L’assalto

01 Mar 2010

Se dovessi assegnare un titolo a questa breve conversazione, penso che sceglierei “l’assalto”. Perché quello cui assistiamo oggi, è né più né meno un vero e proprio martellamento con ogni tipo di spingarda contro l’edificio della Costituzione. Una fortezza assediata, che, per molti sfregi, mostra lo scarso amore con cui è stata trattata dal mondo politico che ne avrebbe dovuto essere il fedele custode.
Due sono i valori fondamentali della Carta; una lettura personale, ma non arbitraria: principio di solidarietà e principio di uguaglianza, con lo stretto corollario, legalità; che stanno tutti nell’articolo 3. Fissati questi cardini, i costituenti enunciarono una serie di precetti che ne rappresentavano una prima pratica attuazione. Al legislatore la Costituzione affidava di completare l’edificio nelle sue grandi linee da lei disegnato.
Se e in che misura cui questo invito è stato raccolto non è tema di questo intervento..
Seguo percorsi meno dotti. Quel che invece mi preme segnalare è che, col tempo, ci si è invece accaniti contro quelle regole, retaggio dello stato liberale, che costituivano norme complementari e serventi di quei principi costituzionali.
Perché non è vero, che tutte le leggi ereditate dal passato regime, fossero in contraddizione con la legge sovrana. Anzi, tolte quelle che rispondevano ad una diretta volontà politica per le esigenze autoritarie del regime, la maggior parte delle regole contenute non solo nella legge civile – il codice del 1942 che è tuttora in vigore pressoché nella sua interezza – ma anche in quella penale, rispondevano a criteri perfettamente coerenti con le indicazioni costituzionali.

E pertanto, si può dire, costituivano di per sé, senza necessità di alcuna integrazione o modifica, attuazione diretta del comando costituzionale.Invece che cosa è successo. È successo che in molti casi si sono demolite proprio le norme che costituivano corollario, presidio e difesa dei principi costituzionali. I quali così sono divenuti invocazioni prive di forza concreta. Non c’è stato bisogno di cancellare il principio. È stato sufficiente eliminare le regole che lo presidiavano-
E questo, sia chiaro, senza che si possa o si voglia far distinzioni tra destra o centro o sinistra. Perché se di fronte agli interessi che premevano in un senso, chi aveva titolo per il suo passato e la sua storia per opporsi, anche senza collaborare, tacque, questo non è segno di minor colpa, ma semmai di maggiore, perché il silenzio denuncia sempre indifferenza o pusillanimità. Facciamo qualche esempio:
Articolo 98: i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della nazione.
Essere al servizio esclusivo, vuol dire semplicemente che essi debbono adoperarsi unicamente per tutelare l’interesse pubblico. Esisteva una norma nel codice – articolo 324 codice penale – che puniva il pubblico ufficiale che avesse “preso un interesse privato in atti d’ufficio”; ovverosia, che invece di compiere atti nell’interesse pubblico, avesse compiuto atti per arricchire se stesso, o i propri familiari, amici ecc. calunniatissima, perché noi abbiamo inventato anche la calunnia delle norme scomode.

Questa norma è stata abrogata e riscritta in modo così tortuoso, così da rendere – oggi – estremamente difficile sanzionare il funzionario che abusa del suo ufficio per favorire altri; Il gran parlare di conflitti di interesse come ora si chiamano, quando riguardano pubblici ufficiali, sono l’effetto della disattivazione di una norma che costituiva presidio diretto di principi costituzionali, l’articolo 98 e l’articolo 97 Cost.- imparzialità e buon andamento dell’amministrazione -; il nostro paese è ormai diventato il regno dei conflitti d’interesse, dove i pubblici poteri sono gestiti sin modo tale che non si sa quando finisce il pubblico e quando comincia il privato, e se è questo o quello che ha mosso il soggetto ad agire. E’ notizia di questi giorni la volontà di costituire una spa che utilizza denari pubblici sottraendosi al regime dl codice penale per la loro appropriazione: così sparisce il peculato e la corruzione.
Leggiamo l’articolo 53: “tutti sono tenuti a concorrere nelle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”Questo è un altro grande enunciato costituzionale. Ebbene, esistevano norme che punivano l’omessa dichiarazioni dei redditi. A seguito delle modifiche introdotte, oggi la sanzione penale scatta solo se l’imposta evasa è superiore a 150 milioni di lire – ora € 77.468,53; ossia solo per chi possiede redditi ingenti. Che è difficilissimo accertare. E per la grande massa di imprese e di lavoratori autonomi?1 Si dirà: c’è sempre una sanzione amministrativa.

