Referendum, Zagrebelsky: Franceschini ripensaci

13 Mag 2009

Un libro per ricordare Leopoldo Elia, un libro che raccoglie alcuni scritti del grande costituzionalista scomparso, è stato l’occasione per far incontrare Gustavo Zagrebelsky e Dario Franceschini. La discussione, organizzata da Pier Luigi Castagnetti e moderata dal direttore di Repubblica Ezio Mauro, si è svolta martedì 12 maggio a Roma, e ha visto il presidente emerito della Consulta e il segretario del Pd procedere su analisi convergenti tranne che su un punto di strettissima attualità: l’imminente referendum sulla legge elettorale. Vediamo.Ha esordito Zagrebelsky, spiegando che esistono due tipi di democrazia, quella di indirizzo e quella di investitura. La democrazia di indirizzo procede dal basso verso l’alto e assegna ai cittadini un ruolo di responsabilità e partecipazione che non si esaurisce nel voto per l’elezione della rappresentanza. La democrazia di investitura, invece, è quella in cui il potere procede dall’alto verso il basso ed esonera gli elettori da ogni altro compito oltre quello del voto. Oggi è questo il tipo di democrazia che sta prendendo corpo, e Zagrebelsky, con una punta di ritegno, ha ricordato l’imbarazzante circostanza che tutto ciò si trova teorizzato nello statuto del partito fascista.E’ una tendenza che può essere combattuta, ma come? Il presidente onorario di LeG osserva che gli spazi di azione esistono, perché non è vero che la società non esprima capacità e volontà di partecipazione. Spetta ai partiti valorizzare tali spinte, tornando ad affondare le loro radici sul territorio e sapendo che solo se queste si atrofizzeranno potrà cambiare la natura della democrazia.

E bisogna tener duro, perché la politica procede per cicli: “Se fossi il presidente del Consiglio non sarei contento di essere circondato da un così vasto consenso, perché non c’è niente di più labile di quel consenso lì”.Franceschini ha concordato con l’analisi, e ha spiegato l’insidioso cambiamento di linea “dei nostri competitori”: prima c’era un attacco diretto alla Costituzione, che rendeva più facile il lavoro dell’opposizione, “adesso cercano di cambiare il sistema a Costituzione invariata. E’ più facile e non ci sono pericolosi referendum confermativi”. L’esempio è il meccanismo dei decreti e della fiducia: si decreta su tutto, si porta il provvedimento alla firma del Quirinale, poi il governo lo emenda, sottraendone la sostanza alla verifica del Colle, e lo fa approvare dal Parlamento con la fiducia, cancellando ogni possibilità di discuterlo ed emendarlo. Tutto ciò cambia il rapporto tra governo e Parlamento. E il fatto che il Parlamento sia composto di nominati e non di eletti aggrava la situazione, configurando un circuito perverso che va dal Capo alla Tv al popolo, sancendo la supremazia di chi è eletto rispetto a ogni altro potere dello stato e alla legge stessa. Bisogna, dice Franceschini, “svegliare la coscienza civile degli italiani altrimenti ci potremmo trovare in un altro sistema senza cambiare una norma”. Una prima mossa potrebbe essere quella di legare il finanziamento pubblico al rispetto di norme di trasparenza e democrazia interna da parte dei partiti.Zagrebelsky ha replicato osservando che in altri tempi avrebbe fatto scandalo un premier che avesse affermato di voler governare per decreti.

Invece Berlusconi lo ha fatto e non è successo niente. Perché? Perché, evidentemente, questa idea di democrazia è già stata accettata. E il Parlamento, composto sulla base delle indicazioni del Capo, non può e non deve permettersi di mettere paletti alle sue azioni: c’è una logica in tutto questo. Ma per opporsi non ci si può limitare alla denuncia: bisogna riempirla di contenuti, bisogna rimettere in moto la linfa della democrazia, rianimarla dal basso. Se le forze politiche non sono in grado di farlo, allora la democrazia è perduta, anche se le regole formali restano invariate.Franceschini ha colto la critica e si è difeso: dal ’94 ad oggi non abbiamo mai combattuto ad armi pari. “Lo vedo adesso che sono segretario: lo squilibrio di mezzi, economici e televisivi, è imponente. Tuttavia il campo dei riformisti non è minoritario, infatti abbiamo vinto due volte nonostante tutto questo. Dico solo che non è normale competere in questo modo”. Esiste il rischio assuefazione, concorda il segretario del Pd, e per combatterlo bisogna fare appello al coraggio, che è sempre dei singoli. Ai giornalisti, per esempio, toccherebbe il compito di contestare a Berlusconi le cose che dice e smentisce, le promesse che fa e non mantiene. A sé Franceschini rivendica due meriti: quello di aver avuto il coraggio di attaccare il governo sull’immigrazione, nonostante il rischio di perdere voti. E quello di aver invitato Berlusconi alle celebrazioni del 25 aprile: “Si è detto che è stato un boomerang, ma è importante che esista un tessuto condiviso anche tra avversari.

E’ un lavoraccio, ma dobbiamo avere il coraggio di farlo”.Il nodo referendum è arrivato alla fine del dibattito, ed ha segnato una divergenza di fondo. Zagrebelsky ha invitato Franceschini a ripensare la scelta del sì, ma il segretario del Pd ha replicato: se vincessero i sì e Berlusconi andasse da solo, otterrebbe lo stesso premio che ha adesso. Inoltre la legge che scaturisce dal referendum assegna il premio non al partito che prende più voti, ma alla lista che prende più voti. Questo apre spazi all’opposizione perché non staremo fermi, ed è più facile battere il Pdl che il Pdl più la Lega. Se invece vincesse il No saremmo costretti a tenerci questa legge perché gli elettori l’avrebbero resa intoccabile. Con la vittoria del Sì, invece, avremmo quattro anni per fare una nuova buona legge. E poi il Pd ha scelto il Sì dopo un’ampia discussione e un voto: non si cambia linea solo perché anche Berlusconi ha scelto il Sì.Risposta finale di Zagrebelsky: davvero possiamo essere così ingenui da pensare che dopo la vittoria del Sì Berlusconi potrebbe essere disposto a fare una nuova legge? E quanto alla decisione presa dal Pd, “nella vita dei partiti non esistono questioni passate in giudicato”.

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