capalbio 2010, per la sezione “Politica e Istituzioni”.
Intervistato dal giornalista Giuseppe Liani, Spataro, nella funzione di Pubblico Ministero, ha ripercorso gli ultimi trent’anni della nostra Storia, intrecciati con la sua biografia. In apertura di serata ha richiamato alla memoria i numerosi magistrati uccisi nel nostro Paese, invitando a non vederli come eroi perché sono morti, ma perché  hanno voluto capire e conoscere con ostinazione.
Ha definito un lavoro di intelligenza quello del P.M., che imposta l’accusa, raccoglie le prove, formula le conclusioni, chiede la pronuncia di una sentenza di condanna, proprio come il regista di una squadra, lasciando affiorare anche quella passione giovanile per la pallanuoto, quasi un’allegoria della sua vita.
Con una certa amarezza, riferendosi al Potere Esecutivo, ha dichiarato di non aver mai immaginato che gli ostacoli alla sua attività potessero provenire dalle stesse istituzioni pubbliche, nonostante la legalità fosse al centro del programma di governo. Così ha lamentato che fosse stato imposto il segreto di Stato sul caso Abu Omar, a tutela dei servizi segreti appartenenti al S.I.S.M.I., azione condannata dal Parlamento Europeo e dal Consiglio d’Europa.
Ha rievocato, da  protagonista di numerose inchieste, momenti cruciali della storia politica del nostro Paese: le Brigate Rosse, Prima Linea, il terrorismo internazionale, il caso Abu Omar. Non senza qualche emozione ha ricordato l’omicidio di Guido Galli, magistrato e docente, assassinato nel 1980 con il codice accanto, e le successive parole del premier Berlusconi alla stampa straniera: “Non ci si può aspettare che i governi combattano il terrorismo con il codice in mano”. Segno, secondo Spataro, dell’incapacità di accettare che le competenze di chi governa non debbano prevalere sulle altre.
Eppure niente ha fermato la Magistratura, uno dei tre poteri su cui si regge la democrazia. Una Magistratura a volte mal sopportata, tuttavia indipendente, che indaga su chiunque, che ha l’obbligatorietà dell’azione penale, che si ispira al principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. E allora a chi sostiene, come Luciano Violante, ispirandosi al filosofo Bacone, che “I magistrati devono essere leoni ma sotto il trono” di chi governa, risponde che non devono essere né leoni né pecore, piuttosto cani da guardia, nel rispetto della legge, senza interesse per chi sta sul trono.
Spataro ha parlato poi anche del ruolo della stampa, fondamentale in democrazia, e del rapporto tra magistrato inquirente e giornalisti, invitati ad accertare sempre la verità della notizia, quando cessa la segretezza e l’accesso ad essa è possibile. Non esiste qui, come in America, ha aggiunto, il controllo del fact checker, prima che sia pubblicato un articolo. Allora, ha concluso, restano i limiti della deontologia, il reciproco rispetto, altrimenti il ruolo del giornalista diventa perverso.
Si è soffermato quindi sulla Costituzione, un bersaglio per chi ritiene che imbrigli e impedisca l’azione del Governo, augurandosi che le massime cariche dello Stato  intervengano per tutelare la democrazia stessa.
Circa i tempi biblici dei processi, pur ammettendo sacche di inefficienza,  ha riportato il giudizio positivo emesso dalla Commissione Europea sui servizi giudiziari italiani, in relazione a produttività, numero di processi, sanzioni disciplinari e ha rilevato, tuttavia, che solo Milano per uomini e mezzi ha un vuoto di organico del circa 40%.
Spaziando infine sul processo breve, lo ha definito un’assurdità giuridica. In un divertente paragone tra processo breve e tempi di percorrenza di un treno Milano-Roma, il P.M. ha sostenuto che sarebbe come costringere i passeggeri a proseguire a piedi, nell’eventualità che il treno superasse il limite di tempo previsto. Neppure lo “scudo al premier” si giustificherebbe giuridicamente, in quanto servirebbe solo a bloccarne i processi.
Ha auspicato infine l’unicità e non la separazione delle carriere, a garanzia dei cittadini e per non appiattire il ruolo del P.M.
La conversazione si è chiusa su un’iscrizione latina, mutuata da Plutarco, la quale compare sul muro della chiesa di S. Maria Maggiore della Pietrasanta a Napoli, il cui senso è il seguente: “E’ degli uomini migliori non curarsi degli insulti degli improbi, giacché persino essere lodati da costoro è motivo di vergogna”. E in sala uno scrosciante applauso sigilla due ore circa di attenta partecipazione di pubblico.
E seppure non siamo i cittadini di Chio che offesero i magistrati spartani, episodio a cui faceva riferimento il giudice Spataro, sentiamo di essere chiamati a nuovi doveri, accanto a coloro che, come lui, operano ogni giorno con professionalità, passione, alto senso dello Stato, nel difendere una democrazia troppe volte e troppo spesso minacciata. (A. C.)
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