Ma se si rispettano i parametri degli studi di settore, l’accertamento diviene fatto eccezionale. I contribuenti che non sfuggono al fisco sono solo i dipendenti a reddito fisso. Chi percepisce uno stipendio o un salario non ha la possibilità di patteggiare alcuna riduzione di quanto è dovuto. Non ha possibilità di definire per adesione alcunché. Deve pagare e basta. È di questi giorni la notizia che le entrate dello Stato sono costituite per il 78 % da lavoro dipendente e pensioni. Cosa rimane dell’articolo 53?
Articolo 3: tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge.La Corte Costituzionale il 13 gennaio 2004 annullò la legge 20 giugno 2003 con cui si sospendeva il processo SME nei confronti del presidente del Consiglio, per l’intera durata del suo mandato, ritenendola in contrasto con gli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione. La norma è stata riprodotta come sappiamo con il lodo Alfano, che ha sancito la sospensione del procedimento per le prime quattro cariche dello Stato – presidente della Repubblica, presidenti delle Camere e presidente del Consiglio – sia quanto ai processi eventualmente in corso, sia per quelli che dovessero aprirsi per i reati (eventualmente) commessi nel periodo di sospensione. Non occorrono commenti. Queste persone – ma sappiamo bene che in realtà la norma riguarda soltanto uno dei beneficiari – possono d’ora innanzi commettere qualsiasi delitto, – e non possono venire processati né sottoposti ad indagini, salvo accertamenti urgenti.

È una cosa sconosciuta in qualunque ordinamento costituzionale, dove anzi, il solo sospetto di un reato o di un’azione sconveniente – assumere una colf al nero ad esempio – impone le dimissioni.
104 – la magistratura è un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potereL’aggressione ai principi costituzionali si è fatto negli ultimi tempi frenetico, soprattutto in tema di giustizia. Ed è palese perché. Perché una giustizia efficiente ed imparziale – come vuole l’articolo 104 – è, insieme alla stampa, la essenziale garanzia dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Ma è proprio la soggezione alla legge la regola cui ci si vuole sottrarre. Da qui è partita l’offensiva contro la magistratura. Che si svolge attraverso diverse direttrici:a)Da un lato si dice, il pubblico ministero deve essere separato dal giudice perché il giudice è in imbarazzo se deve dar torto a un suo collega. È’ falso, nessun giudice si fa scrupolo di rigettare le richieste del pubblico ministero. Qualche volta semmai c’è chi si compiace di dargli torto per far vedere ch’è più bravo. Tutti in coro, ministri e camere penali – che non si capisce quale disegno a)perseguono, perché la separazione non abbrevia di un solo giorno nessun processo – a dire: la separazione non vuol dire abolire l’indipendenza del pubblico ministero, come i giudici sostengono quando dicono che finirà inevitabilmente come era prima del 1944. Il pubblico ministero prenderà ordini dal ministro.b)Bene ora lo dice anche il Ministro attraverso il disegno di legge n.

1440. Il pubblico ministero si muove solo su denuncia della polizia o del privato. Solo che la polizia dipende dal Ministro; voi pensate che quanto si è letto oggi sui giornali sarebbe venuto alla luce se il pubblico ministero fosse stato, come si vuol far diventare, avvocato della polizia? Dunque per i grandi sperperi di denaro pubblico, per le grandi commesse di lavori pubblici che favoriscono alcuni a danno di altri, per quanto vivaci siano le proteste e le denunce della stampa, nessuna indagine potrà essere disposta dalla procura. Né fatta dalla polizia. Anche ammesso che glielo lasciassero fare, la polizia non ha potere, salvo flagranza, di perquisire, sequestrare, intercettare ecc. Nonostante che una norma costituzionale – l’articolo 112 – stabilisca che il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale. Non dice la Costituzione “ha l’obbligo di esercitazione l’azione penale solo su denuncia della polizia”; non lo dice, e non lo dice ben a ragione. Perché sapeva cosa era avvenuto sotto il precedente regime, quando i tribunali processavano i dissenzienti, ed occultavano ogni malefatta dei funzionari del regime, l’articolo 32 Cost.non parliamo dell’articolo 32: diritto di rifiutare le cure. Che di fatto si vuol cancellare del tutto con l’argomento che idratazione e alimentazione forzata non sono trattamenti terapeutici, per cui si può dar da mangiare a forza anche a chi lo rifiuta. È per ragioni di carità cristiana che si sventola questa bandiera? Non ci crede nessuno: è per non perdere l’appoggio politico delle gerarchie ecclesiastiche.

