Torino, metti una sera a cenacon Zagrebelsky e Travaglio

22 Dic 2008

Si è tenuta il 15 dicembre 2008 l’assemblea dei soci di Libertà e Giustizia. E’ stato un incontro simpatico, aperto anche ai non iscritti, iniziato con una cena. Gli intervenuti erano oltre 100 tra i quali alcuni esponenti politici del PD e di Italia dei Valori.Presentati da Franco Ferrara e da Maria Grazia Arnaldo, hanno parlato il Presidente Onorario di Libertà e Giustizia Prof. Gustavo Zagrebelsky e Marco Travaglio.L’argomento trattato dai due oratori non poteva che essere il riemergere di una questione morale. Per il Prof. Zagrebelsky l’onestà dei pubblici amministratori è un punto irrinunciabile. Ma le reazioni degli esponenti politici di centro sinistra hanno rispecchiato questo diffuso e radicato sentire? No, le reazioni degli esponenti politici di centro sinistra hanno fatto da specchio agli attacchi del centro destra, senza saper sufficientemente distaccarsi. Non appena sono emerse le inchieste contro le amministrazioni di centro sinistra il partito di Berlusconi ha profuso un unico leit-motiv: il PD non può parlare di sua diversità e di questione morale, non ha il primato della moralità, la smetta di inneggiare alla pulizia, all’interezza morale contro la corruzione, pensi piuttosto a riformare la Giustizia. Dal centro sinistra una sorprendente risposta che riassumiamo così: voi siete più corrotti di noi, avete più indagati di noi, siete i meno titolati a parlare! Una reazione non contro la febbre in sé, ma contro il grado segnalato dal termometro, un gioco al ribasso che sposta l’attenzione dal dilagare della corruzione in ambo gli schieramenti alla misurazione di chi ne sia più coinvolto.

Non c’è stata indignazione, non c’è stata presa di distanza, non c’è stato distacco. Anzi, si è lasciata trasparire – pur senza mai esprimerla apertamente – l’amara considerazione: accidenti, ci hanno beccato!
In fin dei conti ciò non è molto diverso dai toni del centro destra il cui elettore mai reagisce con sdegno all’emergere di una vicenda di corruzione. Riserva semmai lo sdegno – nonché l’aggressività – alla magistratura che ha fatto il proprio dovere. In proposito Zagrebelsky ha richiamato la “concezione carismatica della politica” di Max Weber: la capacità personale di raggiungere il mantenimento del potere con qualunque mezzo in opposizione a un’altra concezione della politica definita “legale” dallo stesso Max Weber perché in essa il fine non giustifica mai i mezzi. La prima appartiene al centro destra e al suo leader. La seconda è propria del centro sinistra. Il punto centrale è che nella concezione carismatica la corruzione non è disdicevole. Essa è solo un mezzo. Dunque imputare taluni comportamenti alla destra non ha alcun effetto sul suo elettorato che è preoccupato solo del raggiungimento del fine. Ma quando la disonestà viene imputata al centro sinistra la perdita di voti c’è, eccome, perché essa ha una “concezione legale” della politica. Il fine non giustifica i mezzi. Dunque occorre che la dirigenza del centro sinistra interpreti a pieno e senza riserve nemmeno apparenti questa profonda differenza con il centro destra, anche sul piano emotivo e della comunicazione.

Diversamente la corruzione resterà un problema irrisolto e ad ogni rimpallo di accuse di disonestà la destra resterà insensibile e la sinistra perderà i voti dei suoi elettori. Il passaggio dalla riflessione alla cronaca tocca a Marco Travaglio. Sono 15 anni che vengono introdotte leggi di riforme della Giustizia. Si possono contare ben 400 interventi legislativi, eppure a ogni inaugurazione dell’anno giudiziario il giudizio unanime è di leggi che hanno peggiorato i processi, li hanno allungati, resi più farraginosi e vani. Per gli imputati dei ceti abbienti non ci sono più rischi. Non finiscono e non finiranno mai in galera, nemmeno con il peggior reato. Ora il loro unico vero timore è solo quello di evitare che il processo inizi, con i danni che potrebbero venire da un’eventuale pubblicità. Ecco dunque perché i vertici del centro destra mirano a intaccare l’obbligatorietà dell’azione penale e parlano di “procure fuori controllo” dimenticando che una buona magistratura è quella che non si fa controllare. Ecco perché vogliono cambiare la Costituzione ferendo a morte la separazione dei poteri. Tutto ciò avviene in un clima di generale travisamento dei fatti di cui l’ultimo esempio è la vicenda di Catanzaro e Salerno. “Guerra di procure” è il titolo che ha troneggiato su giornali e telegiornali dimenticando che anche un magistrato può finire sotto inchiesta come un qualunque cittadino. Non è la guerra di un magistrato ad un altro magistrato.

E’ l’applicazione della legge. La competenza delle indagini non può ovviamente appartenere alla procura di cui fa parte il magistrato indagato. Essa spetta piuttosto ad altra procura determinata dal codice di procedura penale secondo un criterio di massima indipendenza. Salerno era dunque la procura competente ad avviare un’inchiesta su Catanzaro utilizzando gli strumenti di legge, perquisizioni comprese. Occorre piuttosto chiedersi perché mai la Procura di Catanzaro per sette volte rispose no alla richiesta di copia degli atti oggetto dell’indagine e perché non intervenne il Csm che pure era informato di queste risposte immotivatamente negative. Non “guerra fra procure” dunque, ma semmai l’attivazione di un’indagine che doveva essere svolta e doveva giungere al suo termine secondo l’ordinario percorso.

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