Ricambio sì, rottamare no

05 Set 2010

Io la penso così: la discussione per ora tutta interna al Pd fra “rottamare” e “conservare” rispecchia la tendenza della politica attuale. O stai di qua o stai di là. In mezzo c’è una terra di nessuno, abitata da compromesso e ipocrisia.

Io la penso così: la discussione per ora tutta interna al Pd fra “rottamare” e “conservare” rispecchia la tendenza della politica attuale. O stai di qua o stai di là. In mezzo c’è una terra di nessuno, abitata da compromesso e ipocrisia.In sostanza si chiede di dire se gli attuali dirigenti devono esser mandati tutti a casa oppure se devono continuare a guidare il Pd.Magari sorretti da un po’ di quarantenni, arruolati ad adiuvandum o fatti salire di un gradino, ma uno soltanto per non creare sconquassi eccessivi.
Semplificare è bello, la gente capisce meglio e magari ti chiamano anche in Tv a sostenere l’una o l’altra tesi. Ma semplificare troppo può essere anche da incoscienti: davanti all’ opposizione ci sono mesi e scelte molto difficili, dalle quali dipenderà la possibilità o meno di far cambiare strada all’Italia, di trovare una politica pronta ad affrontare la paurosa disoccupazione di tanti italiani e quella stabilità delle istituzioni che è stata smantellata in questi anni di attacchi alla Costituzione. Dunque, un orizzonte che deve invitare insieme alla riflessione e a scelte coraggiose.
Io capisco e condivido sostanzialmente la voce di chi non ne può veramente più delle incertezze e delle ambiguità che hanno caratterizzato la non opposizione dell’opposizione in questi anni. Capisco l’irrequietezza di chi all’interno del Pd ma anche fuori, tra i simpatizzanti, ha letto le due lettere estive di Veltroni e di Bersani in cerca di un concetto chiave: fin qui abbiamo sbagliato, d’ora in poi cambieremo. E non lo hanno trovato.
Capisco gli sbadigli; dunque, dice Renzi, rottamiamoli tutti. No, rispondono dagli Stati maggiori, siete maleducati e basta, lasciateci fare a noi.
La sostanza dello scontro è tutta qui. Bei titoli sui giornali, ma all’Italia chi ci pensa? L’Italia ha bisogno di una politica nuova, illuminata, competente, onesta, lungimirante. Chi può essere utile a questo scopo? Certamente non una classe dirigente che da almeno vent’anni (a esser generosi) tramanda se stessa, in un gioco perverso di potere che riesce a influenzare anche le cosìdette primarie. Non una classe dirigente che finge di avere a noia il Porcellum, ma non si è mai veramente opposta ad esso e ancora oggi si dilania in cerca di una ipotesi di legge elettorale che deve comunque prima di tutto essere utile alla propria parte. Una legge che assicuri a se stessi e ai propri amici e parenti la permanenza in Parlamento e nei posti chiave del potere.Certamente non una classe dirigente che non sa andare a casa, mai, qualunque cosa accada.
Dunque il ricambio è assolutamete essenziale, se si vuole voltar pagina. Ma non è tutto. Io proporrei agli attuali dirigenti e comunque agli attuali responsabili di fare importanti e visibili passi indietro. Non per esser rottamati, ma per cominciare a restituire molto di ciò che negli anni hanno ricevuto dalla politica mettendo al servizio il bagaglio importante di esperienze e nozioni che hanno accumulato.
Non li manderei a casa, ma in una sorta di pensione attiva: volontari a servire il loro partito. Come? Una volta, molti anni fa, i giornalisti e i cittadini che si interessavano a determinati argomenti, dalla politica estera a quella istituzionale dall’urbanistica alla sanità e alla scuola, trovavano dentro alle sedi locali e nazionali dei partiti quei luoghi di studio e di raccolta dati e informazioni che consentivano a tutti di saperne di più, di farsi un’opinione, di spiegare una situazione. Adesso vanno di moda le Fondazioni: ma vengono usate soprattutto per catturare l’attenzione sulla propria componente politica, sulla propria “corrente”. Non per creare un programma, non per parlare con le associazioni, con i cittadini, con i lavoratori, con i sindacati.
Ce ne sono di cose al servizio dei cittadini e del loro partito che gli attuali dirigenti potrebbero fare se decidessero di lasciare un po’ del posto che occupano da decenni ad altri. Non si tratta di applicare rigidamente il principio: due legislature e poi a casa. Che se fosse stato in funzione ad esempio negli Stati Uniti avrebbe privato il Senato di figure straordinarie, al lavoro per idee democratiche da tutta una vita.
Personalmente sono convinta che almeno due legislature siano necessarie a chi arriva in Parlamento per capire e imparare come funziona la macchina delle Istituzioni. Si tratta però di cominciare a spalancare le porte ai giovani che chiedono di entrare e hanno competenze specifiche per occuparsi della cosa pubblica.
Senza dividerli in maleducati e beneducati, ma contando soprattutto sulla loro competenza e sulla loro specchiata onestà. Oltre che, ovviamente, sulle due o tre cose che hanno in mente di fare, per il bene comune.
Puntare al cambio oltre che al ricambio. E al pensionamento in servizio più che alla rottamazione. Uscire di scena a testa alta e dicendo: sono qui, cosa posso fare per dare una mano?

Articolo pubblicato su Il Tirreno, domenica 5 settembre 2010

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