Io mi domando come gli uomini di chiesa non si accorgano che questo ossequio è per interesse di bottega.
In realtà tutto questo appartiene al passato. Cose recenti, ma son già di ieri. Perché in effetti, ogni giorno che passa riserva nuove sorprese, e nuove invenzioni, tutte rivolte all’affannoso tentativo di stabilire che quel processo non s’ha da fare. Sembra momentaneamente accantonata ma non sepolta l’idea del processo breve1; più presentabile è la tesi del legittimo impedimento, perché anche il codice ne parla quando dice che v’è obbligo di rinvio quando l’assenza dell’imputato è dovuta ad impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento”.
Solo che l’impedimento previsto dal codice è riferito al giorno in cui l’imputato dovrebbe comparire in udienza; non è riferito alla carica ricoperta; in questo modo l’impedimento si trasforma in uno status permanente, ossia in un privilegio connesso alla carica. Evidentemente l’impedimento non sussiste per le festicciole private; al palazzo o sull’isola. Per queste il tempo c’è sempre. Come possa accordarsi col principio della soggezione di tutti alla legge, è mistero. Ma si dice, però dopo che avrà cessato le funzioni potrà essere perseguito. Ma in tal modo l’interessato sarà mosso a ricoprire in sempiterno la carica non per assolvere alle funzioni di governo nell’interesse pubblico, ma del suo interesse personale a sottrarsi al processo. Insomma un obbrobrio.
Ultimo argomento: La cena
Voglio invece, e mi scuserete dedicare ancora alcune osservazioni ad un tema su cui è caduto un tombale silenzio.

Mi riferisco alla cena che si svolse in casa di un giudice costituzionale, cui parteciparono il presidente del consiglio e altri membri del suo governo (Alfano, Letta, Vizzini, presidente commissione affari costituzionali del senato), in pendenza della decisione sul lodo Alfano1.
Non esprimo giudizi ovviamente sulla opportunità o il buon gusto di quell’invito, in pendenza di giudizio. Due sono le ragioni più che di sorpresa, di autentico sconcerto. da quel che si lesse allora, l’argomento della cena non fu il lodo, ma le ipotesi di riforma costituzionale sul pubblico ministero; da sopprimere, per affidarne le funzioni all’avvocatura dello Stato: mi chiedo se sia concepibile che un giudice che, fino a prova contraria, deve esser fedele alla Costituzione, possa discutere con chi quella costituzione detesta per modificare uno dei suoi tratti costitutivi: perché nel sistema di legalità costituzionale, è al pubblico ministero che è affidato il compito di garantire l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge penale, che è obbligato a far rispettare. Cosa ancora più grave, a mio avviso, è la risposta che il uno dei giudici dette pubblicamente, a chi lo criticava: “alcuni per ignoranza, altri per malafede, hanno confuso e confondono il ruolo del giudice costituzionale con quello di normali tribunali, corti di appello ecc. è chiaro che un giudice di tribunale non può andare a cena, pranzo o colazione con persone che deve giudicare. Ma in questo caso è diverso: noi non giudichiamo mica il presidente del consiglio, noi giudichiamo sulle leggi”.Questo argomento non può non essere severamente contestato.

Se fosse fondato, dovremmo ritenere che nessuna delle altre cause obbligatorie di astensione previste dalla legge si applicano ai giudici costituzionali, non solo il trovarsi abitualmente a tavola: perciò il giudice sarebbe libero: di prender parte alla decisione anche se avesse un interesse in causa o su identica questione (n. 1 dell’articolo 51); se egli o la moglie fosse parente o convivente di una delle parti o dei difensori n.2; se avesse rapporti di inimicizia o di credito o debito con una delle parti- n.3; se ha dato consiglio o prestato patrocinio n4 ecc. ecc.; e infine in ogni altro caso in cui vi siano ragioni di convenienza. Tutte cause di astensione obbligatoria per un giudice normale. Ora chi si pone davanti alla legge nel rispetto leale di quello che dice non può non ritenere fermissimamente: I) che l’argomento del giudice delle leggi è un sofisma, perché le leggi incidono su posizioni personali e non è lecito fingere che il giudizio di costituzionalità sia indifferente nei confronti dei singoli che lo sollevano;II) che se quelle regole sono obbligatorie per garantire l’imparzialità – non solo come bagaglio interiore, ma come attributo visibile – del giudice, (quante volte ci siamo sentiti ripetere che il giudice non solo deve essere ma anche apparire imparziale) – nel massimo grado debbono essere rispettate dal giudice delle leggi; perché se il dovere d’imparzialità è virtù professionale dei giudici – così la definiva Calamandrei – è dovere sommo per il giudice costituzionale, non essendo concepibile che il giudizio sulla costituzionalità delle leggi possa essere inquinato dal favoritismo o dalla ostilità verso l’uno o verso l’altro soggetto su cui la legge incide.

