Era meglio morire democristiani?

19 Apr 2008

C’è chi, nella ex area di centro sinistra, meditando su una vittoria che non c’è stata, si sente in qualche modo alleggerito nei suoi pensieri, meno pessimista del prevedibile, perché insegue una riflessione spesso sottolineata in questi giorni: è finita, uccisa da Berlusconi a cui di questo va dato atto, quella seconda Repubblica, così vicina alla prima e dunque così ancora prigioniera di vecchi schemi ideologici. E’ finita l’Italia della Dc e del Pci, dei socialisti, dei liberali, dei repubblicani, dei missini. E’ tramontata l’Italia della memoria che costringeva, limitava, “obbligava”. Gli italiani hanno finalmente conquistato uno status di cittadini senza vincoli passati né futuri.
In un certo senso è come se fossimo tutti allo stesso nastro di partenza: il Paese si muove verso un nuovo traguardo, senza vincoli, e la marcia avviene su un terreno che vede la giornalista ebrea e israeliana accanto a Fini e Alemanno, l’operaio ex Cgil diventato leghista; insieme i cattolici integrali e i laici convinti, europeisti e antieuropeisti, marketisti e antimarketisti, islamici e antislamici. E così via.
Un bel rimescolamento, insomma. C’è chi si chiede come potrà funzionare un parlamento senza ideologie e prevede l’avvento di una politica dolce ma forse più vuota.
Ci si chiede se era meglio morire democristiani piuttosto che berlusconiani.
Uno storico come Gian Enrico Rusconi, esaminando il crollo della sinistra, afferma che “Sono esplosi i problemi della piccola gente che ha perso fiducia nella sinistra e nel sindacato…il vero problema è la fine dell’universalismo democratico di sinistra che teneva insieme borghesia imprenditoriale e ceti subalterni”.

E altri inneggiano alla fine della stagione delle zavorre: ora saremmo tutti più liberi di guardare al futuro con occhi pragmatici, e magari anche di giudicare meglio la storia che ci stava alle spalle.
Competenza, età anagrafica, concorrenza: ecco i nuovi valori che si predicano a sinistra e che sono destinati a rimpiazzare un’anticaglia velocemente scartata, dall’antifascismo alla Resistenza, dalla lotta di classe al lavoro per tutti, alla giustizia uguale per tutti .
Cercando di dire questa cosa così complicata in parole povere: finiti i “riferimenti” a qualcosa o qualcuno che ti faceva uscire dai tuoi privatissimi e fortissimi bisogni in nome di qualche altra cosa, cancellati i partiti storici e i leader storici ormai un flebile ricordo, vincer la parola più semplice, il motto più diretto, il bisogno più forte. Vince, se vogliamo adoprare ancora questa distinzione, la destra. Ed è così naturale che vinca Berlusconi, che da uomo di destra ha studiato, si è comportato e ha guidato la sua politica da molto di più di 15 anni, da quando capì e gli spiegarono che non con la tattica si poteva in un paese come l’Italia vincere il comunismo e la Dc amica dei comunisti, ma con la strategia della pazienza e della comunicazione. Con la strategia dell’educare un paese, piano piano ad essere senza ideologie e senza educazione. Fino al giorno in cui un intero Parlamento sarebbe stato all’insegna dell’assenza di ideologie.
Il problema adesso per chi come noi pensa che l’Italia di oggi sia più povera della vecchia Italia, che non siamo stati capaci di cambiare senza appunto, impoverire, è come tener vivo il patrimonio di conoscenze e punti di riferimento per il futuro.

Come far vivere le idee, nell’era della fine delle ideologie. Come non morire berlusconiani, dopo aver evitato di morire democristiani. Come fare della cultura e della formazione qualcosa in cui credere e far credere i più giovani.
Come affrontare la marcia nel grande deserto senza apparire un’armata di reduci.

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