Se lo Stato dimentica di essere laico

02 Feb 2009

In un paese dove gli ayatollah cercano, molte volte con successo, di far prevalere la propria sulla legge dello Stato può accadere che il deputato Renato Farina (più noto forse sotto il nome di copertura “Betulla”) e con lui molti altri deputati di Forza Italia e An si rivolgano alla ministra dell’istruzione pretendendo “provvedimenti disciplinari” nei confronti della responsabile scolastica della regione Lombardia, professoressa Annamaria Dominici. Costei è considerata “colpevole” di aver contestato l’ordine (eseguito) del preside del liceo scientifico Tito Livio di Milano, Carlo Marzo, di esporre il crocifisso in ogni classe. La decisione doveva essere preventivamente discussa, aveva rilevato la responsabile scolastica osservando che la scuola è essenzialmente luogo di “dialogo e confronto”. Da qui a denunciare “la delegittimazione di fatto messa in atto dall’autorità scolastica regionale” nei confronti del preside il passo di Farina & altri è stato breve, e condito dalla sarcastica descrizione delle proteste, contro la decisione del preside, di studenti e docenti che avevano democraticamente votato per la rimozione del crocifisso o per la collocazione accanto ad esso di altri simboli religiosi.Se la professoressa Dominici sarà censurata, sia chiaro che la ministra Mariastella Gelmini avrà, come pezze giustificatrici di un greve provvedimento disciplinare, soltanto un pugno di norme che il regime fascista varò, addirittura prima del Concordato (e quasi a spianarne la strada), per introdurre il crocifisso prima nelle elementari (1922), poi in quelle di ogni altro ordine e grado (1926), e intanto la pratica era stata estesa agli uffici pubblici in genere (1923) e buon ultima arriverà la circolare che estendeva l’obbligo del crocifisso anche nelle aule giudiziarie (1926).

Se non che, da quella stagione, molta acqua è passata sotto i ponti; e, se è vero che quelle norme fasciste non sono state ancora abrogate, è vero anche che sia la Corte Costituzionale e sia la suprema Corte di Cassazione (le cui sentenze, è noto, fanno giurisprudenza) hanno più volte sancito senz’ombra di dubbio il principio della laicità dello Stato individuata come “profilo della forma di Stato delineata dalla Carta costituzionale della Repubblica”, come sottolinea la sentenza della Consulta n. 203/1989 che ravvisa in quel principio la garanzia di “un regime di pluralismo confessionale e culturale”. Due anni dopo la stessa Corte costituzionale ribadiva (sentenza n. 467/1991) che “la libertà di manifestazione dei propri convincimenti morali o filosofici” è garantita in connessione con la tutela della “sfera intima della coscienza individuale” conformemente a quell’art. 19 della Costituzione che tutela la libertà religiosa non solo positiva ma anche negativa, cioè anche la professione di ateismo o agnosticismo come sottolineato in altre sentenze della Consulta: la n. 117/1979 e la n. 334/1996. Quest’ultima è particolarmente significativa perché in base ad essa è stato eliminato ogni riferimento a “Dio” dalla formula di giuramento, sulla base della considerazione che “la religione e gli obblighi morali che ne derivano non possono essere imposti come mezzo al fine dello Stato”.Ma la sentenza nel nostro caso più significativa è stata pronunciata nella primavera di nove anni fa dalla Cassazione chiamata a giudicare in terza istanza un cittadino che, designato scrutatore in occasione delle elezioni politiche del 1994, si era rifiutato di assumere l’incarico perché la presenza del crocifisso in un’aula scolastica, violando appunto il principio della laicità dello Stato, non rispettava la libertà di coscienza.

Condannato in tribunale, ri-condannato in appello, quando il doppiamente condannato ha fatto ricorso alla Suprema Corte ha ottenuto piena soddisfazione: con sentenza del 4 aprile 2000 la quarta sezione ha annullato la condanna e – attenzione! – senza rinvio: vale a dire accogliendo in tutto e per tutto le sacrosante ragioni del cittadino-scrutatore mancato. Chiaro? Per la ministra Gelmini ne sono tutt’altro che certo.

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