Editti e manganelli

12 Ott 2009

Berlusconi risponda in Parlamento. Se non ora, quando?// Può un capo del governo preannunciare un dossier o comunque un’inchiesta su un giudice che ha appena emesso una sentenza di condanna nei confronti della sua azienda?
Berlusconi ieri lo ha fatto, sbracciandosi dal palco di Benevento, gridando che l’azione civile fra la Cir e la Mondadori era stata “affidata a un giudice del quale se ne sentiranno venire fuori delle belle”.
Per la prima volta nella storia della Repubblica un magistrato, Raimondo Mesiano, ha potuto avere in diretta la notizia che qualcuno, non si sa chi né da chi autorizzato, sta scavando nella sua vita in cerca di “scandali” che compromettano, magari “sporcandola” la sua sentenza. La sua vita di uomo tranquillo potrebbe venir infangata, distrutta come è accaduto ad altri, in questi anni tristi di editti e manganelli. Ciò che in altri tempi veniva praticato nell’ombra, la costruzione di falsi dossier per colpire i nemici politici, oggi può esser sbandierato alla luce delle telecamere, la punizione viene annunciata in Tv dal presidente del consiglio ad ammonimento di ciò che accade ai non allineati: tu mi condanni? Dice Berlusconi, e io ti avverto: di te se ne sentiranno venir fuori delle belle. E intendano bene gli altri magistrati che stanno occupandosi di inchieste scottanti, a Palermo, Firenze o Milano.
Il mondo civile ci guarda inorridito.
Nello stesso discorso fiume, il presidente del Consiglio ha spiegato il cuore della sua riforma della giustizia: un pubblico ministero che perde di fatto anche il suo nome (si chiamerà avvocato della difesa), distinto e in perenne sottomissione difronte al giudice.

E poi: no alle intercettazioni (solo per reati gravissimi), e i soliti attacchi a Repubblica, al suo editore, ai giornali stranieri, all’opposizione in genere.
Ma Berlusconi non vuole nessuna riforma vera della giustizia. Il suo obiettivo è distruggere definitivamente il sistema giustizia e instaurare in Italia un sistema di assoluta irresponsabilità della politica.
A muoverlo è una motivazione inaccettabile: rendere inoffensiva la giustizia. Soprattutto nei suoi confronti. Da qui le allusioni al giudice del Lodo Mondadori.
A questo punto sarebbe utile che i concorrenti alla segreteria del partito democratico cominciassero a calare nella realtà di oggi, nell’Italia governata da Berlusconi, molti dei loro propositi e delle altisonanti dichiarazioni a difesa della democrazia e della Costituzione. Bisogna scendere dalla retorica alla concretezza: se Berlusconi lancia avvertimenti a un giudice che ha fatto il suo lavoro, qualcuno dovrà difenderlo, qualcuno dovrà denunciare la gravità delle parole del premier. Con il capo del governo che cerca vendetta non si può discutere di riforme. Bisogna solo alzare un muro e dire dei “no”, che fino ad ora sono stati delegati ad altri: giornali italiani e stranieri, società civile. Non si possono aprire dei varchi alla collaborazione, bisogna che la politica sappia che con un capo della maggioranza che si crede il padrone del paese e delle sue istituzioni non c’è dialogo.

C’è solo lo scontro e la denuncia anche all’estero delle violazioni del sistema democratico, c’è solo opposizione.

Se la giustizia è resa inoffensiva, la giustizia non esiste. Vogliamo andare a dirlo nelle piazze d’ Italia?

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