La estrema pericolosità di questa linea di pensiero appare evidente ove si consideri che per questa via si crea uno statuto autonomo del giudice costituzionale sottratto ai doveri propri di ogni organo giurisdizionale, l’assenza di legami o di interessi con le parti. E in questa linea si colloca la proposta avanzata per l’appunto da uno dei giudici che partreciparono alla cena, di introdurre nelle decisioni della Corte l’opinione dissenziente. Ora è bene ricordare che il principio della segretezza della camera di consiglio è stato rigidamente affermato dalla Cassazione a sezioni riunite, perfino nel caso che il giudice dovesse essere chiamato a testimoniare nel processo per un reato commesso nella camera di consiglio: “il giudice penale che abbia concorso in camera di consiglio alla deliberazione collegiale non può essere richiesto – trattandosi di attività coperta da segreto d’ufficio – di deporre come testimone in merito al relativo procedimento di formazione e se richiesto ha l’obbligo di astenersi”1 Forse su questo punto la Corte fu eccessiva; ma il principio è valido.
La Corte disse che esso costituiva salvaguardia della “libertà, serenità, dell’autonomia e dell’indipendenza dei singoli giudici che si sentirebbero altrimenti meno liberi e garantiti nell’esercizio della loro funzione per la preoccupazione di essere imposti individualmente a condizionamenti e censure da parte di opinione pubblica e degli interessati, …”.
L’azzeramento di questo principio per i giudizi della Corte Costituzionale avrebbe un unico significato: quello di esternare alle parti in conflitto la propria appartenenza al partito dei favorevoli o a quello dei contrari, vantando così le proprie benemerenze nelle sedi politiche interessate.

Il giudizio costituzionale diverrebbe territorio di scontro politico, e nell’aula della corte si riprodurrebbero gli schieramenti che fuori si contendono il campo. La corte diventa non giudice del diritto, ma organo esposto a ogni forma di ricatto politico per mezzo della pubblicità delle posizioni assunte dai vari giudici. L’anticamera di una lottizzazione politica della corte.
Considero questa prospettiva la più devastante in assoluto, perché distrugge la credibilità dell’organo cui è affidato il rispetto degli equilibri costituzionali, e lo trasforma in soggetto politico attivo. È urgente quindi che si stabiliscano regole etiche di condotta per il giudice costituzionale, analoghe, o più rigide di quelle che valgono per i giudici comuni. E credo che su questi principi sarebbe finalmente ora che l’opposizione battesse un colpo.
Concludo queste riflessioni con una postilla: molto spesso ci domandiamo, come cittadini, che fare; che peso abbiamo per difendere legalità e giustizia. Due cose: tenere alto il livello di contestazione contro la degenerazione del costume politico, per mantenere la fede nella politica disinteressata nelle generazioni giovani; se i giovani dovessero dire tanto non serve a nulla, come sento da tanti che hanno la mia età, questo paese è perduto; secondo: prepararsi fin d’ora, se questi orizzonti dovessero avverarsi, a ricordarsi che esiste ancora lo strumento costituzionale del referendum. Diffondiamo fin da questo momento l’idea di una mobilitazione che restituisca vigore ed entusiasmo a tutti i cittadini, perché il futuro di questo paese non è ancora proprietà privata.
Note
1.

25 febbraio 2010 – Arci p.za dei Ciompi2. L’Espresso del 12 marzo 2009 riferisce che secondo l’Agenzia delle Entrate il 57 % degli autonomi dichiara redditi medi di 10.000 Euro.3. Reati fino a dieci anni: si estinguono se la condanna di primo grado non interviene entro tre anni; ma da quando? Dal termine delle indagini preliminari; se la sentenza arriva entro tre anni, quella di appello deve arrivare entro due; se arriva entro due l’appello, si estingue se la cassazione non si pronuncia in un anno e mezzo. Estinto il reato, il colpevole se ne torna tranquillo e pulito, e la vittima si tiene la fregatura e le spese dell’avvocato. Se poi il processo era già in corso alla data del 2 maggio 2006, il termine per l’estinzione non è di tre, ma di due. O perché mai? Provate un po’ a indovinare qual è il processo di primo grado che si estingue? Ma la cosa indecente è che si è voluto intitolare questa legge “in attuazione dell’articolo 111 della Costituzione”. Ma la costituzione vuole che i processi si concludano in tempi brevi, non che in tempi brevi si cestinino!4. L’Espresso, 2 luglio 20095. Cass. SSUU 21 maggio 2003, in Foro It. N. 9, 2003, II, 453
* L’autore, socio di LeG, è stato procuratore capo di Firenze

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